lunedì 16 aprile 2012

Il socialismo

a cura di Alberto Goattin & Michele Paveggio

Secondo Salgari il socialismo nel Duemila è praticamente scomparso, non avendo dato i benefici previsti. Le classi sociali, in questo modo, sono tornate ad essere formate da “ricchi e poveri”, “padroni e dipendenti”.
Alcuni vecchi socialisti sopravvissuti vivono coltivando alcune plaghe della Patagonia e della Terra del Fuoco, dimenticati da tutti.

Il movimento operaio crebbe in parallelo al processo di sviluppo industriale: fu un prodotto specifico della modernizzazione, reso esteso e omogeneo dal libero scambio e dall'economia di mercato. Il movimento operaio nacque in Inghilterra, di fatto il primo Paese ad essersi industrializzato e quindi anche il primo a sperimentare il processo di organizzazione del proprio proletariato.
Le prime idee socialiste avevano cominciato a farsi strada in Europa nella prima metà dell’Ottocento, riprendendo alcune teorie dell’illuminismo francese (critica del mondo capitalista sul piano morale e pratico): i primi pensatori socialisti cominciarono a immaginare nuove forme di società, nelle quali veniva realizzata la comunanza dei beni e tutti vivevano in armonia (Robert Owen).
Quando il proletariato fu riconosciuto come classe a sé e come partito indipendente, cominciò ad organizzarsi con un vero e proprio programma. Nasce così il socialismo.
Con il termine socialismo si indica quella corrente e quel movimento che si batteva per una maggiore giustizia sociale, per una legislazione che limitasse lo sfruttamento selvaggio cui il capitalismo sottoponeva le masse operaie mal organizzate. Il socialismo credeva in un modello di organizzazione della vita associata e della produzione diverso da quello capitalistico. Non era un movimento intellettuale ma piuttosto un movimento che aveva come scopo principale la lotta sociale.
I principali esponenti del socialismo nell’Ottocento sono: Pierre-Joseph Proudon e Charles Fourier (socialismo utopistico), Karl Heinrich Marx (socialismo scientifico).
Il socialismo utopistico fu definito così perché proponeva la formazione di una società perfetta, tenendo però in poco conto la realtà ed in particolare la resistenza dei proprietari delle industrie, che si opponevano ad ogni cambiamento.


Il socialismo scientifico ebbe come principale esponente Karl Marx: egli indicava la rivoluzione come l’unica soluzione possibile per risolvere la questione sociale: il proletariato doveva organizzarsi e guidare una rivoluzione che avrebbe eliminato le distinzioni tra le classi sociali. Solo una dittatura del proletariato avrebbe permesso di costruire una società migliore, rendendo comune le proprietà a tutti i cittadini. Il socialismo scientifico diverrà il comunismo.



Karl Marx


Sarà nel 1848 che, in seguito alle rivoluzioni in quasi tutta Europa, si organizzerà a livello europeo. Il movimento operaio partecipa alla ribellione sociale, chiedendo la libertà dallo sfruttamento e una uguaglianza reale, cioè politica e giuridica, di fronte alla legge e ponendosi come un antagonista diretto del capitale e come avversario storico della borghesia.
Sono in particolare le idee di Karl Marx, che appaiono inizialmente nel Manifesto del Partito Comunista, scritto insieme a Friedrich Engels, che daranno al socialismo una base scientifica e un immediato successo tra gli operai. L’affermazione del socialismo in Europa fu favorita dalle cosiddette Internazionali, associazioni che riunivano i rappresentanti del mondo operaio di diverse nazioni (la Prima fu fondata a Londra nel 1864, la Seconda a Parigi nel 1889 e si sciolse con la guerra nel 1914).

La "questione sociale" fu uno dei temi più scottanti del XIX secolo: in Germania e in Italia, però, la sua esplosione ebbe un ritardo di alcuni decenni.


LA NASCITA DEL SOCIALISMO IN ITALIA
La questione sociale, il socialismo e l’anarchia si svilupparono in Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, proprio nell’epoca in cui visse Salgari: infatti l’industrializzazione del Paese, iniziata ben in ritardo rispetto agli altri stati europei, portò solo allora quei profondi cambiamenti sociali che avevano già interessato le altre nazioni.
La borghesia industriale, finanziaria ed agraria del nord divenne la classe sociale dominante, mentre le condizioni di vita delle massi popolari subirono, almeno inizialmente, un peggioramento: l’industria che si stava sviluppando portò al fallimento dell’artigianato mentre in campo agricolo si formarono grandi aziende a discapito dei piccoli proprietari terrieri.
Aumentò così il numero di artigiani e contadini senza lavoro e nacquero allora associazioni di ispirazione socialista ed anarchica.
Ancora nel 1876 in Italia non c’era una tradizione sindacale, e nemmeno una classe operaia. Il primo rappresentante dei lavoratori eletto in parlamento nel 1882 fu Andrea Costa, che l’anno precedente aveva fondato il partito socialista rivoluzionario che proponeva di promuovere “la lotta mediante gli scioperi, le richieste di aumento dei salari e di diminuzione delle ore di lavoro”, affermando la necessità di partecipare alle elezioni amministrative e di “porre al parlamento candidature socialistiche e operaie, siano positive, siano di protesta”.
Nel 1882 nacque poi a Milano il partito operaio italiano, con un’ampia partecipazione proletaria e con un programma per lo più economista, che proponeva cioè il primato dell’organizzazione e della lotta economica rispetto a quella politica.
Grazie all’intensa attività di Filippo Turati, un avvocato milanese proveniente dal radicalismo umanitario e passato poi al socialismo riformista, si costituì nel 1892 a Genova il partito dei lavoratori che poi prese il nome di Partito Socialista Italiano (PSI), sostenuto da circa 200 delegati in rappresentanza di 324 associazioni (i dissidenti di posizione anarchica erano 84) concentrate per la maggior parte in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, in passato i luoghi democratici più attivi del periodo risorgimentale.
Il PSI divenne la principale organizzazione di sinistra e riuscì ad unire operai e contadini, intellettuali e donne, cioè tutte le categorie maggiormente interessate alle riforme sociali.
Fu il Partito Socialista ad organizzare nel nord Italia le prime manifestazioni e proteste operaie. Sempre in questo periodo, in cui ci furono manifestazioni di protesta e scioperi degli operai e dei braccianti, nacquero anche i fasci siciliani (1890), associazioni di lavoratori che si ispiravano alle idee socialiste e a quelle anarchiche.
Questo movimento si presentava come una solida e ‘capillare’ struttura organizzativa, in cui a fianco dei lavoratori agricoli comparivano già i primi nuclei di lavoratori salariati industriali.
A partire dalla sua fondazione, il 10 maggio 1891, la sua forza continuò a crescere fino a raggiungere nel 1893 il massimo di 162 sedi con circa 350.000 iscritti dei quali 100.000 operai e artigiani, 250.000 contadini. Venne organizzato il primo grande sciopero agrario della storia italiana: nell'agosto del 1893 100.000 contadini scioperarono in Sicilia, tanto che furono inviati 300.000 soldati per reprimere lo sciopero.
Negli anni seguenti ci fu una notevole diffusione dell'organizzazione e dei giornali socialisti come per esempio L'Avanti.
Nel 1898 ebbe inizio un nuovo periodo di agitazioni: manifestazioni contadine contro i proprietari per l'aumento dei prezzi agricoli e poi grandi scioperi a Milano.
Nel 1898 ci fu a Milano una durissima repressione guidata dal generale Bava Beccaris: l'esercito sparò sulla folla provocando un numero imprecisato di morti, probabilmente alcune centinaia. Inoltre furono chiusi 62 giornali socialisti e limitata la libertà di riunione, stampa ed associazione concesse dallo statuto.
Nel 1899 furono discussi in parlamento altri provvedimenti, ma ci fu una crisi: il governo si divise e le camere furono sciolte.
Le elezioni si svolsero nell'anno seguente in una situazione di forte tensione a causa dell'assassinio di Umberto I da parte dell'anarchico Bresci.
Le agitazioni popolari continuarono e il partito socialista si rafforzò ulteriormente.
Quando Giolitti divenne primo ministro, nel 1901, attuò una politica legislativa maggiormente attenta al sociale.
Le contraddizioni all'interno del PSI tra le sue diverse anime esplosero nell'età giolittiana, dando luogo a uno scontro interno al partito: da una parte c’era chi voleva seguire la strada delle riforme e si riprometteva quindi di allacciare rapporti con i governi, allontanando l’obiettivo finale della costruzione del socialismo; dall’altra c’era chi voleva restare fedele alla strada della rivoluzione.
La svolta politica di Giolitti, infatti, costringeva ormai a scegliere se appoggiare o no un governo riformatore o addirittura farne parte. Se in precedenza la repressione aveva finito per consolidare l'unità del partito, la successiva disponibilità riformatrice e l'occasione offerta dalla strategia di Giolitti portarono ad un allontanamento crescente tra i riformisti, che si spostarono in posizioni sempre più riconcilianti, e i rivoluzionari.
Di fatti la supremazia di Filippo Turati subì in questi anni la sfida più radicale. Di fronte alla necessità di decidere quale atteggiamento avrebbe dovuto assumere il gruppo parlamentare nei confronti del governo Zanardelli-Giolitti emersero tre diverse posizioni: riformisti, rivoluzionari e ‘intransigenti’.
Da una parte vi era Filippo Turati, fautore del ‘ministerialismo’, cioè dell'appoggio al governo, convinto della necessità di allearsi con la parte più liberale della borghesia e ostile ai metodi rivoluzionari, ma fondato sul compromesso parlamentare.
Dall'altra parte c'era il gruppo con a capo Labriola, di orientamento anarchico-sindacalista e rivoluzionario che sosteneva la necessità che il movimento operaio mantenesse il proprio ‘antagonismo’ nei confronti dello stato, e dovesse anzi accelerare la caduta del sistema borghese attraverso gli scioperi, le lotte e la rivoluzione socialista. Tra i più convinti sostenitori di questa posizione c’era Benito Mussolini, che nel 1912 fu nominato direttore dell’Avanti, il giornale del partito.
Infine c’era il gruppo di Costantino Lazzari, leader della componente intransigente dell'operaismo milanese, che mise in minoranza Turati nella sua città, provocando le sue dimissioni da deputato.
In una posizione intermedia c’era il raggruppamento con a capo Ferri, il quale predicava la fedeltà ai principi rivoluzionari, ma proponeva di decidere caso per caso sulle questioni che riguardavano la politica parlamentare e l’appoggio al parlamento.




IL SOCIALISMO TRA GLI ANNI 1945/2000
Successivamente al secondo conflitto mondiale, le principali forze politiche italiane erano la Democrazia Italiana, il Partito Comunista e il PSI (Partito Socialista Italiano). I primi due movimenti, su posizioni molto diverse, erano alla base della politica italiana (infatti la DC era il primo partito italiano e il PCI il secondo). Il partito socialista italiano (PSI), di sinistra ma su posizioni riformiste, aveva un seguito nettamente inferiore agli altri due grandi partiti di massa. Tra le forze minori vi erano anche due partiti di destra: il Partito monarchico (PDUM), che voleva il ritorno della monarchia, ed il Movimento sociale italiano (MSI), che si richiamava alle idee fasciste.

Nel 1948 il Partito Socialista Italiano si alleò con il PCI , ma successivamente se ne allontanò: in particolare dopo l’invasione dell’Ungheria il PSI, guidato da Pietro Nenni, si spostò su posizioni più vicine alle correnti riformiste della DC. Le trasformazioni sociali in atto in Italia negli anni ’60 spinsero infatti la Democrazia Cristiana ad allearsi con il Partito Socialista: si ebbe così l’ingresso dei socialisti nel governo e nel 1963 nacque il primo governo di centro–sinistra, sotto la guida di Aldo Moro.
Negli anni Ottanta l’alleanza tra Democrazia Cristiana e il Partito Socialista si rafforzò e i due partiti si coalizzarono assieme ad altre forze del centro, creando il cosiddetto Pentapartito.
Con questa alleanza, il Partito Socialista ottenne un potere sempre maggiore, mentre la Democrazia Cristiana lo stava lentamente perdendo.
Così si ebbero di fatto per la prima volta dopo il 1945, governi guidati da uomini aderenti al PSI, tra cui uno dei suoi massimi esponenti come Bettino Craxi (presidente del Consiglio dal 1983 al 1987).


Bettino Craxi


Grazie all'attività di Craxi, il PSI, in quegli anni (tra '80 e '90), si rafforzò, ma allo stesso tempo ci fu uno sviluppo della corruzione e del sistema delle tangenti (oppure pizzo). Lo stesso Bettino Craxi si trovò in mezzo alla cosiddetta "tangentopoli" e dovette lasciare l'Italia per non finire in carcere, ritirandosi ad Hammamet.
In seguito a questo fatto, il PSI "scomparve" dal governo e dal parlamento negli anni Novanta: tra dicembre 2000 e gennaio 2001 il figlio di Bettino Craxi, Bobo (il presidente del nuovo partito), e la figlia Stefania, assieme a De Michelis (il segretario generale) e Claudio Martelli (il portavoce) hanno fondato il nuovo PSI.
Il nuovo movimento, inoltre, ha stretto un’alleanza con la "Casa delle libertà", il cui capo è Silvio Berlusconi: quest’ultimo ha detto "Vi assicuro che nella Casa delle libertà ci sarà posto con pari dignità anche per voi. [ ] Il nostro programma non è né di destra, né di sinistra: è un programma di buon senso. Il programma di sinistra invece è carta straccia". Questo però ha suscitato scalpore e proteste tra i "vecchi e veri socialisti".

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