venerdì 20 aprile 2012

Riscrivere la storia ?

Ogni tanto accade. Accade che una scoperta archeologica possa mettere in crisi la linea temporale dell’evoluzione della civiltà nella storia antica. Sta accadendo ora, in Turchia, su alcune colline chiamate Göbekli Tepe vicino alla pianura di Harran, nei pressi del confine siriano. La scoperta riguarda un complesso di templi che risalirebbe addirittura ad migliaia di anni prima della Grande Piramide, intorno a 11.500 anni fa, 6000 anni prima che Stonhenge prendesse forma. E, soprendentemente, tra i 3000 ed i 1500 anni prima di Çatalhöyük, considerato uno degli insediamenti più antichi della storia.

Göbekli Tepe è un sito particolare, come particolare è la dedizione che l’archeologo tedesco Klaus Schmidt ha posto nel suo lavoro negli ultimi dodici anni. L’antica civiltà che ha costruito le rovine di Göbekli Tepe è stata definita "la Roma dell’ era Glaciale", un complesso urbano popolato da cacciatori-raccoglitori dotati di una raffinata cultura religiosa, architettonica e sociale. Il sito fu inizialmente esaminato dall’ Università di Chicago e dall’ Università di Istanbul negli anni ‘60. Dopo la visita del sito, che fu soltanto un "mordi e fuggi" su quello che agli antropologi sembro un cimitero abbandonato risalente al Medioevo, nel 1994 arrivò Schmidt, convinto che in quel luogo ci fosse più che un vecchio cimitero. "Solo l’uomo può aver creato una collina come questa" sostenne Schmidt "E’ chiaro che questo è un sito enorme risalente all’Età della Pietra". Si possono trovare terrazze, cerchi di pietra, pilastri alti sei metri a forma di "T" e monoliti. E come se non bastasse, i rilevamenti radar hanno mostrato come sotto il terreno si celino almeno altre 15 rovine monumentali.

Fino ad ora sono stati portati alla luce alcuni dei 50 pilastri del complesso, uno dei quali, secondo le datazioni, rappresenterebbe l’opera d’arte monumentale più antica del mondo. Su uno dei pilastri è possibile ammirare dei simboli astratti, anche se in realtà l’intero sito è ricoperto da bassorilievi e scultura di animali e piante. Cinghiali selvatici, manzi, leoni, volpi, leopardi, si può trovare di tutto a Göbekli Tepe. Ci sono anche raffigurazioni di esseri umani, scultura semi-umanoidi prive di volti.

La tesi di Schmidt è quella che la cooperazione tra cacciatori e la formazione di questo centro di culto siano nate per esigenze religiose. Il tempio ha costituito il fulcro della città, attorno ad esso è stato costruito tutto il resto. Non si tratta del "tradizionale" insediamento urbano di poche case, qui si parla di una città fatta e finita, con tempi, laboratori specializzati, case. Questa scoperta sta pian piano rivoluzionando il mondo dell’archeologia. Come afferma Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University "Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambio completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate".

Le teorie sulla "rivoluzione del Neolitico" hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura, e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà. Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città, o dopo i luoghi di culto. Ora invece sembra che la religione si apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani, anzi, che sia quasi stata il motore primario per la creazione di città. Il sito di Göbekli Tepe sembra anche dimostrare che in quella regione sia nata l’agricoltura, oltre che l’architettura domestica.

La mappatura genetica del grano sembra dimostrare che in questa zona siano stati, per la prima volta nella storia, coltivati cereali. Anche i primi maiali selvatici d’allevamento sembra si siano originati qui intorno a 10.000 anni fa. Su sito sono state scoperte oltre 100.000 ossa animali, macellati e cucinati sul posto. Tra gli animali sono state ritrovate gazzelle (circa il 60% del totale delle ossa finora esaminate), pecore, cinghiali e cervi rossi, assieme a dozzine di ossa di uccelli. Tutti questi animali erano selvatici, il che dimostrerebbe la natura di cacciatori della popolazione dell’area. Il problema della diffusione di questa scoperta è alquanto bizzarro: non sta nell’assenza di prove che possano dimostrare inequivocabilmente la sua età, come si potrebbe pensare. Il problema sta nella presenza di troppe prove.

"Il problema con questa scoperta" sostiene Schwartz della John Hopking University "è che è unica". Non sono infatti stati ritrovati altri siti monumentali risalenti all’epoca di Göbekli Tepe, in nessuna parte del mondo. Si è sempre creduto infatti che in quel periodo l’uomo vivesse all’interno di caverne, dipingendole con scene di caccia, o costruendo al limite qualche rifugio in pietra grezza. Addirittura anche dopo il periodo in cui Göbekli Tepe era al suo massimo splendore, per i circa 1500 anni successivi, sembra ci siano pochissime evidenze di edifici anche solo paragonabili a quelli ritrovati nel sito turco. Le mura di Gerico, finora considerate la costruzione monumentale più antica della storia dell’ uomo, sono probabilmente nate più di un millennio dopo Göbekli Tepe.

Questa è una scoperta che potrebbe mettere in discussione la linea temporale sull’evoluzione della civiltà umana. Fino ad ora è stato portato alla luce solo il 5% del sito, ed i lavori procedono senza sosta, tant’è che sul posto sono presenti ben 3 differenti team di archeologi. Gli scavi a Göbekli Tepe procedono lentamente, dato il clima della regione: le temperature estive sono proibitive, durante l’inverno invece le piogge non consentono gli scavi, ed il periodo utile per l’attività archeologica è rappresentato da due mesi durante la primavera e due in autunno.

Link







Gli gnomi non sono una leggenda
Articolo di JEAN-PIERRE OKPISZ pubblicato QUI
traduzione di Giuditta link http://tuttouno.blogspot.com/2009/02/gli-gnomi-non-sono-una-leggenda.html
Una delle più straordinarie scoperte Paleo-antropologiche è il ritrovamento di un piccolissimo cranio umano, a sud-est del Marocco.



Nel luglio del 2005 Mohammed Zarouit abitante a Errachidia effettuava delle ricerche di fossili in una cava di marmo nel deserto Tafilalet, a 16 km da Erfoud, su un sito famoso per i suoi fossili di Orthoceras e Goniatiti(1) (risalenti a 360 milioni di anni), quando ha scoperto il cranio in questione.

Molte piccole cave a cielo aperto sono state scavate in questo luogo, a 6 o 7 km a nord-ovest della Kasbah Derkaoui, lungo una vena di marmo che appare in maniera discontinua, in superficie.

Il cranio riposava sul fondo di una buca di 2 a 3 metri di profondità, scavato a seguito dell’estrazione meccanica di blocchi di marmo. Si trovava in un terrapieno di sabbia e terra contenente dei fossili dell’era Devoniana, detta anche era dei pesci (380 milioni di anni fa) e pezzi di calcare di colore "verde lago".

Il fossile è eccezionale a causa della sue piccole dimensioni, con un diametro di soli 6 cm, e la sua forma umana moderna!

Un cranio che non apparteneva ne a un bambino, ne a un feto, ma un adulto con 32 denti, e doveva avere almeno 20 anni, ipotizzando una crescita simile alla nostra.

Gli esseri umani di circa un metro di altezza (Homo floresiensis), di cui sono stati recentemente scoperti alcuni scheletri sull’isola di Flores, son dunque surclassati riguardo la piccola taglia, perché "l’Homo Alaowita" come lo ha battezzato Mohammed Zarouit non poteva superare i 40 cm di altezza, se proporzionato alla testa!

Il cranio ha le seguenti caratteristiche:
-La posizione del foro occipitale (centrato) dimostra che la creatura camminava tenendosi in piedi.

-La forma del cranio è simile a quella dell’"Homo sapiens’ attuale (cioè a noi), ma in miniatura: mandibola breve, parabolica; angolo sinfisario ottuso, in posizione retrograda; fronte alta e bombata; 32 denti verticali..

-Si distinguono ugualmente le suture craniche (suture sagittali e coronali della volta: le suture coronali, le suture squamose,le suture sfeno-frontale e le suture sfeno-squamose sul profilo sinistro).

Il cranio non è deforme e la mascella inferiore è rimasta in loco per dei motivi di fossilizzazione spiegabili (sia perché seppellito in un ambiente anaerobico, sia a seguito di una rapida immersione in un fango calcare).

La "capacità cranica", non è superiore a 45 cm 3, ossia 30 volte inferiore a quello dell’ Homo sapiens moderno.

E’ stato insinuato che il cranio, sia un falso (come ogni volta che una scoperta sconvolge le idee stabilite); in realtà, tutto conferma la veridicità della scoperta, comprese le suture craniche e le strutture interne osservate ai raggi X.

Interessanti informazioni relative alla fossilizzazione sono stati scoperte con le radiografie del cranio prese su iniziativa del signor Mohammed Zarouit, con la collaborazione del prof.Abdelkader Alaoui, radiologo e direttore del CHP Moulay Ali Cherif Errachidia. Differenti tomografie, formato DICOM sono state effettuate.

Il prof.Abdelkader Alaoui, ha dichiarato: "I risultati sono affascinanti e sono davvero sorpreso dalla plasticità biologica del cranio; le informazioni digitali dello scanner sono conformi ai valori di densità ossea".

Che cosa si può osservare sulle radiografie?

Dei sedimenti interni e delle indicazioni sulla fossilizzazione:
Da un lato, si constata che il cranio, è pieno di un deposito sedimentario di bassa densità, simile al deposito, che copre la mandibola sul lato sinistro esterno. Si tratta di un calcare leggero, che ha l’aspetto di gesso (si graffia con le unghia).

Questo calcare è composto da strutture biogenetiche porose, fra cui coccoliti (2) e diatomee. Diversi noduli sarebbero delle micro-conchiglie. Il rapido riempimento del cranio spiega anche che ha resistito alla compressione del deposito geologico consecutivo, e non è stato deformato.

Le tomografie ci informano su dei dati morfologici.

Sulle pareti interne del lobo parietale sinistro, si notano la presenza di 5 ondulazioni che evocano le curve dei lobi cerebrali; l’osso probabilmente ha conservato un’impronta endocranica, come i calchi dei crani del bambino di Modjokerto (risalente a 1,8 milioni di anni) e del bambino Taung, scoperto nel 1924 in una cava di calcare nel Taung, 500 km a ovest di Johannesburg. (L’ominide di Taung è stato il primo reperto di un Australopiteco, trovato da Raymond Dart e la sua testa è di 7 cm di diametro, per un’età di 3-4 anni ed è molto più scimmiesca che l’Homo Alaowita e data circa 2 milioni di anni)
Mohammed Zarouit ugualmente fatto dei « renderings » dei sedimenti interni (cioè delle tomografie a rilievo) veramente notevoli. Danno’impressione che i depositi calcarei all’interno del cranio, sono "strutturati" in alveoli, come se il calcare è stato sostituito nel
cervello lentamente, mentre quest’ultimo spariva.
Si nota che le dimensioni delle orbite degli occhi sono relativamente grandi (rispetto alle nostre). Questa sarebbe la prova di una buona visione notturna. È probabile che questi esseri umani molto piccoli (40 centimetri) profittassero del vantaggio evolutivo della loro piccolezza, e questo vantaggio fu certamente quello di potersi facilmente nascondere dai predatori, nell’erba alta nei cunicoli , tronchi di alberi cavi, fessure nella roccia…ovvero luoghi in cui spesso vi è della penombra (Secondo le leggende sugli "gnomi", questi nani leggendari, che vivevano un tempo in Europa, erano i padroni del sottosuolo. Per illuminare i suoi rifugi, il "piccolo popolo" utilizzava cristalli luminescenti o lucciole, che imprigionavano in panieri intrecciati).

(1) Fossili provenienti dal Marocco.

(2) Nome dato a piastre calcaree, molto piccole, che rivestono certe alghe
pelagiche. Con il tempo creano depositi sedimentari marini.

Edizione italiana: http://tuttouno.blogspot.com

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Una nuova specie umana: l’Homo Alaouita. Seconda Parte.
gen 1st, 2009 | By admin | Category: Archeologia proibita




Il piccolo cranio secondo un radiologo il prof. Alaoui Abdelkader è autentico!

Ma questo stimato medico, non è uno studioso esperto di paleontologia, e la sua perizia è stata contestata da noti paleontologi.
Purtroppo nessuno di loro, almeno secondo le mie ricerche sul web, si è recato di persona in Marocco per verificarne l’autenticità.
Ecco la descrizione accurata e la perizia che attesterebbe la sua autenticità:
Titolo originale: Une nouvelle espèce humaine : Homo alaouite
Di Mohammed ZAROUIT
Traduzione di Giuditta link Una nuova specie umana: l’Homo Alaouita. Seconda Parte
Il piccolo cranio scoperto nel deserto del Tafilalet, nel Marocco sud-orientale, è caratterizzato dal ridotto volume della scatola cranica (30 volte inferiore all’homo-sapiens) e dalla morfologia tipica del genere umano.
Questo cranio singolare presenta tutte le caratteristiche morfologiche del genere Homo:
* Posizione del foro occipitale: al centro cosa che gli permetteva di tenere la testa in equilibrio.
* Mandibola: breve, forma parabolica.
*Angolo sinfisario: ottuso, retrogrado.
* Fronte: alta e bombata, come la parte posteriore del cranio.
*Formula dentaria: stimata a 32 denti, inseriti verticalmente.
I parametri del cranio di questo fossile sono assolutamente stupefacenti:
* Circonferenza: 18,4 centimetri
*Angolo facciale: 81 ° (nota del traduttore: un uomo moderno circa 85°)
* Altezza del cranio (dal foro auditivo alla fontanella): 3,9 centimetri.
* Lunghezza del cranio (dal setto nasale alla nuca): 6,1 cm .
*Rapporto altezza su lunghezza: ± 0,639 (nota del traduttore: un uomo moderno ±0.71).
Si tratta senza dubbio di un piccolo Homo bipede adulto, a giudicare dalla presenza dei denti del giudizio.
Ma l’uomo di Tafilalet presenta delle caratteristiche molto particolari:
* Una piccola capacità cranica di ± 45 cc, vale a dire 30 volte inferiore all’homo sapiens.
Ma rispetto al volume cranico, questo sembra indicare una grande encefalizzazione(1).
* Un’altezza atipica stimata tra il 30 e 40 cm!
Malgrado, l’uomo di Tafilalet sia di aspetto moderno, la sua capacità cranica di piccole dimensioni e la sua altezza di circa 40 cm, ci impedisce di inserirlo fra gli Homo sapiens. Siamo quindi di fronte ad una nuova specie umana (Homo Alaouita) e non di un Homo sapiens affetto da microcefalia.
Nel mondo della paleoantropologia, vi è un precedente: L’uomo di Flores (Homo floresiensis) scoperto sull’isola di Flores (Indonesia), la cui altezza è stimata ad un metro e la sua capacità cranica a tre volte più piccola che l’Homo sapiens (380 cc).
Rarissima: una mandibola perfettamente connessa!
L’eccellente stato di conservazione, la mandibola è in loco, come "saldata" al cranio, le cavità nasali intatte, le orbite senza traccia di sedimenti, tutti questi fattori mi portano a formulare la seguente ipotesi, che giustifica nello stesso tempo questi fatti:
il capo dell’Homo Alaouita è stato rimosso e sepolto separatamente.
Infatti, possiamo immaginare che dopo la morte, il capo è stato collocato in un sarcofago, in posizione verticale, prima della sepoltura.
Lo scheletro potrebbe essere sepolto nelle vicinanze. Sarebbe necessario svolgere ulteriori ricerche dettagliate sul sito e le zone circostanti.
Questo rito di sepoltura non è ignoto agli storici e agli archeologi:
Nel 2005, il sito archeologico di Téouma ad est dell ‘isola di Efate (o Vate), isola principale dell’arcipelago di Vanuatu, un team di archeologi guidato dal professor australiano Matthew Spriggs ha scoperto, separatamente delle ossa, e un teschio umano sepolto in un vaso.
Il Professor Spriggs aveva dichiarato che: "…In questo sito, il cranio, non è con le altre ossa. Ciò significa che il capo è stato rimosso e messo da parte.
Il cranio, che abbiamo appena scoperto in un vaso suggerisce che le sue origini sono asiatiche.
In Asia in passato, a la morte di un essere umano, separavano la testa e la mettevano in un vaso prima di seppellirla… ".
E’ stato sempre contestato al piccolo cranio di Tafilalet, che la mandibola sia ancora in loco.
Con il pretesto che non sia stato scoperto nessun altro ominide, completo con la mascella "saldata".
Ma con l’arrivo di Dikika (Selam 3,3 milioni di anni) e la sua mascella ancora associata con il cranio, l’impossibile è diventato possibile.
E deve essere aggiunto che, per ritrovare le altre ossa Dikika, sono stati necessari un certo numero di anni di scavi minuziosi!
Autenticità
Sulle foto sembrerebbe un falso cranio scolpito nella pietra, ma in presenza di questo reperto, si rimane stupiti: la conservazione è perfetta, il cranio è ben proporzionato, e le linee disegnate nei minimi dettagli; tutto ciò fa dubitare sulla sua autenticità.
E’ questo che mi ha condotto a far fare delle radiografie. nonostante questi risultati siano positivi, vi era la necessità di un ulteriore esame più approfondito per avere maggiori certezze.
Per questo, ho dovuto chiedere un parere medico. Il Prof. Abdelkader Alaoui, radiologo e direttore del CHP Moulay Ali Cherif Errachidia, che tengo a ringraziare calorosamente, ha accettato la mia richiesta e, di conseguenza mi è stata rilasciata una relazione ed una copia su CD-Rom delle differenti tomografie formato DICOM.
Relazione della perizia.
Il sottoscritto Alaoui Abdelkader, dottore in medicina, certifica di aver effettuato l’esame radiologico del suddetto piccolo cranio di Tafilalet su richiesta del signor Mohammed Zarouit.
E di aver fatto realizzato differenti tagli millimetrici, effettuati in assiale e coronale, sul cranio del Tafilalet con uno scanner a raggi X, single-bar; Somatom Emotion Siemens.
E aver constatato che diverse densità misurate in periferia (la volta), sono compatibili con la densità ossea:
Le densità medie su un esempio di taglio, varia tra 865 UH e 1166 UH.
Tuttavia, le densità di registrazione al centro (scatola cranica) sono molto basse;
Possiamo distinguere sullo stesso taglio:
* tre intervalli di densità media:
1. [224 - 280] UH
2. [ 320 - 370 ] UH
3. [ 430 - 480 ] UH
* quattro piccole bolle di 1 mm di diametro con densità negativa -100, -77, -126, -170
* alcuni piccoli frammenti di densità ossea.
Le strutture endocraniche riflettono un’architettura particolare e l’assenza di fessure.
E dichiara l’autenticità del piccolo cranio di Tafilalete e anche la possibile fossilizzazione del cervello.
"I risultati sono affascinanti e sono davvero sorpreso dalla plasticità biologica di questo cranio", ha dichiarato il Dr. Alaoui in una dichiarazione per la MAP (Maghreb Arabe Presse), sottolineando che "le informazioni digitali (la densità) dello scanner sono conformi ai valori delle densità ossee ".
Sulle foto del Homo Alaouita si può notare che il profilo destro è leggermente diverso da quello sinistro.
In realtà, il profilo destro è coperto da un deposito sedimentarie, mentre il profilo sinistro è quasi nudo.
Sapendo che il piccolo cranio non è stata "pulito" per precauzione, per non lasciare tracce che potrebbero essere interpretate come tracce di lavorazione.
L’unica spiegazione logica che posso fare è che questo deposito sedimentario è il risultato di infiltrazioni d’acqua provenenti dalla parte superiore del sarcofago verso il profilo destro.
Nonostante le piccole dimensioni e le condizioni del cranio, le suture craniche sono visibili .
Possono essere chiaramente distinte, sulla volta:
1. sutura coronale
2. sutura sagittale
Sul profilo sinistro:
1. sutura coronale
2. sutura squamosa
3. sutura sfeno-frontale
4. sutura sfeno-squamosa
Datazione.
E’ in un terrapieno di sabbia mescolata con della terra ricca di fossili del Devoniano che l’Homo Alaouita è stato trovato.
Questo terrapieno, che si trovava in fondo di una buca di 2 a 3 metri di profondità, è il risultato dei lavori per estrarre alcuni blocchi di marmo con l’aiuto di macchine.
Il luogo della scoperta è una delle tante piccole cave a cielo aperto, che sono sparse nella regione di Erfoud, lungo una vena di marmo che, appare in superficie irregolarmente.
I marmi calcarei del deserto del Tafilalet contengono numerosi fossili marini, come gli Ortoceri e i Goniatidi.
Ci sono anche pesci fossili molto primitivi, del Devoniano.
Questi fossili sono la particolarità dei marmi di Erfoud, si trovano sovente nella sabbia, senza alcun collegamento geologico e anche in strati di terra friabile che separa gli strati di marmo.
E’ difficile sapere esattamente l’età di questo cranio.
Non vi è alcuna prova assoluta, come ad esempio l’impronta nella roccia.
Tuttavia, il cranio, è stato scoperto su uno strato di terreno del Devoniano, che è vecchio di 360 milioni di anni!
Avrei voluto fare una datazione certa, ma, purtroppo, non dispongo della tecnica non distruttiva applicabile a questo fossile.
La tecnica del carbonio 14, per esempio, di natura distruttiva, non può essere utilizzata in questo caso, perché ha bisogno di circa 1 grammo di carbonio puro, che equivale a 200 g di ossa, e il cranio Tafilalet pesa solo 100 g (osso + sedimento).
Anche la tecnica del "potassio-argon 40K/40Ar", è inapplicabile. Nonostante abbia permesso di datare Lucy, perché le ossa di quel fossile, per fortuna erano incorporate in una roccia eruttiva ; ma non è il caso del piccolo cranio di Tafilalet.
Degli scavi, nel deserto Tafilalet e dintorni, dovrebbero essere intrapresi per portare alla luce altre ossa o strumenti in miniatura.
Un possibile ulteriore ritrovamento sarebbe la prova che una tribù di piccoli uomini viveva nella regione. E ci aiuterebbe a meglio datare l’Homo Alauita.
Nella temporanea assenza di datazione precisa, abbiamo due possibilità:
-Il cranio, è molto vecchio e in questo caso l’Homo Alaouita potrebbe essere uno dei nostri antenati, ma di 40 cm di altezza.
-Il cranio, è recente e in questo caso l’Homo Alauita potrebbe essere la testimonianza dell’esistenza di uomini in miniatura che vivono tra noi, inosservati!
Il libro della storia del genere umano non è ancora completo.
Forse l’uomo è più vecchio di quanto pensiamo, e che vi sono state civiltà che sono scomparse…
Se il piccolo uomo risale al Devoniano, esso è vissuto 130 milioni di anni prima dei dinosauri!
È probabile che i nostri antenati fossero piccoli all’origine (l’Australopithecus era alto un metro circa).
Questa ipotesi è in linea con quanto ha dichiarato Pascal Tassy, professore presso il Museo (MNHN), in merito alla scoperta in Marocco nel giugno 2005, di un mini elefante , le cui dimensioni non dovevano superare quella di una volpe.
"Questo significa che anche gli elefanti hanno iniziato piccoli".
http://www.casafree.com/modules/news/article.php?storyid=2742
E’ vero che la datazione di Homo Alaouita è un problema e i primi risultati sono in contrasto con le nostre attuali conoscenze, tuttavia, questo non dovrebbe in alcun modo costituire un pretesto per contestare la scoperta.
Perché il piccolo cranio di Tafilalet è una realtà tangibile che gli scienziati possono osservare, manipolare e analizzare.
E’ la prova inconfutabile dell’esistenza di una nuova specie umana.
E poiché questa meraviglia mette in causa due principi fondamentali della nostra conoscenza, ho dovuto inviare molte richieste di contro-perizia agli esperti delle autorità interessate, per conoscere la fine della storia.
Per il momento, non ci sono risposte e io attendo sempre con pazienza la reazione di queste onorevoli istituzioni.

(1) l’encefalizzazione indica il fenomeno dell’accrescimento della taglia del cervello, in particolare in rapporto al resto del corpo, osservata nel corso dell’evoluzione.
Per un supporto per uno studio approfondito di questo reperto, o per una proposta di una contro perizia, per favore contattarmi al seguente indirizzo:
paleo_maroc@yahoo.fr
o al seguente indirizzo postale:
Zarouit Mohammed
CFI Errachidia,BP 08 Errachidia
52 000 Marocco

Traduzione di Giuditta

Fonte: http://tuttouno.blogspot.com/

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La stirpe dei re
giu 12th, 2008 | By admin | Category: Archeologia proibita
L’origine della casta sacerdotale egizia e dei suoi faraoni rimane un enigma storico intricato da sciogliere poiché la sua formazione risale a tempi così remoti da non averci lasciato sufficiente memoria archeologica. I documenti di cui disponiamo infatti, sono solo quelli emersi dalla tradizione egizia, la quale, rimanda l’instaurazione dell’elite dominante più antica d’Egitto ai c.d. “seguaci di Horus”. Questi ultimi però, stando alla scuola di pensiero ortodossa, non sarebbero mai realmente esistiti in quanto parte integrante della mitologia egizia. Pertanto, l’unica soluzione del mistero sembra poter provenire dall’area della c.d. archeologia eretica, una disciplina che contempla da tempo la possibilità secondo cui i seguaci di Horus potrebbero essere esistiti veramente. Si sarebbe trattato degli ultimi superstiti di un evoluto gruppo etnico non originario dell’Egitto che avrebbe svolto il ruolo di civilizzatore sugli altri popoli dopo l’ultima glaciazione. Un argomento quindi che si presenta come un vero e proprio “campo minato” della ricerca archeologica, dove come anzidetto, le certezze sono davvero poche. La genesi della prima aristocrazia egizia è così rimasta confinata da tempo nell’enorme calderone delle congetture accademiche ed eterodosse. Tuttavia, dei punti fermi ci sono ed è possibile partire da questi per trarre qualche interessante conclusione.
Le migrazioni dei popoli durante il processo di deglaciazione
In tempi assai remoti la sopravvivenza della civiltà umana è stata messa a dura prova dagli assestamenti climatici e geofisici che seguirono all’era glaciale. La nostra specie quindi precipitò più volte nel caos proprio come descritto dalle tradizioni che riportano la storia del c.d. diluvio universale. Pertanto è assai probabile che nel processo di “ricostruzione”, l’etnia più avanzata abbia svolto un ruolo guida sul resto dei popoli del globo. Ciò spiegherebbe infatti l’origine comune delle credenze più antiche. Si pone quindi necessario ripercorrere brevemente gli eventi catastrofici legati all’ultima glaciazione per arrivare poi a comprendere se la tradizione egizia possa avere o meno un fondo di verità storica.

Circa 20.000 anni or sono cominciò il processo di deglaciazione colpevole di aver riversato enormi masse d’acqua su tutti i continenti provocando così l’innalzamento degli oceani di ben 130 metri. Si trattò di uno scioglimento dei ghiacci violento che si manifestò in diverse epoche con brusche inondazioni improvvise. I glaciologi infatti, hanno recentemente supposto che l’origine di molte catastrofi ambientali locali tramandateci dalle antiche tradizioni (avvenute in periodi e località diverse) sia da attribuire al cedimento delle c.d. “dighe di ghiaccio” (citaz. Professor Cesare Emiliani, “Placet Earth”, p.543) naturali che si formarono durante il processo di scongelamento dei ghiacciai. Queste ultime costituirono quindi una sorta di enormi muraglie di contenimento per gli immensi bacini d’acqua che si andavano accumulando al loro interno. In seguito però le “dighe” di ghiaccio cominciarono a cedere sotto la pressione crescente dell’acqua a cui si contrapponevano pareti di ghiaccio sempre più sottili. E alla fine tutta l’acqua dei ghiacciai si riversò bruscamente sui continenti cagionando diversi terribili inondazioni. La più violenta di tutte si sarebbe verificata intorno al 12.000 a. C.. (ibidem) con una estensione di livello globale. Ecco cosa si verificò esattamente secondo il professor Cesare Emiliani: “Durante l’ultima era glaciale, il ghiaccio raggiunse la sua massima espansione 20.000 anni fa. Quasi immediatamente cominciò la deglaciazione, che progredì rapidamente. Talvolta l’acqua di scioglimento formava un bacino dietro a una diga di ghiaccio e quando la diga crollava la conseguenza era un enorme ondata d’acqua. Un’alluvione con questa origine accadde nell’America nord-occidentale 13.500 anni fa quando una diga di ghiaccio che tratteneva 2000 chilometri cubici d’acqua di scioglimento (il lago Missoula) crollò. [..] Come risultato dell’alluvione che formò la Scabland, il livello del mare si alzò molto rapidamente di almeno venti metri. Già 12.000 anni fa più del 50% del ghiaccio era ritornato all’oceano, e il livello del mare si era alzato di quaranta metri.” La massa d’acqua imbrigliata dal freddo doveva essere veramente impressionante dal momento che la formazione delle cappe di ghiaccio potevano arrivare fino a 4000 metri (“Civiltà sommerse”, p.94) con un estensione assai superiore a quella dell’attuale antartico (C.Emiliani, planet earth, p.543). Il peso del ghiaccio sulla superficie della terra creò poi sotto di se delle depressioni a forma di coppa profonde circa 1 km.
Il calore proveniente dall’interno della terra rimase così intrappolato sotto le coltri di ghiaccio che cominciarono a sciogliersi dal fondo fino a formare immensi laghi di acqua dolce. Per due volte, in Nordamerica e in Siberia occidentale, questi laghi sfondarono i loro margini di ghiaccio e determinarono enormi e disastrose inondazioni. Sappiamo infatti che il livello del mare s’innalzò bruscamente a livello globale in almeno due occasioni, la prima si verificò circa 13.000 anni fa mentre la seconda appena duemila anni dopo (Cesare Emiliani, “Scientific Campanion, p.251, 157). Sulla stessa linea di pensiero si pone anche il professor John Shaw, un insigne professore di scienze della terra dell’Università di Alberta (Canada) che si è guadagnato fama internazionale per essere uno dei più autorevoli esperti al mondo su l’ultima era glaciale. Si tratta dell’autore di un impressionante numero di ricerche e di pubblicazioni sulle cause che furono all’origine delle più recenti catastrofi naturali legate allo scioglimento dei ghiacci. Le sue seguenti conclusioni sull’argomento godono quindi della massima attenzione di tutti gli esperti: “Sembra che le grandi coltri glaciali che coprivano il Canada, la maggior parte della Scandinavia e gran parte della Russia settentrionale invece di essere formate da ghiaccio puro e roccia, risultassero formate a uno stadio tardo da roccia alla base, e poi da un lago o bacino di acqua subglaciale, e infine dal ghiaccio. Ed è possibile che quando si verificò il riscaldamento, la parte più alta del ghiaccio cominciasse a sciogliersi e la zona di ablazione e la quantità di acqua subglaciale diventassero sempre più grandi. Eppure la coltre di ghiaccio deve aver continuato a sigillare i margini tutt’intorno fino a quando un po’ come avviene normalmente per una comune tazza del water, non si aprì la valvola e l’acqua arrivò giù di colpo. In Canada ad esempio (almeno in una occasione) l’acqua uscì letteralmente rigurgitando da tutte le parti, eccetto che a est dello stretto di Hudson dove si trovava una grande barriera di ghiaccio. Così l’acqua uscì verso sud attraverso San Lorenzo, i Finger Lakes, il corso del Red River e molte altre località. In questo modo venne introdotta negli oceani una grande quantità d’acqua che deve avere determinato inondazioni della durata di settimane”. Secondo l’autorevole parere di Shaw si verificarono così diverse “superinondazioni globali” precedute e succedute nel tempo da altre alluvioni locali di minore entità. Lo scioglimento dei ghiacci avrebbe così seguito le dinamiche burrascose a “gradini” da cui prende il nome la teoria elaborata in proposito dal professor Shaw. Uno dei misteri geoclimatologici rimasti irrisolti riguarda invece la “bizzarra” correlazione tra il periodo di glaciazione e il concomitante incremento dell’attività vulcanica (“Civiltà Sommerse”, p.97).
In conseguenza dei continui mutamenti climatici e ambientali che seguirono alla fine dell’ultima era glaciale, le popolazioni che si erano insediate in Mesopotamia e nel Mar Rosso (quando il golfo persico era ancora una terra emersa), furono costrette a traslocare altrove. E poiché la religione egizia presenta imbarazzanti tratti in comune con quella mesopotamica, è molto probabile che la sua casta sacerdotale derivi la propria origine razziale dalle migrazione delle genti provenienti proprio da tale regione. Gli egizi e il popolo sumero della Mesopotamia infatti, seppur con appellativi diversi adoravano le stesse identiche divinità lunari (“Impronte degli Dei”, G. Hancock, ediz. Corbaccio, p.176), ovvero proprio quelle che risultano essere le più antiche. Il Dio egizio Thot ad esempio, trova il suo esatto corrispettivo nel Dio sumerico Sin (Archaic Egipt, cit., p.38). Ed ecco infatti cosa scrisse a tal proposito l’eminente egittologo Sir Wallis Budge: “La somiglianza tra i due Dei è troppo forte per essere accidentale…sarebbe sbagliato ritenere che gli egizi lo mutuarono dai sumeri o i sumeri dagli egizi, ma si potrebbe avanzare l’ipotesi che le classi colte di entrambi i popoli acquisirono i sistemi teologici da una fonte comune ma estremamente antica”. E ciò spiegherebbe anche il fatto per cui l’aristocrazia egizia fosse etnicamente diversa dal resto della popolazione su cui governava. Essa infatti aveva un gruppo sanguigno del tipo A (associato normalmente alle c.d. razze ariano-caucasiche) a dispetto di una popolazione locale caratterizzata pressoché integralmente dal gruppo “0” (citaz. Murry Hope, “Il Segreto di Sirio”, ediz. Corbaccio, 1997). Tale insolita differenza nel gruppo sanguigno lascia quindi ragionevolmente supporre che i faraoni discendessero da una razza dominante che regnò anticamente anche sull’area mesopotamica dove diede origine ad una delle più grandi civiltà della storia antica. Peraltro, lo stesso tipo di scoperta è stata effettuata anche sulle mummie incas (vedi capitolo archeologia proibita) confermando così l’ipotesi che rintraccia l’opera civilizzatrice post-glaciale in una specifica etnia.
Un antica razza dominante
Nel sito archeologico maltese di Hal Saflieni sono stati ritrovati dei crani dalle caratteristiche molto interessanti appartenuti ad un ceppo razziale diverso da quelli finora studiati. Alcuni dei reperti presentano infatti caratteristiche dolicocefale naturali e il loro ritrovamento in uno dei più antichi luoghi di culto megalitici lascia presupporre che siano appartenuti alla stirpe sacerdotale identificata dai popoli egizi e mesopotamici con l’appellativo di sacerdoti-serpente (visto l’anomalo aspetto che li caratterizzava). Questi ultimi avrebbero vissuto come una casta chiusa per diversi millenni finendo poi con il mescolarsi all’aristocrazia degli altri gruppi etnici locali.


Fig.1 Foto di un confronto tra un cranio normale e uno dolicocefalo di Hal Saflieni
Gli strani crani dolicocefali (caratterizzati da uno sproporzionato allungamento della parte posteriore) scoperti a Hal Saflieni sono stati rinvenuti dagli archeologi all’interno di un tempio sotterraneo dedicato al culto della Dea madre, (un credo religioso poi mutuato dagli egizi con la figura della Dea Iside) insieme ad una piccola statua di una Dea dormiente associata ad un reperto con sopra inciso un serpente. Tali particolari resti umani sembrano corrispondere perfettamente a quelli riportati alla luce in Egitto dall’egittologo W. Emery e potrebbe quindi trattarsi di reperti chiave per comprendere il collegamento etnico-culturale esistito in origine tra la casta sacerdotale egizia e quella mesopotamica. L’acqua del pozzo sacro era considerata il simbolo della Dea madre, della fecondità e del principio femminile, la caverna del sito quindi era considerata dalla casta sacerdotale una metafora del grembo materno e dell’acqua rigenerativa contenuta nel sacco amniotico. L’ipogeo inoltre è famoso per ospitare numerosi alveari di api di cui però non è possibile risalire con certezza all’epoca del loro primo insediamento (stimato dalle datazioni ortodosse a non prima del IV secolo d.c.). Resta però il fatto, che ritroviamo il concetto di pozzo sacro anche all’interno delle cattedrali gotiche legate alla cultura esoterica che si richiama alla tradizione antidiluviana mentre l’ape venne addirittura adottata come simbolo regale egizio (e in seguito dai re Merovingi di origine ebraica come Dagoberto II). Troviamo infatti alveari anche all’interno di in una delle cattedrali gotiche più misteriose del mondo, la Cappella gotica di Rosslyn (vedi capitolo templari).

A sin. foto della statuina trovata nell’ipogeo che raffigura la Dea Madre dormiente – a destra il simbolo dell’ape del sigillo reale merovingio di re Dagoberto II riproducete il simbolo oggi noto come stella ebraica a sei punte.
L’esistenza dei crani dolicocefali maltesi venne accertata solo nel 1985 ed in seguito vennero esposti per qualche tempo nel Museo Archeologico della Valletta. Ultimamente però sono stati rimossi e chiusi in un deposito del museo non accessibile al pubblico (citaz. servizio realizzato da Adriano Forgiane e da Vittorio di Cesare per Hera edizioni). Di essi rimangono comunque le fotografie scattate dal dott. Anton Mifsud e dal suo collega, il dott. Charles Savona Ventura (fig.1) nonchè i saggi di approfondimento che scrissero a tal proposito dopo avere esaminato e documentato una intera collezione di teschi dalle caratteristiche molto particolari. Le anomalie più interessanti riscontrate riguardano l’assenza delle normali linee di saldatura cranica, poiché tale peculiarità anatomica sembra essere all’origine sia dell’allargamento delle pareti temporali (eccezionalmente brachicefali) che dell’allungamento della scatola cranica nella parte posteriore (eccezionalmente dolicocefali).

Foto di un cranio dolicocefalo incas

Al termine di una conferenza stampa organizzata nel 2006 dal dottor Robert Zammit (HERA n.18, 2006, pag. 14 -I crani di Malta) in veste di responsabile dell’Ente Provinciale Turismo di Malta, una delegazione della rivista HERA (specializzata in temi come l’archeologia proibita) ottenne il permesso di accedere al vicino museo archeologico della Valletta per esaminare gli straordinari reperti. E alla presenza dello studioso Mark Anthony Mifsud, gli inviati di Hera poterono confermare che tra i crani trovati nell’ipogeo di Hal Saflieni ve ne era uno particolarmente raro. Presentava infatti una dolicocefalia atipica e molto pronunciata, ovvero uno sproporzionato allungamento della parte posteriore della calotta cranica nella più completa assenza della sutura mediana tecnicamente detta linea “sagittale”. Un particolare anatomico considerato quasi impossibile dalla letteratura medica internazionale in quanto eccetto quelli trovati anche in Egitto (citaz. W. Emery, “Arcaic Egipt”) e in sudamerica (poi dimenticati e abbandonati nei depositi) , non esistono reperti analoghi. E come già accennato la mancanza della sutura cranica sagittale potrebbe essere quindi all’origine della conformazione dolicocefala tipica della stirpe umana che anticamente si impose come casta dominante. Tale tipo di patologia può essere fatta risalire al culto esasperato della purezza del sangue in uso presso alcuni antichi lignaggi regnanti e al concepimento tra consanguinei. Del resto, gli studi genetici hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che la procreazione tra membri dello stesso clan familiare è la causa primaria delle malformazioni genetiche naturali.
Il mistero della caverna delle ossa
Il sottosuolo dell’ipogeo di Hal Saflieni venne esplorato per la prima volta da Sir Themistocles Zammit agli inizi del ‘900 con lavori di scavo che riportarono alla luce i resti di circa settemila persone sepolte in uno strato di terriccio rosso (J.D. Evans, The Preistoric Antiquities of The Maltese Islands: A survey . University of London, 1971, 58; Trump, op. cit.,7; Colin Renfrew, “Before Civilization: The Radiocarbon Revolution and Prehistoric Europa, London, Pimlico, 1999, 63). Di quel ritrovamento però, oggi restano solo sei teschi stipati nei sotterranei cavernosi del National Museum of Archeology di Malta senza che nessuno sappia indicare che fine abbia fatto il resto dell’ingente mole di reperti. I funzionari del Museo affermano infatti che sono semplicemente “scomparsi” (Civiltà sommerse p.424). Gli scavi in questione vennero svolti sotto la direzione dell’archeologo gesuita Emmanuel Magrì in veste di commissario del museo della Valletta. Durante i lavori di dissotterramento i ricercatori trovarono le migliaia di scheletri completamente disarticolati insieme a frammenti di vasellame e di altri piccoli oggetti (Civiltà sommerse p.458 citaz. Dell’opera di J. D. Evans, 45) che testimoniavano il passaggio di un cataclisma marino improvviso di notevoli dimensioni come uno tsunami. I dogmi accademici però sono destinati a sopravvivere grazie alla “casuale” sparizione delle prove decisive. E non appena lo studioso gesuita terminò di redigere l’inventario dei reperti dissotterrati venne fatto trasferire dall’ordine Gesuita in Tunisia dove morì improvvisamente (1907).
Pertanto, il professor Magrì non riuscì mai a portare a termine la pubblicazione del suo dettagliato rapporto sui preziosi ritrovamenti archeologici del sito e il dossier che aveva redatto sparì subito dopo il suo decesso (ibid J.D. Evans, 45. – David Trump “Malta Archeological Guide. Valletta, 1990, 67). Si trattava forse di documentazione in grado di smentire una volta per tutte la datazione ufficiale del sito?
L’occultamento scientifico delle prove
Nell’autorevole Archeological Guide di Malta (“Civiltà sommerse” p. 488-9) scritta da David Trump nell’anno 2000 viene affermato: “a osservare la parete di fronte alla scala che scende al livello inferiore. Linee scure di pigmento nero tratteggiano un’immagine che in apparenza è quella di un toro. E’ eseguita con una certa rozzezza e la testa e le spalle non si sono conservate. Che si tratti di un disegno antichissimo e intenzionale è dimostrato dal fatto che la tinta ocra applicata alla parete s’interrompe esattamente all’altezza della linea nera”. Ma il vero motivo per cui la testa e le spalle dell’animale non si sono “conservate” è che il “toro” dell’ipogeo è stato parzialmente rimosso per espresso ordine del direttore del dipartimento dei musei (Dossier Malta, Anton e Simon Misfud, 1997, p.168). Pertanto, quello che Trump definisce “toro”, Misfud preferisce chiamarlo “bisonte” in quanto originariamente era stato disegnato proprio quest’ultimo, ovvero il membro di una specie animale europea estintasi dopo l’ultima era glaciale. Peraltro, a supporto dell’interpretazione di Misfud, nell’ipogeo sono stati trovate anche altre pitture realizzate con il nero di biossido di manganese che raffigurano senza dubbio il bisonte europeo del pleistocene, un animale caratterizzato da una piccola gobba sul dorso, corna minute e coda corta (Megary, T, 1995, Society in Preistory, p.261). Insieme al cavallo infatti, il bisonte era un tema figurativo rupestre assai ricorrente nel periodo del Paleolitico europeo.
Ma la circostanza più scandalosa è che la cancellazione parziale del disegno conservato in migliori condizioni avvenne a causa di una disputa accademica in cui il toro era stato dichiarato essere in realtà un bisonte da molti ricercatori. Il direttore del sito archeologico Mallia pensò allora di porre fine alle contestazioni con un colpo di mano facendo sparire una volta per tutte la parte della pittura rupestre che svelava la vera identità dell’animale rappresentato. Gli esami al radiocarbonio condotti su alcuni reperti provenienti dal sito maltese di Ghar Dalam indicano con certezza la presenza umana a Malta già intorno al 5200 a.C., confermando l’esistenza del luogo di culto in pieno periodo neolitico.
I sacerdoti serpente della Dea madre

Foto di una antica statuina sumera con le fattezze dolicocefale dei sacerdoti serpente

In età preistorica entrambe le isole di Malta e Gozo furono sede di importanti luoghi di culto dediti alla venerazione della c.d. dea madre. Tali siti divennero così veri e propri centri taumaturgici dove praticare incontri rituali con i sacerdoti a cui la popolazione attribuiva capacità curative. E il ritrovamento di crani dolicocefali naturali proprio all’interno dei templi megalitici lascia ragionevolmente supporre che essi siano appartenuti ai rappresentanti del clan dominante che esercitava tecniche terapeutiche presso quei luoghi. Anticamente infatti, gli esclusivi depositari del sapere erano i membri delle caste sacerdotali, considerati per tale ragione un “ponte” con il divino o vere e proprie divinità a cui riconoscere i massimi poteri. Pertanto, il culto dei sovrani divini tramandato fino ai faraoni egizi (considerati appunto sommi sacerdoti) può essere debitamente fatto risalire proprio all’arcaica tradizione dei re-sacerdoti di ancestrale memoria.
Il simbolo del serpente inoltre, compare sin dalla notte dei tempi associato alla conoscenza (basti pensare al simbolo del caduceo ancora riportato sulle moderne ambulanze) e alle caste sacerdotali. Il motivo di una simile associazione però è tuttora un mistero a quale forse si può tentare di fornire una spiegazione proprio grazie al sorprendente ritrovamento dei crani dolicocefali naturali. Tali anomali reperti infatti, sembrano voler testimoniare la presenza di malformazioni genetiche nel clan dei re sacerdoti idonee ad avergli fatto attribuire l’appellativo di “sacerdoti serpente”. Poiché come è facile intuire, un cranio dolicocefalo molto sviluppato è una patologia a cui doveva corrispondere lo stiramento dei lineamenti e dei muscoli facciali determinando sembianze serpentine (occhi, labbra e orecchie allungate). Peraltro, l’ipotesi che i soggetti dal cranio dolicocefalo naturale costituissero l’elite della popolazione in epoca megalitica può dirsi confermata dai reperti archeologici. L’uso del bendaggio cranico rituale in età infantile infatti, venne utilizzato in epoca remota sia dagli incas che dagli egizi come tecnica per ottenere crani dolicocefali simili a quelli (molto più rari) di origine naturale che oggi sappiamo essere esistiti veramente. L’arcaica tecnica della manipolazione della forma della testa deve quindi essere stata concepita come strumento per somigliare fisicamente ai membri della casta dominante. E’ quindi legittimo supporre che a causa del loro millenario isolamento genetico dal resto della popolazione, i c.d. sacerdoti “serpente” abbiano finito per costituire una vera e propria razza a parte (salvo che non lo fossero già in origine). Tale ipotesi infatti trova conferma e supporto nel lavoro d’indagine effettuato dagli archeologi maltesi a cui fu consentito di esaminare materialmente i reperti in questione. Anthony Buonanno e Mark Mifsud quindi, pur sottolineando il fatto di non aver avuto modo di effettuare gli esami del DNA o del C-14, hanno comunque ritenuto di potere concludere con certezza che i crani naturalmente dolicocefali dovevano appartenere ad una razza diversa e quindi non autoctona del luogo. Una stirpe di cui abbiamo perso le tracce probabilmente a causa di una loro successiva ed inevitabile assimilazione con il resto dell’aristocrazia indigena.

La fusione della stirpe dominante con le altre razze

Il professor Walter. B. Emery (1903-1971), un illustre egittologo che condusse numerose operazioni di scavo in Egitto (in particolare a Saqqara) negli anni ‘30 scrisse un volume molto interessante. In “Archaic Egypt” infatti, egli documentò il ritrovamento a Saqqara di reperti umani dal cranio dolicocefalo risalenti all’epoca pre-dinastica. E proprio come sostenuto dai ricercatori maltesi egli scoprì che non poteva trattarsi di una stirpe autoctona in quanto, non solo possedevano un cranio più grande rispetto a quello dell’etnia locale, ma presentavano anche molti altri caratteri genetici atipici per il clima del luogo, come capelli chiari, corporatura molto più robusta della media e una statura superiore. Emery dichiarò quindi oltre ogni ragionevole dubbio che tale ceppo razziale non poteva essere originario dell’Egitto (come sappiamo non esserlo di Malta) ma che ciononostante aveva svolto in loco un ruolo sacerdotale e governativo di prim’ordine. Aggiunse poi che tale gruppo etnico si tenne a distanza dai ceti sociali più bassi accettando di unirsi carnalmente solo con la classe aristocratica locale. Tale gruppo etnico venne in seguito identificato dall’eminente egittologo con la casta dominante che la tradizione egizia chiamò con l’appellativo di Shemsu Hor, ovvero i “Seguaci di Horus” (da cui deriva l’antico culto del sole e della dea madre), oggi ritenuti invece personaggi puramente mitologici. Gli Shemsu Hor sono menzionati dalla tradizione come classe sacerdotale dominante nell’Egitto predinastico (fino al 3000 a.C. circa), e la loro esistenza è documentata sia nel papiro di Torino quanto nelle liste dei re di Abydos. È inoltre interessante notare che lo stesso W. Emery scrisse: “verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto come “Seguaci di Horus” ci appare come un’aristocrazia altamente dominante che governava l’intero Egitto” (cit. “Archaic Egipt”). La teoria dell’esistenza di questa razza del resto risulta suffragata dalla scoperta (a nord dell’Alto Egitto) di antiche tombe risalenti al periodo pre-dinastico con all’interno gli anomali reperti umani anzidetti.
++
Mummie che testimoniano oltre ogni ragionevole dubbio l’esistenza in epoca preistorica di una stirpe di individui con differenze anatomiche talmente marcate da non poter essere associati allo stesso ceppo razziale del popolo egizio autoctono. E la fusione tra le due razze avvenne probabilmente solo durante l’unificazione dei due regni d’Egitto. In conclusione quindi, gli strani crani dolicocefali egiziani trovano corrispondenza negli straordinari reperti umani trovati a Malta. Il suddetto ceppo razziale sacerdotale dal cranio lungo e i caratteri nordici sembra poi essere scomparso per assimilazione sia a Malta che in Egitto nello stesso identico periodo, ovvero tra il 3000 e il 2500 a.C.. Esistono poi indizi circa l’esistenza della stirpe dei sacerdoti “serpente” anche in medio-oriente, e più precisamente all’interno del ceppo ariano dei Mitanni. Questi ultimi infatti venivano indicati dagli egizi con il nome di “Naharin”, un termine che significa “quelli del serpente” (da Nahash, serpente). Inoltre le caratteristiche anatomiche della loro casta regnate presentava importanti analogie con quelle descritte da W. Emery (capelli chiari, alta statura e corporatura robusta) riguardo ai reperti umani trovati in egitto che egli associò alla figura mitica dei c.d. “seguaci di Horus”.
Del resto, la tradizione dei “sacerdoti serpente” (cfr. HERA n.13 e n.14) trae storicamente origine proprio dal Medioriente, con il suo centro principale di sviluppo nel Kurdistan. E intorno al 5000 a.C. infatti, la cultura matriarcale mitannica di Jarmo rappresentava le dee madri come divinità dal volto dai tratti serpentiformi e con il cranio eccezionalmente dolicocefalo, ovvero con le stesse fattezze della stirpe dei sacerdoti serpente egizi e maltesi. I membri di questa particolare casta sacerdotale vennero considerati dal resto delle popolazioni medio-orientali come semi-dei civilizzatori in perfetta corrispondenza di quanto stava avvenendo nel frattempo in Egitto per i c.d. seguaci di Horus. E il ritrovamento nella terra del Nilo delle statuine dedicate al culto della dea madre dal volto di vipera testimonia proprio questo assunto. Peraltro, la datazione ufficiale delle sculture in questione le fa risalire esattamente al periodo arcaico in cui sarebbero arrivati in Egitto i c.d. seguaci di Horus. E’ quindi lecito concludere che i sacerdoti serpente furono il ceppo razziale più antico e progredito del mondo antico poiché troviamo traccia della loro effettiva esistenza sia in Egitto (successivamente a migrazioni risalenti al 6000/4000 a.C. – cfr. HERA pag.10) che sull’isola di Malta. La loro stirpe sembra poi essere sparita nel nulla intorno al 2.500 a.C., periodo in cui molto probabilmente cominciarono a fondersi con le aristocrazie locali. Ma ciononostante, il simbolo per eccellenza della casta dei faraoni egizi continuò ad essere il serpente per tutti i millenni che seguirono e basta osservare la riproduzione di un faraone qualsiasi per rendersene conto. Il loro copricapo all’altezza della fronte era caratterizzato dalla raffigurazione della testa di un cobra mentre la barba del faraone veniva annodata in modo da sembrare la coda di un serpente.

Anche il culto della Dea madre continuò ad essere tramandato dai sacerdoti egizi attraverso la figura della Dea Iside rappresentata a tale scopo con un bambino in grembo. Peraltro, il faraone Amenofi III ebbe come seconda moglie di nome Tadu-Heba una principessa mitannica da cui concepì Akhenaton, il faraone dolicocefalo che riportò l’antico culto del sole (la cui origine risalirebbe ai seguaci di Horus) al di sopra di tutte le altre divinità del consolidato pantheon egizio tebano.

Durante il suo breve regno infatti, il faraone eretico rivoluzionò l’arte egizia imponendo ovunque uno stile dolicocefalo di cui oggi disponiamo ampia documentazione. Lui stesso quindi, quanto sua moglie Nefertiti e i suoi figli possedevano vistosi crani dolicocefali con il volto dai tratti serpentiformi. Akhenaton e la sua famiglia insomma erano indubbiamente caratterizzati dalle stesse anomalie anatomiche della stirpe predinastica menzionata dall’egittologo W. Emery (nota nel mondo antico come sacerdoti serpente) nel suo ponderoso volume “Arcaic Egipt” (presenti anche a Malta e in sudamerica).

Un misterioso limbo di 300 anni
Secondo l’archeologia ortodossa i crani anomali di Malta risalirebbero al 2.500 a.C. (nessuno però si è mai preso la briga di effettuare o autorizzare esami al C-14 e quindi in realtà potrebbero essere molto più antichi) una data in cui la storia megalitica dell’isola sembra cessare di colpo. Gli archeologi suggeriscono addirittura che Malta a partire dal 2500 a. C. sia rimasta disabitata per circa 300 anni, ovvero fino a quando non venne colonizzata dai fenici. Un popolo che continuò ad edificare templi sull’isola dedicati al culto della Dea Madre, da loro chiamata “Astarte”, la Dea dal volto di serpente. Ma a dispetto di quanto affermato dalla teoria maggioritaria vi sono fondate ragioni per ritenere il periodo megalitico molto più antico di quanto datato finora. Graham Hancock infatti (citaz. “Civiltà sommerse”), dopo avere effettuato accurati studi e ripetute immersioni nei vicini fondali ha dichiarato di avere scoperto che il sito preistorico di Hal Saflieni è in realtà molte migliaia di anni più antico di quanto finora stabilito per convenzione a livello accademico. E le prove raccolte in proposito sono addirittura schiaccianti. Ha scoperto ad esempio che nella odierna zona portuale di Grand Harbour sorgevano i resti di un tempio megalitico che venne inghiottito dal mare dopo l’ultima glaciazione (p.424 Civiltà sommerse). E stando alla documentata testimonianza di Jean Quintinus, (anno 1536) Hancock avrebbe perfettamente ragione in quanto il sito preistorico nel XVI sec. si estendeva ancora lungo tutto il porto fino a scomparire negli abissi marini (citaz. Malta, Echoes of Plato’s Island, The preistoric society of Malta, 2000, 42). Un ulteriore conferma in tal senso ci viene fornita dallo studioso Megeiser (anno 1606), il quale affermò di essere riuscito a vedere una parte della antica costruzione composta da blocchi rettangolari di incredibili dimensioni (ibid). E tali dichiarazioni risultano addirittura corroborate dalle asserzioni di molti altri ricercatori che visitarono il sito archeologico nell’800. Omai però vi è più alcuna traccia dei reperti in questione a causa della loro rimozione durante i lavori di costruzione del porto. Ma se lo studioso avesse ragione significa che il passaggio dall’epoca megalitica a quella fenicia non sarebbe stato di soli 3 secoli, ma avrebbe avuto bensì un intervallo di diverse migliaia di anni. E cioè, proprio il periodo di tempo che secondo i teorici dell’archeologia “eretica”, separò di netto la negletta civiltà preistorica antidiluviana dall’inizio della civiltà conosciuta. Ed ecco ad esempio cosa ha affermato testualmente in proposito (“Civiltà sommerse”p.479) l’archeologo maltese Anton Misfud: “L’accumulo dei resti umani nell’ipogeo di Hal Saflieni non sarebbe il risultato di una sepoltura rituale, ma le ossa sarebbero state trascinate nel labirinto dell’ipogeo dall’azione dell’acqua su una matrice di terra rossa e terriccio”. Le ossa infatti vennero ritrovate violentemente frantumate e scomposte insieme a quelle degli animali e ad ogni altro genere di detrito in un deposito omogeneo e non stratificato per diverse epoche. Ciò significa inevitabilmente che i reperti furono spinti nell’ipogeo durante una unica grande inondazione che può essersi verificata solo in un epoca post-glaciale molto più remota di quella attualmente stabilita. Una circostanza che testimonia l’esistenza del tempio in data molto anteriore al 3000 a. C..

Una simile rilettura archeologica della storia spiegherebbe inoltre il fatto per cui l’isola rimase disabitata per così lungo tempo in coincidenza del passaggio tra una civiltà e l’altra. Il vuoto storico tra le due ere insomma, può essere dovuto al passaggio dell’ultimo grande cataclisma post-glaciale. Ma purtroppo, come spesso accade in questi casi, tale ipotesi non può neppure essere presa in considerazione dal mondo accademico in quanto incompatibile con il dogma ortodosso secondo cui prima del 3000 a.C. non può essersi sviluppata alcuna civiltà socialmente evoluta. In ultima analisi, gli straordinari crani dolicocefali naturali di Malta sono reperti ufficialmente rimasti incompresi, ma la loro “ingombrante” presenza testimonia l’esistenza storica di un arcaico lignaggio sacerdotale che sembra essere rimasto geneticamente isolato fino al 2.500 a.C.. (periodo in cui probabilmente cominciò a fondersi con l’aristocrazia locale). Ed è ad esso che probabilmente dobbiamo il substrato religioso e spirituale che caratterizzò la nascita improvvisa delle più grandi civiltà del Mondo antico. Il loro status sociale di eruditi “divini” può quindi essere ragionevolmente attribuito all’eredità culturale della perduta civiltà antidiluviana di cui ci informano le nostre antiche tradizioni. Sappiamo inoltre che i membri di questa dimenticata elite etnica continuarono a sopravvivere tra i faraoni egizi e i regnanti Mitanni. I loro discendenti infatti, devono avere regnato all’ombra della storia ufficiale almeno fino al 1351 a.C., periodo in cui il faraone “eretico” Akhenaton tentò di restaurare l’antico culto solare delle origini.
Di Marco Pizzuti
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