lunedì 8 gennaio 2018

Curare i sintomi NUOCE GRAVEMENTE alla Salute !!!

Curare i sintomi NUOCE GRAVEMENTE alla Salute !!!

Dopo osservazioni e riflessioni ero arrivato alla conclusione che la medicina ufficiale chimica, non curasse le malattie ne bloccava semplicemente i sintomi,
ancora oggi più che mai lo studio delle multinazionali e i medici addomesticati e addestrati sono per bloccare i sintomi, curare a vita e non guarire mai, i "potenti" sulle cause di tante patologie dicono bugie o millantano deduzioni generiche che non dicono nulla, baipassano o ignorano rifiutandosi e/o negando altre possibilità alternative che non sia la chimica, il tutto non per guare la gente ma solo per fare sempre più denaro. Finalmente ho appurato che non sono il solo a pensarla in questo modo, vi presento una sintesi di altri studi fatti da altri ricercatori .         by Petrus marotta

"Un medico è un uomo che viene pagato per raccontare fandonie nella camera del malato, sino a quando la natura non l'abbia guarito o i rimedi non l'abbiamo ucciso."
(A. Furetiére)

Per cura dei sintomi intendiamo gran parte dei medicinali e delle pratiche mediche attualmente in uso.


I medicinali che fanno passare la febbre, che alleviano il mal di testa, le infiammazioni alla gola o alle articolazioni, ma anche quelli che decongestionano le vie respiratorie o l’intestino e che calmano la tosse e persino la rimozione chirurgica di tonsille, appendice e cisti, sono tutte cure dei sintomi.

Questi sono solo alcuni esempi delle pratiche più comuni per i fastidi più banali, ma la lista sarebbe lunghissima e comprenderebbe patologie ben più gravi.

In pratica potremmo dire che tutta la moderna medicina (o quasi) si occupa esclusivamente della cura sintomatica e non si preoccupa minimamente della prevenzione o della rimozione dei problemi alla radice.

Anche quando si parla di esami preventivi in realtà si tratta di esami diagnostici che trovano o meno un determinato male (o presunto tale).

(Solo su quest’ultima affermazione si potrebbe parlare molto a lungo ma rischierei di andare un po’ fuori tema per approfondimenti comunque vi rimando a questo interessante video: Creazione di Malattie )

Curare i sintomi quindi non solo non migliora lo stato di salute, ma per assurdo potrebbe anche aggravarlo, anzi meglio togliere il condizionale:
Curare i sintomi aggrava la salute!

Questo accade per vari motivi il più semplice ed immediato è il seguente: curando i sintomi, non proviamo più un certo fastidio o  dolore e quindi non ascoltiamo più il nostro corpo che attraverso quel determinato dolore/sintomo voleva comunicarci qualcosa che non andava.

Quindi noi prendiamo la pillolina, il dolore passa e così possiamo riprendere la nostra vita, comprese le nostra cattive abitudini che ci hanno portato alla cosiddetta malattia, ancora più non curanti del male che ci stiamo facendo.

A questo punto però è necessaria qualche definizione ...

Innanzitutto bisogna dire che la cosiddetta malattia non è altro che una crisi tossiemica cioè un eccessivo accumulo di tossine (scarti metabolici).
La produzione di tossine è un fenomeno naturale risultante da diverse funzioni metaboliche.
In condizioni ideali, queste tossine vengono eliminate dagli organi emuntori (intestino, reni, fegato, polmoni e pelle).

Finché l'apporto di tossine resta nei limiti delle capacità di smaltimento di questi organi, facciamo esperienza di uno stato di buona salute.
Quando per diversi fattori fisici (dovuti all'ambiente, allo stile di vita, all'alimentazione), psicologici (stress) o emozionali si arriva ad una perdita della capacità di smaltimento (indebolimento), le tossine si accumulano e c’è la comparsa dei sintomi della malattia.

Quindi la malattia potremmo anche definirla come l’estremo tentativo dell’organismo di liberarsi delle tossine in eccesso.

In pratica quella che consideriamo malattia è in realtà un processo di Autoguarigione.

Dunque cosa succede quando noi con un farmaco blocchiamo i sintomi e quindi il tentativo estremo del nostro sistema immunitario di liberarsi delle tossine in eccesso?

Le tossine non vengono più eliminate e cosa peggiore non vengono eliminate le cattive abitudini (fisiche, psicologiche ed emozionali) che hanno causato l’indebolimento. Quindi le crisi si ripeteranno fino a diventare croniche e degenerare in qualcosa di peggio.

Infine, ma non meno importante, la cura dei sintomi delle cosiddette malattie con farmaci o con interventi invasivi, genera un considerevole numero di effetti collaterali conosciuti e non, dovuti all’immissione nel corpo di sostanze sintetiche estranee (farmaci) o a vere e proprie mutilazioni (chirurgia).

L'unica medicina veramente utile rimane quella di primo soccorso, quella traumatologica e poco altro.

La vera prevenzione invece sarebbe avere un’alimentazione sana, condurre uno stile di vita sereno, vivere in un ambiente il più salubre ed arieggiato possibile, fare lunghe passeggiate ed un attività fisica leggera, riposare, fare esercizi di respirazione, meditare, rilassarsi … etc ….

In caso di crisi acute di eliminazione di tossine (cosiddette malattie) lasciare che il tempo e la natura facciano il loro corso riposando, mangiando il meno possibile e soprattutto non ostacolando l’Autoguarigione.

Concludo con questa bella e provocatoria frase che secondo me si addice molto alla realtà attuale:
"Un medico è un uomo che viene pagato per raccontare fandonie nella camera del malato, sino a quando la natura non l'abbia guarito o i rimedi non l'abbiamo ucciso."
(A. Furetiére)
Felice Vita



LA MESSA È FINITA

Michele Giovagnoli
ISBN 978-88-99912-54-3
©2017 Uno Editori
collana Libri Eretici
Prima edizione: Ottobre 2017
Tutti i diritti sono riservati
Ogni riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo,
deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.
Copertina: Monica Farinella
Impaginazione: Laura Giai
Editing: Enrica Perucchietti, Erica Zampieri
Stampa: Litostampa Mario Astegiano, V. Marconi 94/b - Marene (CN)
Per essere informato sulle novità
di Uno Editori visita:
www.unoeditori.com
o scrivi a:
info@unoeditori.com
Michele Giovagnoli

LA MESSA È FINITA
Come liberarsi dal più
subdolo dei parassiti
Gli acutissimi strumenti di dominio
in dotazione al clero

INDICE
9 Ringraziamenti
11 Premessa
13 Prefazione
17 1 Il concilio di Nicea
L’invenzione del copyright sulla spiritualità
21 2 Il concilio Namnetense
La strage degli alberi secolari
33 3 L’Istituto della Famiglia
La gabbia chiamata Amore
45 4 La mortificazione dell’energia sessuale
Come rendere sterile un Cosmo
59 5 La padronanza del Sacro per la diffusione del Profano
Come rendere sacra l’ignoranza
63 6 Il battesimo
Un’abitudine chiamata sottomissione
77 7 Il mito della povertà
Il povero in cielo, il ricco all’inferno
81 8 L’ammodernamento della Chiesa
Come rimanere leader del mercato
89 9 L’invenzione del “Salvatore”
Non la nostra salvezza, ma la loro sopravvivenza
95 10 Il suono delle campane
La trasmissione genetica del trauma
105 11 L’epigenetica e le malattie culturali
L’infezione più profonda
109 12 La costruzione della razza docile
La più grande opera di epurazione genetica
123 13 L’Ordine
La creazione dell’esercito
129 14 Un Dio terreno
Il miglior packaging della Storia
137 15 Il tempio cattolico
Il culto del dolore
151 16 Il crocefisso
L’immagine dell’Anticristo
161 17 La discriminazione della Donna
Il delitto del Femminino Sacro
173 Bibliografia
175 L’autore

Prefazione

La realtà si disvela a chi ha gli strumenti, ma soprattutto la volontà,
per accedervi e intende farlo senza filtri e senza maschere. Così
procede l’autore che, ricco dei suoi studi affiancati da una profonda
esperienza personale, mette quegli strumenti a disposizione di
chi, animo libero, intende osservare il mondo con il disincanto e la
disponibilità al vero, quale esso sia, che dovrebbero caratterizzare
il desiderio di sapere, base imprescindibile per ogni forma di cammino
orientata alla ricerca e al conseguimento della libertà, condizione
necessaria nel potersi e volersi definire appartenenti attivi al
consesso umano.
Il desiderio di libertà origina innanzitutto dalla presa di coscienza
della sua assenza: solo chi sa di essere chiuso in un recinto può
almeno avere la possibilità di provare il desiderio di uscirne. Parlo
non a caso di possibilità, perché spesso la consapevolezza di far
parte di una mandria non è condizione sufficiente per volerne
uscire: in fondo il gruppo/gregge è protettivo, rassicurante, fornisce
risposte facili a questioni difficili ed esime dall’impegno, per
alcuni (o dovremmo dire per molti?) eccessivamente gravoso, di
riflettere in piena autonomia e di agire poi di conseguenza, assumendo
in prima persona la responsabilità delle proprie azioni.
Michele Giovagnoli ci pone di fronte alla triste situazione in cui
degli schiavi, più o meno consapevoli, non sono in grado di vedere
lo stato in cui si trovano, o non vogliono, e ne sono talmente coinvolti
da arrivare a difendere i loro padroni: condizione questa che,
come rileva l’autore, caratterizza la vera schiavitù.

14 LA MESSA È FINITA
In questo lavoro, il lettore si trova una successione di capitoli che,
nel loro ordine logico, disvelano una situazione drammatica sia per
la sua pervasività sia per le modalità astute e sottili con cui è stata
ideata, elaborata, posta in essere e magistralmente gestita a danno
dell’umanità e del suo potenziale libero sviluppo. Uno sviluppo
che non deve avere luogo, pena la caduta dei potenti che gestiscono
questa schiavitù in qualità di parassiti insaziabili.
È inquietante osservare come elementi apparentemente insignificanti
assumono invece significati e ruoli d’importanza impensata
all’interno di questo sistema fabbricato per ammaestrare e dominare
intelligentemente schiere di milioni di individui che vi aderiscono
tanto ingenuamente quanto spontaneamente, consegnandosi
nelle mani dei loro padroni. Dal battesimo al suono delle campane,
dall’iconografia all’invenzione della figura fisica del Salvatore,
dall’istituto della famiglia alla mortificazione dell’energia sessuale,
dal culto perverso della sofferenza alla creazione di ubbidienti
soldatini, dal dominio su una distorta concezione del sacro alla
celebrazione criminosa della povertà… l’autore ci conduce lungo
un cammino di cui ci svela origini e finalità, modalità operative e
inganni palesi.
La capacità camaleontica dei detentori di questo subdolo sistema
di potere, mascherato da strumento salvifico (da cosa poi?) si dipana
sotto gli occhi del lettore che, con sempre maggiore chiarezza,
giunge a vedere e scoprire che il pastore è colui che scanna la
pecora, la depaupera e la utilizza, presentandosi nelle vesti false e
ingannatrici del difensore: scopriamo in realtà che il lupo da cui ci
dobbiamo difendere è proprio lui.
Tutto ciò che è e dovrebbe essere naturale in questo sistema è annullato:
si passa dal bosco fonte di vita alla selva di colonne costruite 
 per tarpare ogni volontà di vita vera; dai gesti e dalle attività
istintuali come la creatività gioiosa del sesso, alla costrizione di
movimenti che obbligano a piegare il collo in una posizione che
induce (obbliga?) alla sottomissione timorosa.
Tutti devono essere inseriti nella mandria: la solitudine è infatti per
natura potenzialmente eretica, ci ricorda Giovagnoli, soprattutto
perché favorisce la libera riflessione: un’autonomia che il potere
non può tollerare in quanto troppo pericolosa e destabilizzante per
la sua stessa sopravvivenza. Nella mandria tutti siamo più deboli,
deprivati di energia vitale e dunque più facilmente controllabili. Il
paragone efficacissimo che l’autore fa con il pollo di allevamento è
quanto mai illuminante e lascio al lettore il piacere di scoprirne le
implicazioni, magari mettendole a confronto con quanto si verifica
nella sua stessa vita.
Il testo non manca di fornire una ricca e precisa documentazione
storica con la successione delle varie scelte, disposizioni, dichiarazioni
e imposizioni (anche criminalmente violente) che hanno
caratterizzato la vita della Chiesa nei diciassette secoli nel corso
dei quali ha abilmente costruito questo efficacissimo sistema di
schiavitù.
Nel libro ho letto con grande piacere questa affermazione: «Se volete
bene a una persona non regalatele una certezza, ma impacchettatele
un bel dubbio. Il dubbio è l’anticamera di ogni passo
evolutivo. Niente dubbio niente evoluzione». Non posso che concordare
e con piacere dico al lettore che, in piena coerenza con
questa posizione, ho visto che sono molte le domande che il libro
pone in modo esplicito e altrettante quelle che sorgono inevitabili
nella mente di chi scorre queste pagine con sempre crescente curiosità:
le domande sono il sale di ogni attività intelligente e senza

16 LA MESSA È FINITA
di esse non rimane che un credere acritico e quindi pericoloso, destinato
a ridurre in stato di sudditanza chi ne è vittima. Ma c’è per
fortuna il germoglio della speranza. «Chi si riconosce dominato è
già libero dal dominio e inizia da lì il suo percorso di rinascita»,
così afferma l’autore e questo libro si offre come strumento utile ed
efficace proprio in questa direzione.
MAURO BIGLINO
1
Il concilio di Nicea
L’invenzione del copyright sulla spiritualità
Attraverso il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., viene cementata in
maniera inappellabile la concezione di un Dio trascendente, ovvero
al di là delle cose, al di sopra di esse. Esistono le manifestazioni,
e fra queste anche l’uomo, poi c’è Dio. Dio e uomo sono quindi
due soggetti ben distinti, dove il primo crea e il secondo è creato.
Il concetto di un Dio immanente, ovvero coincidente con la manifestazione,
viene fin dagli albori respinto.
Alla Chiesa non piace che l’uomo si senta titolato della padronanza
di Dio. Ribadiamo: c’è un Dio al di là delle cose che genera le cose
e, tra queste cose, c’è l’uomo. L’uomo è quindi una conseguenza di
Dio, un Dio “soggetto” che è al di là anche del tempo e che esiste
da prima di esso.
L’uomo però tende a Dio, questo è un dato evidente e tangibile, e
vive di un naturale istinto alla spiritualità. Ma questo Dio, rincara
la Chiesa, è al di là delle cose, è un soggetto ben distinto, e l’uomo
da solo non può raggiungerlo. L’uomo non può cercarlo tra le sue
proprietà, perché lì non risiede. L’uomo non può nemmeno ambire
a conquistarlo, perché l’uomo e Dio sono due soggetti distinti,
posti su due piani distinti e al primo non è dato giungere ai piani
del secondo… A meno che non intervenga un bravo intermediario!
«E dove possiamo trovarlo?» chiede l’uomo alla Chiesa.
«Ma che domande!» risponde la Chiesa. «Te lo forniamo Noi!».

18 LA MESSA È FINITA
Il primo atto per la costruzione dell’Impero Cattolico è
la creazione di un Dio privato,
un Dio il cui proprietario è ovviamente colui che lo crea,
e che indossa una casacca ben distinta.
Un Dio umano, ma “generato e non creato”, quindi un Dio consustanziale,
ovvero fatto della stessa sostanza del Padre, anch’esso
trascendente, quindi, ma in carne e ossa. Un Dio figlio Salvatore,
che viene a cercarti come risposta a una tua irrinunciabile necessità:
ricondurti al Padre assoluto.
Il secondo atto per la costruzione dell’Impero Cattolico è l’istituzione
della grande azienda che gestisca, per conto di un Dio
Padre, gli sviluppi del lavoro iniziato dal Dio Figlio, che assieme
allo Spirito Santo sono per una questione di pura funzionalità la
stessa cosa. Geniale!
Riassumendo: abbiamo bisogno di esistere nella nostra spiritualità,
ma per farlo non possiamo che passare attraverso la Chiesa cattolica,
che è l’unica titolata a farlo.
Come a dire: siccome devo per forza mangiare
perché sono un essere terrestre,
mi trovo costretto a bussare alla porta di un tale
che è il proprietario esclusivo di tutto il cibo esistente sul pianeta.
Geniale e criminale!
Ritengo fermamente che Dio rappresenti uno stato d’essere e non
un soggetto. Io mi sento Dio in quanto parte di un’unica cosa
assoluta e in quanto presenza in tutte le cose. Sono Dio e risuono
nella bellezza dell’universo e sono l’universo tutto in un punto.

L CONCILIO DI NICEA 19
Sono Dio in quanto essere cosmico e quindi dotato della facoltà di
conoscere la mia infinità, auto-trascendendo me stesso. Ognuno
di noi è Dio ogni volta che supera l’inganno mentale e si lascia
espandere in quel moto inesorabile che prende il nome di Amore.
Chi si sente intermediario di Dio ti ritiene di sua proprietà.
L’intermediario ti seziona mettendosi tra te e te.
Ecco la natura del Parassita:
vivere assieme a te senza che tu te ne accorga
e, al tempo stesso, toglierti energia.
Ma il Parassita cattolico è un parassita speciale, non si limita a
rubarti aspetti sacri della tua vita, ne ostacola addirittura il processo
evolutivo. Un Dio privato e trascendente determina inevitabilmente
un insabbiamento della via iniziatica. Non ti liberi mai
di un intermediario così, perché mai puoi arrivare al risultato che
ti propone, se il risultato implica la sua dipartita. È un loop, un
circolo vizioso. Quando mai un parassita ha confidato alla propria
preda come liberarsi di esso? Mai!
Ecco che il Concilio di Nicea getta le basi di quella che con i tempi
moderni è diventata l’arte del marketing. La Chiesa cattolica inizia a
vendere Dio, riscuotendo sudditanza e con il tempo anche denaro.
Inventa il copyright applicandolo all’Altissimo e alla via per raggiungerlo.
Monopolizza il mercato e rende insostituibile il prodotto.
Correva l’anno 325 d.C., qualcosa come diciassette secoli fa. Da
un lato, un’umanità semi-primitiva, dall’altro una cerchia ristrettissima
di esseri con spiccata intelligenza e al servizio di un’indole
dominatrice. Ora guardatevi attorno dall’alto del XXI secolo: noterete
che non è cambiato niente!

2
Il concilio Namnetense
La strage degli alberi secolari
In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un
cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento
visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In
tutte, tranne che in quella cattolica.
Baobab immensi, Sequoie millenarie, foreste incontaminate latine
e asiatiche non trovano il degno corrispettivo in un’Europa che,
salvo casi sporadici, presenta alberi non più vecchi di qualche secolo.
Dove sono finite le querce secolari che raggiungono dimensioni
impressionanti come quelle narrate da Plinio Il Vecchio nella sua
opera Naturalis Historia? Testualmente:
«Le querce per la loro smisurata invadenza nel crescere occupano addirittura
il litorale e, a causa delle onde che scavano la terra sotto di esse o del
vento che le sospinge, si staccano portando con sé grandi isole costituite
dall’intreccio delle loro radici: restano così dritte, in equilibrio, e si spostano
galleggiando. La struttura dei grossi rami, simile a un armamentario
velico, ha spesso creato lo scompiglio nelle nostre flotte quando
le onde sospingevano questi isolotti, quasi di proposito, contro la prua
delle navi alla fonda di notte; ed esse, non riuscendo a trarsi d’impaccio,
ingaggiavano uno scontro navale contro delle piante. Sempre nelle
regioni settentrionali la selva Ercinia con le sue querce di enormi dimensioni
(lasciate intatte dallo scorrere del tempo e originate insieme

22 LA MESSA È FINITA
con il mondo) è di gran lunga, per questa condizione quasi immortale,
il fenomeno più stupefacente. Per non stare a menzionare altri fatti che
non suonerebbero credibili, risulta effettivamente che le radici, arrivando
a fare forza l’una contro l’altra e spingendosi indietro, sollevano delle
colline; oppure, se il terreno non le segue spostandosi, s’incurvano fino
all’altezza dei rami e formano degli archi a contrasto come portali spalancati,
tanto da lasciare il passaggio a squadroni di cavalleria»1.
L’azione della rivoluzione industriale ha inciso violentemente sugli
aspetti ecologici dei territori. Su questo non vi è alcun dubbio.
Personalmente però non ritengo sia la causa diretta alla quale
imputare l’estinzione quasi totale dei Patriarchi verdi. Al limite
una conseguenza o, al massimo, un agente parallelo. A mio avviso,
il punto di propagazione è squisitamente culturale. Qualcosa di
molto più sottile e profondo. Se ciò non fosse, in tutte le aree dove
l’onda del progresso tecnologico è arrivata, osserveremmo ora le
stesse condizioni. E non è così!
Non voglio esprimermi in termini assolutistici, perché qualcosa è
sopravvissuto di certo da un passato dove il binomio uomo-albero
era addirittura inevitabile, ma
è un dato inconfutabile che più ci si allontana geograficamente
dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma,
maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni
straordinarie e popoli con tradizioni che riconoscono all’albero
un potere super partes nel vissuto spirituale.
1 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Einaudi, Torino.

L CONCILIO NAMNETENSE 23
A conferma, è sufficiente pensare che in nessuna usanza cattolica
ufficiale risulta esserci un albero al centro di un atto contemplativo,
al massimo dei rami di ulivo nella Domenica delle Palme o un
abete ricoperto di lucine colorate a ornare un presepe.
L’Italia, che è il Paese nel quale il Parassita cattolico si è aggrappato
per aprire i suoi tentacoli all’esterno, si è dotata di una legge
quadro sulla protezione delle aree verdi soltanto nel 1991 a fronte
dell’istituzione della prima area protetta di carattere nazionale,
ovviamente alpina, datata nel 1922. L’evidentissima reticenza politica
nel concedere al verde la propria naturale importanza, attraverso
una presa di posizione forte e complessiva, conferma a pieno
la presenza di un atteggiamento ostile ben inculcato nei geni di
una popolazione cresciuta sotto il suono dei campanili da sempre.
L’educazione ambientale nelle scuole, per fare un altro esempio, è
insegnata da appena un ventennio, a differenza di tanti altri Paesi,
alcuni anche economicamente meno sviluppati.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto,
anzi, l’ha sempre considerata un intralcio. Chi conosce la Natura
selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria.
Chi si confronta con le grandi leggi che muovono la manifestazione,
attraverso un confronto diretto con lo strato più dinamico
del Cosmo Terra, apprende conoscenze che lo evolvono nella
semplicità. Chi si sofferma a contemplare la bellezza, anche di un
semplice filo d’erba, assorbe un nutrimento preziosissimo che lo
eleva verso piani esistenziali superiori. In definitiva: chi ritrova in
sé gli stessi impulsi celesti che muovono un albero secolare o una
farfalla difficilmente si genuflette a una croce con uno sconosciuto
inchiodato sopra.

24 LA MESSA È FINITA
L’essere umano che dialoga con il bosco
difficilmente accetta ordini che tradiscono la propria identità.
Difficilmente spegne il desiderio
di prendersi cura di chi gli permette di esistere.
Chi segue la Natura è più libero, forte, autentico.
L’Eros scorre lecito e incontrastato nelle vene di un’anima selvatica,
porta in superficie domande, curiosità, dubbi e reazioni. Il
termine vita trova nella Natura una delle sue più alte espressioni,
quasi fossero sinonimi con semplici variazioni cromatiche.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto,
anzi, l’ha sempre considerata un pericoloso nemico. Un nemico
in quanto complice della sua preda preferita: l’uomo. L’uomo che
vive e viveva a contatto con gli alberi dispone e disponeva di un
grande mentore. Un saggio sempre pronto a elargire consigli e a
ricordare costantemente l’ordine delle cose e la potenza dell’armonia.
Un uomo che vive a contatto con gli alberi sa bene nell’intimo
che è vivo grazie a loro. Sa bene che appena è uscito dalla pancia
della propria madre loro sono “entrati” nei suoi polmoni adottandolo.
Sa bene di avere un organo per respirare che è un albero capovolto,
marchio di appartenenza energetica e biologica al bosco.
Non c’è una croce a congiungerci con l’esterno, c’è un albero.
E gli alberi verdi, con il tempo, diventano grandi, alti anche trenta
volte l’uomo. E vivono a lungo, tanto a lungo. Sono lì quando nasci
e tuo nonno ti parla di loro, e te ne vai anziano raccontando di
loro ai tuoi nipoti. E questa catena procede quasi all’infinito facenIL

CONCILIO NAMNETENSE 25
do perdere le tracce della loro età e facendoli sentire, rispetto a te,
immortali. Un albero che può vivere duemila anni è, rispetto agli
altri esseri, letteralmente immortale. Tutto ciò al Grande Parassita
non piace e non piaceva, in tutto il suo percorso il bosco è stato
sempre temuto e respinto.
Temuto e respinto, fino a un giorno nel quale decise di dichiarargli
apertamente guerra con un atto ignobile che va considerato a tutti
gli effetti uno dei gesti più squallidi, vili e dannosi compiuti a discapito
della vita stessa. Nell’anno 890 d.C., attraverso il concilio
Namnetense, la Chiesa cattolica prende una posizione ufficiale e
condanna a morte tutti gli alberi secolari presenti sul suo territorio,
nonché tutti i boschi ritenuti sacri dalle popolazioni che ancora non
si erano genuflesse alla croce. Le piante andavano eradicate, arse e al
loro posto in molti casi veniva eretta una chiesa. Quest’ultimo passaggio
denota benissimo l’identità del Parassita: “Non ‘spegniamo’
un luogo reso energeticamente forte da millenni di pratiche psichiche
e di atti biologici, ma ne diventiamo noi i proprietari”.
“Arbores daemonibus consecratae”, alberi consacrati ai demoni.
Riporto un passaggio del testo prodotto:
«Summo decertare debent studio Episcopi, et eorum ministri, ut arbores daemonibus
consecratae, qua vulnus colit, et in tanta venerazione habet ut nec
ramum nec surculum inde audeat amputare, radicitus excidantur, atque
comburantur. Lapides quoque in ruinosis locis et silvestribus, daemonum
ludificationibus decepti venerantur, ubi et vota vovent et deferunt, funditus
effodiantur, atque in tali loci proiciantur, ubi numquam a cultoribus suis
inveniri possint»2.
2 I. Buttitta, Verità e menzogna dei simboli, Meltemi Editore, 2008 Sesto San Giovanni
(mi), p. 41.

26 LA MESSA È FINITA
Ovvero:
«I vescovi e i loro ministri devono con estrema dedizione combattere perché
siano estirpati dalle radici e bruciati gli alberi consacrati ai demoni che
il popolo venera e considera talmente degni di venerazione e di rispetto da
non osare amputarne né un ramo né un germoglio. Tratti in inganno dalle
falsità dei demoni, venerano anche pietre in luoghi scoscesi e boscosi,
dove promettono e concedono voti. Che siano distrutte dalle fondamenta
e che siano gettate in luoghi dove non potranno mai più essere ritrovate!».
In pochi decenni gli effetti furono devastanti e l’azione si protrasse
nei secoli successivi. Ancora oggi non mi risulta esserci stata una
presa di posizione ufficiale e contraria della stessa portata e con la
stessa forza. Non vedo Vescovi impegnati all’altare nel profondere
positive considerazioni sugli alberi e sulla loro importanza nel
percorso evolutivo delle persone. Non ne vedo nemmeno a prendere
posizioni in merito a questioni relative al degrado ambientale,
all’inquinamento o alle politiche per le economie ecosostenibili,
se non con atti decisamente ipocriti. Li vedo impegnati su altro,
ben altro! Per dirla tutta, non mi risulta nemmeno ci sia stato un
mea culpa ufficiale per tutti i danni che questa azione ha causato e
causa. Evidentemente per loro va ancora bene così.
Da educatore ambientale che sono stato e da Alchimista che sono,
reputo gli effetti degli atti del concilio Namnetense
la più grande catastrofe naturale causata
dall’uomo ai danni della Natura selvatica.
Niente può essere paragonato a essa,
né in termini ecologici, culturale o economici,
né soprattutto evolutivi.

IL CONCILIO NAMNETENSE 27
Abbattere un albero secolare significa togliere a tutta la comunità
biologica del bosco un punto di riferimento che negli anni ha orchestrato
gli atteggiamenti volti alla riproduzione, alla protezione
e alla predazione. Un albero secolare è l’unico che può ospitare la
nidificazione di alcune specie di grandi uccelli e offrire il rifugio a
quei mammiferi predatori che occupano posizioni alte della catena
alimentare. La sua assenza stronca di netto tutta una serie di relazioni
dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto.
Un albero secolare intreccia le sue radici con una quantità inimmaginabile
di alberi ed essendo “vecchio” conserva un’esperienza ampia,
ha una memoria ampia! È una sorta di grande saggio per tutte
le forme vegetali del bosco, ma anche per quelle animali. Ogni volta
che ha la possibilità di codificare uno stimolo ricevuto, lo elabora
facendovi fronte con la sua antica conoscenza ed emette dei segnali
destinati a tutti gli esemplari che sono in contatto con le sue radici
per adottare atteggiamenti ottimali e condivisi. I segnali di carattere
elettromagnetico vengono fatti passare da albero ad albero e coprono
velocemente l’intero bosco. Un vero e proprio Wi-Fi vivente.
Un albero secolare è quindi un guardiano ecologico
preziosissimo che mette a disposizione
la sapienza conservata per il mantenimento
della vita dell’intero bosco.
Un albero di mille anni ha mille inverni nel legno e mille estati.
Ha conosciuto la siccità e la tempesta,
ha appreso la danza morbida del cosmo
e spontaneamente la condivide.
Tagliare un albero secolare significa togliere la possibilità all’uomo
di confrontarsi con se stesso, di conoscersi e di comprendere meglio

28 LA MESSA È FINITA
la propria portata. Fermarsi di fronte a un essere immensamente più
grande di te, più resistente e più longevo ti dona il premio dell’umiltà.
Sprofondare nel reticolo armonico dei suoi rami, nel suo propagare
e nelle curve dense del suo tronco, ti nutre di una sostanza sottile
che attiva delle memorie lontanissime dandoti consapevolezza. I
suoi codici esistenziali sono gli stessi dell’osservatore, ma molto più
antichi e questa azione vivifica e spinge oltre. Un uomo cresciuto a
ridosso di un albero secolare sa qualcosa di più di chi non ne ha mai
visto uno. È innegabile, il primo contatto visivo con un patriarca
verde è sempre un impatto violento, qualcosa che segna un termine
e un inizio. Averli eradicati tutti, aver rimosso per intero aree che
per millenni sono state il luogo di contatto con la Natura selvatica
ha letteralmente ucciso una componente intima dell’umanità intera,
ci ha reso tutti più poveri e limitati, ci ha segnati tutti irrevocabilmente.
Un albero secolare o lo erediti o non lo conoscerai mai. E
puoi solo, nel secondo caso, assistere e accompagnare con rispetto
l’evoluzione di un bosco per consegnare a generazioni future e inconcepibili
qualcosa che tu ora puoi solo immaginare.
Senza alberi adulti siamo tutti più deboli.
Era questo l’obiettivo ed è stato raggiunto!
In parallelo alla distruzione dei boschi antichi, venne portata avanti
già dal 1184, con il Concilio di Verona, la spietata caccia a tutte
quelle persone che conservavano e vivevano la Conoscenza ricevuta
attraverso l’interazione con le energie selvatiche. Migliaia di
roghi e torture, rivolte soprattutto al popolo femminile, allontanarono
quasi definitivamente l’uomo dal suo intimo alleato, nonché

IL CONCILIO NAMNETENSE 29
genitore superiore. Solo poche anime, nel segreto più assoluto e
nell’obbligo di vivere una vita disumana e lontana dalle più comuni
forme sociali, ha continuato a parlare con le foglie, con il
buio, con il silenzio dei tronchi e a raccogliere nei propri geni gli
insegnamenti provenienti dalle antichità del mondo. Solo poche
anime hanno mantenuto accesa la fiamma e se la sono passata. A
loro dobbiamo la grande pulsione umanistica del Rinascimento,
pochi secoli più tardi. A loro dobbiamo la conservazione dell’Arte
alchemica, a loro l’impulso che mi fa scrivere queste pagine oggi.
Tutto attorno, in quella che viene descritta con il termine “normalità”,
il vuoto.
Se provate a digitare sul più potente motore di ricerca il nome del
vostro vicino di casa vi usciranno migliaia di risultati. Se digitate
“Concilio Namnetense Arbores daemonibus consecratae”, ovvero
l’atto che ha segnato l’umanità in maniera indelebile, ne riceverete
soltanto otto (anno 2017).
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto
e, se ha arruolato nelle proprie fila un mistico amante del bosco
attorno al XIII secolo come Francesco d’Assisi, lo ha fatto soltanto
per infiltrarsi fra quelle popolazioni più resistenti al verbo cattolico
e indebolirle da dentro. L’arte di infiltrarsi è anch’essa specifica
del Parassita. Chi s’infiltra non è notato e una volta raggiunta la
preda la “gestisce” di nascosto da dentro. Il Parassita non combatte
l’avversario per distruggerlo, ma per impadronirsi della sua
volontà. Non estingue il bisogno di dialogare con l’albero, che è
aperto a tutti, ma lo sostituisce con qualcosa che è di sua proprietà.
Partendo dal punto più alto possibile, s’inventa un Dio privato e
sostituisce l’albero con qualcosa di molto simile, casualmente fatta
dello stesso materiale: la croce.

30 LA MESSA È FINITA
La croce è l’albero cattolico.
È di fronte a Lei che ti devi fermare, a Lei devi chiedere
e da Lei farti ispirare.
È Lei che si ergerà sulla cima di ogni montagna.
È Lei che verrà frapposta fra l’uomo e il suo nuovo Dio. Diabolico!
Gran parte degli esemplari secolari che hanno raggiunto i nostri
tempi sono sopravvissuti e sono stati “graziati” solo perché
strumentalizzati dal clero: il grande cipresso secolare di San
Francesco a Villa Verucchio, il bagolaro di San Francesco a San
Leo, il leccio di San Francesco sul Monte Amiata in Toscana, il
faggio di San Francesco a Rieti, il castagno di San Francesco a
Narni in Umbria. Qui la strategia è ancora più sottile: il potere
dell’albero secolare è assorbito dal nome di un uomo e la parola
“Santo” lo riversa nello stomaco della Chiesa cattolica. L’essenza
selvatica viene così vestita forzatamente con la casacca del suo
carnefice!
Concludiamo.
L’errore più grave che si possa commettere è ritenere l’avversione
del clero ai danni degli alberi come storicamente superata.
Nulla di più sbagliato!
Il contatto empatico con una creatura vegetale e la sua contemplazione
possono procurare nell’essere umano una conoscenza
incommensurabile.
Lo è sempre stato e lo sarà per sempre. Nulla di più pericoloso
per chi possiede un impero fondato sull’ignoranza dei propri serIL

CONCILIO NAMNETENSE 31
vi! Ciò che è in atto è una gestione abilissima e impercettibile.
Non più editti e aperte dichiarazioni di guerra, ma velatissime
ingerenze con strumenti subliminali. Il Parassita si fa sempre più
invisibile, sempre più spesso veste gli abiti del protettore dell’esistenza,
mentre ne profana l’intimo richiamando a una condotta
contro natura. L’ovvietà dei messaggi papali è un suolo di gomma
morbida che rende impossibile ogni scatto dell’Eros creativo.
Come cresce la possibilità di informarsi, così aumenta la scaltrezza
di intorbidire le acque. E tutto volge ancora ad accreditare
santi e misteri della fede, per non ammettere che senza alberi
non si respira, senza Donne non c’è vita, e senza Sole tutto si
spegne.
Mi prendo infine il piacere di ricordare come il dominio sulla creatura
vegetale venga celebrato in occasione di ogni Santo Natale.
Tenete sempre ferma nella vostra mente questa premessa: la Chiesa
cattolica non fa mai nulla a caso. Nulla! Nella piazza più potente
a disposizione, piazza San Pietro, viene immolato alle alte volontà
un esemplare di sempreverde dall’immane statura, proveniente
dalle zone alpine. Tutto simbolico: un’autentica messa in scena con
alta facoltà di condizionamento inconscio.
Le Alpi: un luogo lontano e fortemente selvatico, il simbolo del
regno autoctono e originale, pilastro della Natura insuperabile e
ingestibile. Con un’azione altamente spettacolare, l’albero viene
scelto tra i più belli, tagliato, legato e trasportato da un elicottero
come un prigioniero fino al centro della piazza dove viene infine
ancorato al suolo. L’albero è morto ma deve apparire vivo, anzi viene
addobbato quasi a dare l’idea che sia felice di strare lì, che abbia
accettato di farlo e si sia arreso serenamente. È solo, accerchiato,
impotente. E lentamente si asciuga e si spegne.

32 LA MESSA È FINITA
Mi ricordano tanto, questi alberi, gli eretici arsi nelle piazze, strappati
al loro vivere, privati della facoltà di esprimere se stessi, legati
e messi in mostra alle masse, affinché la loro drammatica posizione
apparisse come esclusiva debolezza di fronte alla potenza del dominatore.
Abbassare l’avversario per figurare più alti. I corpi arsi
cadevano a pezzi e si facevano cenere. Terminata la festa, all’albero
spetta lo stesso destino.
3
L’Istituto della Famiglia
La gabbia chiamata Amore
La famiglia è proposta dal clero come unico e sano aggregato
sociale. Chi non si sposa è percepito come incompiuto e incompleto.
Solo da poco, l’eleganza del termine “single” ha preso il
posto dei dispregiativi “scapolone” e “zitella”. La famiglia è un
punto di arrivo imprescindibile, nella vita non puoi non sposarti
e devi farlo in chiesa. Se poi divorzi, commetti un “peccato
mortale”.
Non è una cosa buona restare da soli. L’individualità non è vista
quasi mai come positiva, il suo valore vien fatto virare spesso in
solitudine o estrema diversità.
Moralmente parlando, l’essere umano deve desiderare il gruppo e
rifuggire il percorso solitario, qualunque esso sia. La realtà quotidiana
ci parla di mode e tendenze omologanti.
Partiamo subito diretti: perché mai per la Chiesa cattolica l’istituto
della famiglia è così intoccabile, tanto da difenderlo in ogni sede
con ogni forza possibile e dedicargli sfilze di simposi in ogni dove?
Ecco subito una prima risposta! Premesso che il rispetto per la
propria individualità è un atteggiamento puramente eretico, ovvero
connota la necessità di prendersi cura di sé senza uniformarsi
agli altri, ed è quindi tipico di quelle persone che intendono con34

LA MESSA È FINITA
quistare a tutti i costi le verità più profonde, possiamo facilmente
comprendere che
chi sceglie di sua spontanea volontà di condurre
un’esistenza solitaria e al di fuori del contesto condizionante
famigliare, sia più predisposto a sviluppare pensieri e atteggiamenti
potenzialmente dannosi per la Chiesa cattolica.
Dogma e fede non vanno affatto d’accordo con scienza e ragionamento.
È quindi ovvio che se nessuna pecora intralcia le volontà
del pastore, l’opera si fa decisamente più fluida. Ma questa è
soltanto una piccola colonna che sostiene l’istituto della famiglia.
Affinando l’analisi e tenendo ben presente con chi si ha a che fare,
si raggiungono elementi molto più profondi e a dir poco inquietanti:
se da un lato si tocca con mano l’intelligenza e la conoscenza
sopraffina del protagonista, dall’altro si constata la sua indole insensibile
e spietata di Parassita. Al termine del percorso di indagine
sarà facile comprendere che ciò che viene proposto come normale
e buono altro non è che il terreno ideale dove indebolire, controllare
e togliere energia vitale all’essere umano.
Procediamo per ordine. In primo luogo, l’asse famigliare cementa
il rapporto di forza che lega il genitore al figlio, permettendogli di
influenzarne lo sviluppo. Il figlio è di proprietà del genitore, che può
disporne liberamente e a pieno diritto. Infondo, come ci fa notare
attentamente lo psicologo Sergio Martella in una sua riflessione, il
Dio cattolico ha creato un figlio per poi ucciderlo in croce3. Su questo
canale così strutturato, che unisce come una catena il figlio al ge-
3 S. Martella, Pedoclastia, https://www.youtube.com/watch?v=wY4zlUi4Fx8

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 35
nitore, la Chiesa può innescarsi e far scorrere con gran facilità le proprie
disposizioni, come un fluido che si diffonde per caduta. Tutta
l’azione educativa indirizzata ai genitori ricade automaticamente sul
figlio, che la riceve come un contenitore passivo e innocente.
Il figlio non può che accettare senza mettere nulla in discussione,
a buona ragione non mette in discussione tutto il nutrimento
che gli è giunto dal cordone ombelicale in fase fetale. Dall’alto
della sua purezza, avverte la distorsione della linea educativa che
interessa le questioni religiose, ma la accoglie con naturale fiducia.
Anch’io ricordo di non avvertire così legittima la figura di una
Santa Maria vivente tra le nuvole, che si sarebbe arrabbiata per
certi miei comportamenti.
Ma come puoi non fidarti di una madre che ti nutre,
ti veste e ti protegge da sempre?!
In tenera età, un figlio non mette mai in discussione
l’azione di chi gli permette di sopravvivere.
Quindi, quale momento migliore per inoculare un virus morale?!
La madre, per un figlio, è l’unica radice per esistere, talmente essenziale
da essere scontata. Un figlio non lo pensa che sta vivendo
grazie alle azioni di una madre. Il figlio non pensa nemmeno che
sta vivendo. Vive e basta. Ecco quindi, che per il principio dei vasi
comunicanti, il verbo si diffonde con semplicità e s’infiltra nella
massima profondità. Capite ora perché la santa dottrina impone di
giungere vergini all’altare?! Altro che questioni legate alla purezza!
I figli devono nascere in un contesto che predisponga alla massima
ingerenza e un matrimonio celebrato in Chiesa impianta nella psiche
dei genitori strumenti di controllo fortissimi.

36 LA MESSA È FINITA
Quasi nessuno conosce cosa producano, a livello sottile,
certe ritualità così condotte.
Sono tecnologie superiori, invisibili,
spesso inimmaginabili per le masse.
Per il Pastore che pascola il suo gregge, la dinamica che congiunge
il genitore al figlio consente anche notevoli benefici a livello gestionale.
Se un popolo è “sciolto” e ogni individuo dispone della
propria autonomia, per gestirlo occorre investire energie in tanti
interventi individuali. A ognuno degli individui va rivolta un’attenzione
personale e un intervento personalizzato. Un impegno
davvero notevole e sicuramente non sempre efficace! Se invece il
popolo è raggruppato in famiglie, al pastore è sufficiente colpire
il capofamiglia. Sarà poi il capofamiglia a trasferire l’azione di
controllo sui propri figli, ignaro di diffondere semplicemente la
propria condizione di schiavitù. In fondo, come ben recitava una
vignetta che incontrai sul web, solo uno schiavo accetterebbe che i
propri figli chiamino “padre” un altro uomo.
Un altro terribile aspetto che i figli sono condannati ad affrontare,
essendo inseriti nella dinamica famigliare, è la difficoltà di
sviluppare un proprio senso critico, una sana personalità e un’autentica
sicurezza operativa. Se il genitore non ha raggiunto una
notevole maturità interiore, e questo succede raramente, la struttura
famigliare genera situazioni che lo vedranno conduttore di un
programma educativo non finalizzato allo sviluppo e alla emancipazione
del figlio, ma a un suo controllo. Disponendo di un potere
smisurato, egli verrà indotto inconsciamente a replicare sul figlio
le stesse dinamiche vissute in età infantile. Se era stato punito dai
propri genitori, svilupperà la tendenza a punire il proprio figlio.

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 37
Se era stato ignorato, ignorerà. Se era stato dominato, vivrà la sua
rivalsa dominando.
Quello a cui si assiste è una insana evoluzione dei ruoli che
disallinea lo sviluppo psichico del figlio con le proprie fasi biologiche.
Si rallenta quindi lo sviluppo della personalità e si tende
a rimanere subordinati alla famiglia d’origine più a lungo.
Nell’intimo, molto spesso i figli rimangono tali fino a età avanzata
e non accedono alla posizione interiore di uomo o donna.
Rimangono figli e come tali subordinati alla volontà del genitore.
Non sono e non si sentono liberi nelle loro scelte, temono il giudizio
del genitore o evitano comportamenti che implicano una presa
di responsabilità. Tutto ciò produce una collettività più debole,
più lenta nell’evolvere e più facilmente indottrinabile. Non è un
caso che i Paesi meno influenzati dal clero sono quelli nei quali i
giovani si emancipano prima.
Per alcune donne è proprio il matrimonio l’unica via di fuga dalla
famiglia. Un uomo che si sostituisce al padre e le allontana fisicamente
dal nucleo originario. Ma, se la creazione di una famiglia
propria avviene senza che siano stati prima sciolti i legami inconsci
con i genitori, i figli sono condannati a ricreare polarmente la stessa
famiglia che hanno “lasciato”, sostituendosi al ruolo dalla madre
e attribuendo al marito gli stessi ruoli che aveva il padre. Identiche
dinamiche nel caso fosse un uomo a scegliere il matrimonio come
via di fuga dalla famiglia originaria. Tutti gli studi condotti nel
campo della meta-genealogia hanno confermato questa dinamica.
È interessantissimo notare che è proprio l’atto del matrimonio a
fare scattare questa dinamica. Ho personalmente notato, e riten38

LA MESSA È FINITA
go di non essere il solo, che molte coppie stabili e di lunga data
modificano in peggio i propri rapporti non appena decidono di
celebrare la loro unione con un atto ufficiale.
Il passaggio di ruolo da uomo a marito, o da donna a moglie,
scatena memorie genetiche fortissime e attiva quello che
potremmo definire un campo morfico malsano.
Diventando coniuge, la persona si aggancia
a una griglia comportamentale super partes
che ne condiziona quasi totalmente la relazione.
Da quel momento, entrambi i partner non sono più soltanto due
persone che vivono un percorso insieme, ma entrano a fare parte
della grande creatura psichica collettiva che è il matrimonio. Una
vera e propria eggregora4!
Nessun comportamento rimane indenne, soprattutto se il matrimonio
è di matrice cattolica: il marito inizia a diventare una cosa,
la moglie un’altra.
Emergono caratteri riconducibili a parenti, si strutturano nuove
personalità. Lentamente e inesorabilmente, le persone vengono riposizionate
a un livello funzionale alla conservazione del carattere
dei reciproci clan di appartenenza famigliari, rallentando fino a
compromettere la spinta evolutiva di entrambi.
In definitiva, se è vissuto prima di una profonda maturazione interiore,
il matrimonio è un’autentica tomba per chi ambisce all’autotrascendenza!
E non a caso il clero lo sponsorizza tanto, subordinandone
anche la sessualità. Che ignobile ricatto!
4 Entità incorporea generata dalla convergenza psicologica di un gruppo di persone, in
grado di condizionare il comportamento del gruppo stesso che l’ha generata.

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 39
Torniamo al legame genitori-figlio. La forza della catena che unisce
le generazioni è talmente forte a livello inconscio che quando un
figlio decide a tutti i costi di reciderla, raramente questo avviene
per via pacifica. Quasi sempre è richiesto giungere ad uno scontro
frontale, a uno strappo, ed è indispensabile un Fuoco interiore
davvero straordinario. Il genitore non è quasi mai disposto a cedere
di sua spontanea volontà.
Inconsciamente, il figlio gli appartiene;
ha proiettato su di lui le sue volontà,
ne ha fatto un suo prolungamento virtuale,
un luogo di riscatto e di rivalsa
per le condizioni subite a sua volta dal proprio genitore.
Staccarsi significa perdere potere e sicurezza.
Significa “tornare uomo” o ancor più diventarlo per la prima volta.
E questo comporta fare i conti con la libertà, che come sappiamo
spaventa tanto chi non la conosce.
L’opera di distacco del figlio dal genitore, l’atto che spezza questo
campo di forza malsano, è un gesto fondamentale e di profonda
bellezza. Ricalca il processo naturale della vita, ne è un passo della
stessa danza. Una volta compiuto, e una volta spenta la tensione
del conflitto, ne beneficiano sempre entrambi.
Nelle società tribali, il figlio che ha raggiunto la maturità sessuale,
viene accompagnato nella foresta e lì lasciato a sopravvivere da solo
per alcuni giorni. Trascorso il tempo stabilito, il figlio può fare
ritorno alla tribù ed è dichiaratamente diventato uomo e quindi
libero di esprimere apertamente le proprie volontà. Il figlio non
rischia nulla nella foresta, sa bene come muoversi in quella che da

40 LA MESSA È FINITA
sempre gli è stata presentata come una madre e un padre superiori.
Il gesto è quindi puramente simbolico e iniziatico.
Questa esperienza, se da un lato ci dimostra l’apertura mentale
di chi si è potuto tenere alla larga dal germe cattolico,
dall’altra ci insegna in che modo un essere umano
sviluppa le sue potenzialità più profonde e si rende autonomo,
ovvero esplorando uno spazio esistenziale in solitudine
e approcciando il mondo come un collaboratore.
Nella società di stampo cattolica, invece, il figlio rimane all’interno
del nucleo famigliare guidato dal padre o dalla madre fino a quando
non decide di formarsi lui stesso una sua famiglia e, per tutto il
tempo di permanenza, viene sottoposto a una serie di iniziazioni e
pratiche ben cadenzate nel tempo, nei confronti delle quali non è
mai chiamato a esprimere il suo parere, né tantomeno è necessario
il suo consenso.
Gli ordini partono dalla parrocchia, raggiungono il capofamiglia e
ricadono infine sul figlio che li subisce e, per amore del genitore, li
accetta. Neanche il genitore, a sua volta, è mai chiamato a esprimersi
nei confronti della parrocchia in merito alle attività proposte. I “sacramenti”
arrivano direttamente da Dio e quindi non si rifiutano né
si discutono, né direttamente con Lui né con i suoi rappresentanti in
Terra. Il genitore obbedisce come il figlio. Non si chiede se è giusto o
che senso abbiano. Non sa neanche di che cosa si tratti realmente. Al
massimo ne ha una vaga idea simile a quella che sia a riguardo degli
ingredienti di un prodotto industriale alimentare.
Va fatto! Insomma: lo fanno tutti e quindi è giusto farlo! Non sa
che nel suo dna c’è scritto che chi non lo fa finisce nel fuoco con

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 41
le ossa spezzate, ma in un certo modo lo sente. Un sentore strano
accompagna l’idea di un ipotetico rifiuto. Meglio non rischiare.
Pochi genitori si chiedono quindi cosa sia il battesimo, e il figlio è
costretto a battezzarsi. Poi arriva “la confessione” dove, a un tale, il
figlio avrà l’obbligo di raccontare cose intime e segrete che spesso
neanche al genitore racconterebbe. È un tale speciale e alla fine lo
punirà obbligandolo a pronunciare frasi degne del peggior sadomasochismo.
L’Atto di dolore recita testualmente: «Perché peccando
ho meritato i tuoi castighi».
Sempre quel famoso tale, anche se è perfettamente sconosciuto e
nascosto, diviene per magia un profondissimo e obbligatorio confidente,
e al pari un castigatore. Non è forse la stessa malsana dinamica
educativa ed esistenziale riscontrata nel rapporto genitorefiglio?!
Ma notate bene: il figlio potrebbe anche non sapere chi è,
visto che il prete è sempre nascosto dietro la grata e al buio. Il prete
invece vede sempre molto bene con chi sta parlando.
Dopo la confessione seguono la comunione e la cresima. Sì, la
cresima! E in quella occasione un essere con un lungo cappello in
testa, che sembra un alieno, darà un buffetto in faccia al figlio.
Certo è un gesto simbolico, ma pensateci bene:
un genitore che permette a uno sconosciuto
di mettere, se pur simbolicamente, le mani addosso al proprio figlio.
Vi sembra una cosa normale?! Certo, normalissima.
In fondo quell’essere non è solo apparentemente superiore
e porta con sé il bastone del comando,
ma è anche un vescovo, ovvero un alto ufficiale della Chiesa.
Non ci si può opporre a qualcosa che è quasi prossima a Dio,
se tu sei prossimo al gregge.

42 LA MESSA È FINITA
L’apice sarcastico lo trovo però nell’intendere la cresima come
“l’atto di conferma”. Della serie: io ti confermo che sono a tua
disposizione, qualunque cosa mi imporrai io non reagirò e accetterò
felice. Aspetti decisamente patologici! Inoltre, se l’atto fosse
sorretto dalla buona fede, la conferma non verrebbe chiesta a un
ragazzino adolescente che ha ancora una visione molto ristretta
della vita e soprattutto del clero. La conferma andrebbe chiesta
a un essere adulto che ha avuto modo di conoscere, informarsi e
apprendere anche con l’esperienza diretta qualcosa in più dell’esistenza.
Ma se così fosse, di conferme ne riceverebbero decisamente
poche! La Chiesa cattolica sa bene che l’età nella quale
viene imposta la cresima corrisponde alla maturità sessuale dei
ragazzi. E la Chiesa sa bene che la pulsione erotica porta a un
innato istinto alla conoscenza, al guardarsi intorno, al porsi delle
domande, all’assaporare di persona e al prendere anche delle
posizioni divergenti dalla norma. Il risveglio delle energie sessuali
porta ai primi passi verso l’emancipazione in tutti i campi,
e l’emancipazione dell’imposizione religiosa è una tra quelli più
appetibili.
Il giovane adolescente avverte bene che in quel campo
c’è qualcosa che “non quadra”,
e allora occorre incidere subito la sua struttura psichica
con uno shock importante.
Viene inviato un ufficiale di grado maggiore, non un semplice prete.
Vengono pronunciate parole importanti, s’introducono aspetti
del mondo degli adulti, si porta luce sulla nuova forza che emerge
dai giovani presenti e si ribadisce, infine, per l’ennesima volta, a
chi va portata obbedienza. Anche questa funzione, in termini so
stanziali, può quindi essere intesa come una violenza da parte di
un adulto forte su un giovane debole.
Infine c’è il matrimonio. E nel mezzo, a scandire il ciclo annuale
del Sole, autentica energia cristica, una serie frastagliata di processioni,
atti e rievocazioni varie.
Nemmeno nel giorno della dipartita l’essere umano viene lasciato
solo. È bene che veda il prete e la Chiesa anche negli ultimi istanti.
Che rimanga ben impressa, nella superficie animica della persona,
l’immagine della croce. Sarà più semplice riprendere e continuare
il lavoro di controllo, una volta ritornata sulla Terra!
L’istituto della famiglia è un cardine portante
dell’egemonia clericale.
Se resti dentro alla trappola della famiglia,
sei e rimani come i tuoi genitori, quindi non ti evolvi.
E un essere che non evolve è facilmente gestibile e dominabile.
Fateci caso: persino al personaggio Gesù, presentato come esponente
divino tra gli uomini, è stata costruita una famiglia in terra.
In questo caso però è servita davvero tanta fantasia per conciliare
annunciazioni, un padre adottivo e uno invisibile, una vergine e
un po’ di Spirito Santo! Davvero buffo è infine notare che lo stesso
Gesù prende posizioni a dir poco imbarazzanti in merito al legame
genitore-figlio. Direttamente dal Vangelo di Luca 12:51-53:
«Pensate voi ch’io sia venuto a mettere pace in Terra? No, vi dico; ma
piuttosto divisione. Perché, d’ora in avanti, cinque persone in una casa
saranno divise, tre contro due e due contro tre. Il padre sarà diviso contro
il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia e la figlia contro
la madre; la suocera contro la sua nuora e la nuora contro la sua suocera».

44 LA MESSA È FINITA
Buffo e contrastante, ma questa è la Chiesa cattolica e parole come
“coerenza”, “rispetto” e “lealtà” sono semplici accessori.
In Natura non esiste la famiglia, al massimo esiste la tribù. I figli
non appartengono ai genitori, sono figli della tribù. Vi immaginate,
a livello educativo e di crescita di una civiltà, cosa significherebbe
che “i figli sono della tribù”?! Sarebbe il presupposto fondamentale
per lo sviluppo del buon senso e del senso civico. Tutti
si sentirebbero davvero parte dell’unica famiglia possibile e sana:
l’umanità. Tante famiglie significa invece tanti conflitti e tanti
blocchi. Significa creare divisioni e soprattutto selezioni: famiglie
che conservano il potere e famiglie che conservano l’ignoranza.
«Dividi et impera» dicevano gli antichi Romani, dai quali il clero
ha raccolto buona parte dell’eredità nell’arte del dominio. Loro
che ci dicono come dobbiamo relazionarci con i nostri figli nelle
nostre famiglie. Loro che non fanno né l’uno né l’altro!

ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO

Mauro Biglino
Antico e Nuovo
testamento
libri senza Dio
Come le religioni sono state costruite
a tavolino per mantenere il potere

Introduzione
Dopo molti anni trascorsi come traduttore di ebraico masoretico,
dopo la pubblicazione da parte delle Edizioni San Paolo di
diciassette libri dell’Antico Testamento tradotti dalla Bibbia ebraica
Stuttgartensia (Codice di Leningrado), dopo la pubblicazione
di quattro testi sulla Bibbia, sei anni di attività pubblica e più di
100.000 libri venduti, esce il secondo volume de La Bibbia non è
un libro sacro.
In questa nuova pubblicazione ho voluto inserire una serie di prime
riflessioni sul Nuovo Testamento per ricomprenderlo senza ombra
di dubbio all’interno dell’affermazione contenuta nel titolo.
Ho anche scelto di rispondere in modo circostanziato alla più
importante delle contestazioni che l’esegesi giudaico-cristiana mi
rivolge: quella relativa al termine Elohim, al suo essere plurale o
singolare, al suo significare Dio oppure no.
Come si comprende bene, questa infatti è la questione di fondo,
tutte le altre non ne costituiscono che il corollario e rivestono un’
importanza di gran lunga inferiore.
E’ infatti fondamentale stabilire se la Bibbia parla del Dio unico
oppure no.
E se non parla di Dio, di cosa si occupa? Che storia ci narra?
Questo nuovo lavoro è dunque un excursus su vari temi compiuto
con l’intento di evidenziare la questione di fondo che concerne il
nostro rapporto con quel libro su cui mi pongo le seguenti domande:
per l’Antico Testamento, i detentori della conoscenza hanno
raccontato ciò che veramente contiene?

6 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
Per quanto concerne invece il Nuovo Testamento, come si comprenderà
dal contenuto del lavoro, la domanda è necessariamente
diversa: gli autori hanno scritto il vero?
La risposta è per me scontata in entrambi i casi: assolutamente no.
Per l’Antico Testamento non si sono limitati a non raccontare, ma
sono andati ben oltre e hanno deliberatamente e spudoratamente
inventato ciò che non c’è.
Per il Nuovo Testamento gli autori dell’inganno sono stati innanzitutto
gli estensori, coloro che hanno inventato la figura cristica,
ben diversa dalla figura storica del predicatore giudeo messianista.
Ecco il motivo della scelta di un titolo così assertivo e all’apparenza
provocatorio.
Darò anche risposte a critiche e osservazioni che i rappresentanti
delle diverse, e spesso contraddittorie, dottrine hanno rivolto alle
ipotesi contenute nei miei precedenti lavori.
Un percorso che parte dal primo versetto della Genesi per arrivare
a riflettere, sia pure per il momento molto sinteticamente, sull’inganno
finale: da Adamo a Gesù.
Una storia che i detentori della conoscenza hanno costruito a tavolino,
utilizzando i testi cosiddetti sacri come puro pretesto, come
spunto per dare voce a una loro creazione artificiale.
Ho scelto deliberatamente di ridurre al minimo le citazioni testuali
di versetti e i riferimenti bibliografici che si trovano numerosi negli
altri miei libri; ne consegue che la bibliografia è essenziale e contiene
esclusivamente i testi che fanno diretto riferimento ai temi
trattati, mentre le citazioni testuali dei versetti ebraici si sono rese
necessarie nei capitoli in cui ho affrontato le obiezioni degli esegeti
giudaico-cristiani.
Introduzione 7
A proposito di citazioni e bibliografia, devo però anche dire che in
questi sei anni di esposizione pubblica dei miei studi, ho notato
che i critici di professione hanno un atteggiamento strano, molto
curioso e quanto meno poco coerente: se ascoltano o leggono
un’affermazione che collima con le loro idee non chiedono mai
la fonte e non pretendono che sia contestualizzata; la accettano
così come viene formulata, senza porre ulteriori questioni, anche
se quella affermazione potrebbe rivelarsi un’emerita fandonia o la
stupidaggine del secolo.
Se invece ascoltano o leggono una tesi o un’ipotesi che non collima
con le loro idee, o peggio che le mette in seria discussione,
immediatamente ne chiedono la fonte, introducono il concetto di
allegoria o metafora, applicano la contestualizzazione giustificatrice
ecc. ecc…
Ad esempio, se scrivo che Yahweh amava l’umanità intera (cosa
che contrasta con l’intero Antico Testamento) i critici tacciono;
mentre se scrivo che Yahweh ordinava di massacrare donne, anziani
e bambini (cosa ripetutamente dichiarata nel testo e realmente
avvenuta), immediatamente mi chiedono dove è scritto, in che
contesto è inserito quell’evento; mi ammoniscono sostenendo che
va interpretato, capito, letto magari in chiave allegorica o metaforica,
inserito nel momento storico e culturale in cui si è verificato,
va scavato per ricavarne il significato profondo, esoterico ecc. ecc.
Addirittura arrivano a sostenere che per quelle parti, e solo quelle,
non abbiamo alcuna certezza che siano state ispirate da Dio.
E per le altre invece abbiamo la prova, chiedo io?
Non ho mai sentito dire che il primo versetto della Genesi abbia un significato
allegorico, eppure proprio quel versetto contiene un’affermazione
che non ha nulla a che vedere con ciò che ci è stato tramandato:

8 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
non parla cioè della ‘creazione’ ma di ben altro (vedere l’analisi specifica
condotta nel precedente lavoro: Non c’è creazione nella Bibbia).
Insomma, la sostanza del comportamento dei dogmatici è la
seguente: ciò che piace può e deve essere preso alla lettera, così
com’è; mentre ciò che non piace richiede stranamente analisi approfondite
e interpretazioni di varia natura.
Per il Nuovo Testamento assistiamo addirittura ad un atteggiamento
che non sarebbe approvato in nessuna altra situazione: l’accettazione
acritica di tutto ciò che vi è scritto, senza alcuna considerazione
sulla totale assenza di fonti accertate e di riscontri storici.
Questo nuovo libro è come un fiume, una corrente il cui flusso
scorre con i pensieri che si richiamano gli uni con gli altri senza
suddivisioni didascaliche.
Non ho neppure riportato i versetti in ebraico perché ho scelto
deliberatamente di dare spazio alle traduzioni ufficiali – quelle
non contestate – con particolare riferimento alle versioni della CEI
(Conferenza Episcopale Italiana), cui va riconosciuto il merito di
operare con sempre maggiore obiettività nel dare conto dei significati
del testo ebraico, anche nei passi che possono risultare poco
consoni o addirittura ostici per la dottrina.
Ho concesso anche molto spazio alle tesi dei rabbini che studiano
questi testi con un atteggiamento libero dai condizionamenti
dell’ultra ortodossia integralista e dell’ideologia di stampo nazionalista
(conosciuta con il termine sionismo), il cui dogmatismo
non ammette dubbi o riflessioni che abbiano potenzialmente conclusioni
diverse da quelle già predefinite.
Preciso solo che quando cito genericamente la filologia ebraica mi
riferisco a quei blog e forum in cui filologi biblisti ebrei hanno
analizzato i miei lavori precedenti.
Introduzione 9
Il lettore seguirà dunque questo fiume ricavandone spunti e stimoli
per procedere con approfondimenti personali e con l’avvio di
una riflessione autonoma, utile a comprendere la reale consistenza
(dovrei dire inconsistenza) delle fondamenta di quella grande costruzione
che, nei secoli, è stata edificata e presentata come vera.
Come sempre scrivo e dico, so di non possedere la verità e so altrettanto
bene che posso commettere errori, dai quali per altro nessuno
è esente; al contempo, senza presunzione, sono consapevole
di aver maturato nei decenni almeno quel poco di conoscenza che
è sufficiente per svelare i palesi inganni altrui: i diciassette libri di
mie traduzioni pubblicati dalle Edizioni San Paolo testimoniano
in questo senso.
I dubbi e le domande che sorgono nella mente del lettore sono il
vero pharmakon che stimola l’avvio di un processo di conoscenza
autonomo, indipendente da ogni forma di condizionamento.
Quindi proseguo lungo il cammino tracciato in questi anni: traduco
letteralmente l’ebraico, provo a raccontare con la massima
chiarezza possibile ciò che trovo e se ciò che trovo è una fiaba, proprio
come Pinocchio, io racconto Pinocchio, ma bisogna sapere
che in quel caso la fiaba l’hanno introdotta ed elaborata i redattori
dell’Antico Testamento ebraico e del Nuovo Testamento greco.
PS: In questo volume ho voluto/dovuto riprendere alcune, per altro
poche, pagine del lavoro precedente per due motivi: garantire
al nuovo lettore la possibilità di comprendere il testo senza doversi
necessariamente procurare il libro precedente; chi invece lo possiede
sarà facilitato nel seguire questo nuovo lavoro senza dovervi fare
continuamente ricorso.

I presupposti e le modalita’
di una invenzione
Stante la natura di questo libro che vuole essere la prosecuzione
del lavoro precedente, mi sento davvero di entrare nel merito dei
contenuti affermando che il Dio biblico, l’idea stessa della sua esistenza,
le sue caratteristiche, gli attributi che lo connotano, la sua
presunta volontà, i suoi obiettivi, le finalità con cui opererebbe,
sono frutto di una invenzione.
Probabilmente è la più grande invenzione che una parte dell’umanità
- una parte numericamente molto limitata ma dotata di
astuzia e intelletto messi a disposizione di obiettivi precisi e forse
anche opportunamente guidata e indirizzata da chi ci ha fabbricati
- ha elaborato e messo in opera per dominare sulla restante parte
numericamente molto più estesa.
La parte di umanità dominata è spesso dotata anche delle stesse
capacità intellettive, talvolta forse anche superiori, ma risulta
stranamente disponibile a rinunciarvi, pur di avere risposta certa
e consolatoria a quella che possiamo sostanzialmente definire la
madre di tutte le angosce: la paura della morte.
Lo stesso attuale Dalai Lama ebbe dire che tutte le religioni sono
state elaborate per aiutare l’uomo a trovare proprio questa risposta
che risulta avere una valenza fondamentale: aggiungo che
è proprio questa capacità l’elemento costitutivo e fondamentale
della credibilità e della conseguente accettabilità di ogni forma di
pensiero religioso. Senza questa risposta – in qualunque modo sia

12 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
formulata - le religioni non avrebbero seguaci/fedeli e dunque
non avrebbero alcuna possibilità di esistere.
Il Dio biblico e il mondo spirituale a esso connesso svolgono proprio
questa funzione che storicamente risulta essere irrinunciabile.
Tale risposta rappresenta l’elemento costitutivo di ogni struttura,
di ogni organizzazione che abbia l’obiettivo di controllare ampi
strati di una umanità alla ricerca disperata di qualcuno dotato di
una qualche forma di autorevolezza, spesso imposta anche con la
violenza, che le garantisca – in forme diverse ma comunque sempre
confortanti – che in ogni caso la sua vita non terminerà con
l’esperienza terrena che sta vivendo.
Questa risposta supera ogni altra incongruenza, mette a tacere la
stessa razionalità, consentendole di superare, e spesso di non vedere
neppure, le evidenti, grossolane, insanabili contraddizioni che
sono presenti in ogni forma di pensiero che definiamo genericamente
religioso.
Per rimanere in ambito biblico, un mio lettore e attento interlocutore
(il Dr. Antonio Boccardo), presenta a questo proposito delle
questioni sulle quali forse non si riflette a sufficienza.
Le ripropongo qui data la loro perfetta congruenza con quanto si
sta considerando.
Coloro che accettano le tesi dottrinali gratificanti e consolatorie
in fatto di promesse sulla presunta eternità dovrebbero per un
attimo pensare di vivere nell’epoca in cui avvengono i fatti narrati
in Esodo o Giosuè o Giudici, e di appartenere ad uno dei tanti
popoli che YHWH ha deciso di eliminare. Quando lo decide,
arriva con i suoi, vi espropria della vostra terra, ordina lo sterminio
dei vostri bambini e delle vostre donne che hanno conosciuto
uomo, salva soltanto le giovani e le vergini per la soddisfazione
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 13
sessuofoba delle sue milizie. Distrugge le vostre case, i vostri luoghi
di culto, distrugge i vostri ricordi, le sculture, le opere d’arte,
brucia le vostre biblioteche eliminando tutto il sapere che i vostri
padri hanno accumulato nei secoli. Tutte le conoscenze non ci
sono più; non esiste più nulla, solo distruzione e morte vi circondano
e solo le lacrime vi rimangono per piangere e rimpiangere
quello che prima c’era e ora non più. Questo è quanto traspare
dalla semplice lettura dell’A.T.. Tra le tante, una domanda emerge
dopo queste considerazioni: ma, è questo il Dio che la cristianità
ha osannato per secoli e secoli e in cui hanno creduto miliardi di
uomini e donne? Il Dio creatore, il Dio della bontà infinita, tutto
amore e perdono, onnipotente, onnisciente, misericordioso? Se
questo è il vero Dio di cui mi hanno sempre parlato bisogna stare
bene attenti a non incontrarlo mai, a non averci mai a che fare,
è un essere pericoloso dalla mente labile, e non c’è nessun modo
per fermarlo. Come potreste continuare a credere in un Dio che
è molto più vicino alle imperfezioni terrene che alle perfezioni
divine?
In base alla fede, quale sarebbe il vostro atteggiamento se veniste
a sapere che appena al di là dei vostri confini c’è un esercito ben
armato e ben deciso a farvi fuori tutti, sapendo che chi guida
quell’esercito è Dio?
Questa è la drammatica realtà biblica, questo ci racconta quel testo
con una chiarezza tragicamente disarmante: un vero e proprio
libro di guerra.
Non a caso è sulla base di queste evidenze che ho voluto formulare
delle ipotesi e chiedere provocatoriamente l’intervento di giuristi
per esaminare se non sussistano gli estremi per procedere contro
Yahweh (il presunto Dio giudaico-cristiano) e i suoi rappresen14

ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
tanti/sostenitori, applicando i principi che sono stati elaborati per
istruire il processo di Norimberga: i crimini contro l’umanità sono
evidenti a partire dagli ordini reiterati di sterminio fino alla promulgazione
di leggi razziali. I crimini commessi e l’apologia di
reato appaiono in tutta la loro evidenza (si veda “L’invenzione di
Dio”, Macrovideo-Unoeditori, 2015).
Ma non è tutto, le riflessioni dettate dal normale buon senso proseguono
e invitano le donne, le madri in particolare, a porre attenzione
ad uno specifico comportamento del ‘buon Dio’ al quale i
fedeli affidano la loro presunta eternità, facendosi dare le risposte
consolatorie dai sui attuali autonominati rappresentanti.
Donne, che siete o sarete mamme, tornate indietro nel tempo,
vi trovate nel deserto del Sinai. Siete da poco uscite dall’Egitto
e l’avete scampata bella su quella spiaggia, circondate da un lato
dal mare e dall’altro dall’esercito del faraone che non ha progetti
benevoli nei vostri riguardi. Ma avete la fortuna di avere il Signore
al vostro fianco. Con un miracolo riesce a salvarvi tutte, compresa
la vostra prole, i vostri uomini, e tutti i parenti e conoscenti
che sono con voi. Lungo il cammino nel deserto le difficoltà che
incontrate sono indicibili; problemi idrici, di alimentazione, di
igiene, di logistica di ogni tipo, assillano la vostra vita quotidiana.
Ma, con qualche mugugno, nella sofferenza accettate tutto, pur
di raggiungere l’agognata terra promessa, speranza di un futuro
per la vostra discendenza. In aggiunta agli ostacoli sopra elencati,
ci mettete anche il dovere di rispettare e obbedire ai nuovi ordini
divini. Tra questi ce n’è uno in particolare che crea qualcosa di
più che un semplice disagio, anzi è proprio ripugnante, o forse
sarebbe meglio definirlo terribilmente orrendo: un ordine che
non abbiamo alcuna difficoltà a definire un vero e proprio atto
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 15
criminale anche dal punto di vista semplicemente umano, senza
necessità di introdurre specifiche categorie giuridiche.
Lo troviamo ripetuto qui:

Es 13,1: Il Signore disse a Mosè:” Consacrami ogni essere che esce per
primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di
animali appartiene a me”.

Es 13,12: Mosè ricorda agli israeliti:” tu riserverai per Yahweh ogni primogenito
del seno materno…”.

Es 22,28: “il primo dei tuoi figli lo darai a me… sette giorni resterà con
sua madre, l’ottavo giorno lo darai a me”.
Cosa faceva di cuccioli di uomo di otto giorni visto che li toglieva
letteralmente alla madre?
Se erano ‘consacrati’ nel senso inteso dalle dottrine spiritualiste,
perché sottrarli alle madri accollandosi il compito estremamente
gravoso di occuparsene direttamente?
Li teneva in vita?
Aveva una nursery in cui li faceva crescere?
Chi se ne occupava?
Aveva la dimora affollata di neonati urlanti?
Li portava via?
Se si tratta di allegoria o metafora, mi chiedo quale fosse il reale
messaggio sottostante a racconti di questo genere: neppure la fantasia
più sfrenata è in grado di elaborare spiegazioni convincenti.
Per fortuna non ne abbiamo la necessità perché la realtà dei fatti è

16 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
evidente ed è la stessa Bibbia a illustrarcela senza nascondimenti.
Come ho avuto modo di spiegare ampiamente nei miei precedenti
lavori (e ci torno tra breve con un illuminante parallelismo tratto
dalla religione dell’antica Roma), l’atto del ‘consacrare, rendere
sacro’ non aveva alcuna valenza spirituale, indicava infatti esclusivamente
la scelta, volontaria od obbligata (come in questo caso),
di separare l’oggetto della consacrazione dalla sua collocazione abituale
e naturale per destinarlo in via esclusiva agli Elohim.
Questa cosiddetta ‘consacrazione’, lungi dall’essere un lodevole atto
rituale dalle valenze spirituali, si concretizzava in azioni cruente,
crudeli, generatrici di sofferenze indicibili.
E va detto che, in una sorta di recupero di coscienza, lo riconosce
lui stesso: proprio il presunto Dio che richiedeva la materiale e
spesso tragica, dolorosissima, ‘consacrazione’.
E’ proprio Yahweh infatti ad ammettere (Ez 20,25):

“Allora io diedi loro persino leggi non buone e norme per le quali
non potevano vivere… facendo passare per il fuoco ogni loro primogenito,
per atterrirli, perché riconoscessero che io sono Yahweh”.
Ecco cosa faceva dei cuccioli di uomo di otto giorni.
Cara lettrice donna che sei o sarai madre, immagino che tu abbia
appreso con costernazione la notizia che il tuo Dio ha massacrato
tutti i nati primogeniti maschi d’Egitto.
E’ proprio questo ciò che vuole il tuo Dio?
Perché mai Dio ha bisogno di gettare nell’angoscia una madre che
ha commesso il solo peccato di aver generato un maschio come
primo figlio? Perché creare questo trauma così devastante, che la
memoria rinnoverà ogni giorno per tutti i giorni che resteranno
da vivere?
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 17
Ma che scopo ha immolare il primo nato da una donna?
Se immolando animali ‘puri’, Dio ottiene dei benefici in salute (si
calmava annusando l’odore acre del grasso bruciato), che beneficio
gli procura il sacrificio di un primogenito del suo popolo?
Tu, madre, ancora non lo sai, ma quel Dio pretenderà, tra un migliaio
di anni, che gli sia immolato suo figlio attraverso il supplizio
della croce (questo secondo la favola che verrà narrata nella Bibbia).
Nella tua mente si accavallano pensieri di ogni sorta, avrai anche
pensato di farla finita e di smetterla di soffrire. Qualcuno dei sacerdoti,
se non è già venuto, verrà a consolarti e ti dirà, ancora una volta
che anche questa è volontà di Dio. Crescerà la tua rabbia per un po’,
ma alla fine, tra mille tormenti, accetterai rassegnata il suo volere.
Ti domanderai: “Ma se questo e il volere del mio Dio, perché
quando eravamo ancora in Egitto, ha voluto uccidere solo i primogeniti
degli egiziani? Perché dopo averci salvati, pretende, adesso, il
sacrificio dei nostri primi nati maschi?”
Cara madre, devi sapere che in un libro che sarà assemblato tra
mille e più anni, e si chiamerà ‘la Bibbia’, si leggeranno cose incredibili
sul tuo Dio. In modo particolare si saprà che la sua attività
primaria era quella di combattere frequentemente con tutti i popoli
che non fossero quello da lui prescelto e che l’ordine perentorio
era di sterminare tutti anche i più piccoli, appena nati o già
adolescenti.

t 3,6 “…votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne e bambini”.
Is 13,16-18 “i loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi…
con i loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà del frutto del
ventre, i loro occhi non avranno pietà dei bambini”.

18 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
Ez 9,5-6 “il vostro occhio non abbia pietà, non abbiate compassione.
Vecchi, giovani, ragazze, bambini e donne, ammazzate fino allo sterminio…”.
Cara madre, sappi che quel libro là è pieno di misfatti come quello
che sta capitando a te. Ma tu continui a credere che quello sia il
Dio creatore, fonte di amore universale, bontà infinita? Come può
essere un Dio di amore colui che uccide tanti bambini?
Quante donne dei nostri tempi sarebbero credenti se ci fosse in
circolazione un Dio così criminale da imporre il sacrificio dei propri
figli?
Un dio così misogino che considera le donne fonte di ogni male,
causa di ogni tentazione, motivo di tradimento e di colpa addirittura
di carattere religioso?
Rileggendo interamente il capitolo 31 di Numeri, il passo che fa
più clamore è l’affermazione irata di Mosè nei confronti dei comandanti
del suo esercito che tornano da una spedizione militare
contro i Madianiti: questi erano discendenti diretti di Abramo,
dunque parenti consanguinei strettissimi degli Israeliti, il cosiddetto
popolo eletto.
L’esercito di Israele, per dare corso alla ‘vendetta’ (sic) di Yahweh
(versetti 2 -3), uccide tutti i maschi, incendia le città, fa razzia degli
animali e dei beni e porta il bottino a Mosè che di adira (versetti 14
e se…) ed esclama: “Avete lasciato in vita tutte le femmine? Furono
esse … a stornare da Yahweh i figli di Israele…”.
La vendetta? Ma non era - e non è ancora - il Dio padre, signore
del perdono incondizionato?
E se qualcuno giustifica l’operato con la presa d’atto che “in quei
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 19
tempi si faceva così e Dio si era adattato”, affermo che un Dio così,
che si adatta alle nefandezze umane, nella migliori delle ipotesi è
un Dio inutile: sappiamo essere criminali da soli, non abbiamo
bisogno di lui.
Mosè si riferisce qui alla vicenda narrata in Numeri 25 dove si dice
che i maschi di Israele avevano iniziato a trescare con le figlie di
Moab e a prostrarsi davanti ai loro Elohim (la Bibbia non ci dice
se anche le figlie d’Israele si divertivano con i figli di Moab, ma
per par condicio mi piace pensare che il divertimento fosse almeno
equamente distribuito): da quella vicenda emerge un quadro
di nefandezze compiute dal presunto Dio che neanche il peggior
scrittore di horror si sognerebbe di mettere insieme. L’ira di Yahweh
si scatena contro il suo popolo infedele: ne annienta 24.000 e poco
importa stabilire se il numero è volutamente esagerato.
Si inserisce, in questo contesto, un secondo episodio. Mentre Mosè
e tutto il popolo piangono per i morti della vendetta divina, un
israelita prende una donna madianita di nome Cozbi e se la porta
nella tenda. Finees, nipote del sommo sacerdote Aronne, armatosi
di lancia, trafigge i due ‘peccatori’ nel basso ventre (25,8); a quel
punto l’ira di Yahweh si placa; quell’orrendo assassinio fa cessare il
furore diretto contro il suo popolo ma evidentemente non è stato
sufficiente a soddisfare la crudele voglia di sangue e a Mosè giunge
un ordine perentorio di sterminio nei confronti dei Madianiti
(versetto16).
Il capitolo 31 di Numeri, riprende l’ordine dato con l’aggiunta
della notifica divina della imminente presunta morte di Mosè (un
evento curioso che affronto in un altro capitolo): “Compi la vendetta
dei figli di Israele contro i Madianiti poi ti riunirai ai tuoi
antenati”.

20 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
Parafrasando, e senza troppa delicatezza, è come se Yahweh gli
avesse chiesto un favore: “Fammi quest’ultima commissione prima
di andartene”.
Immagino che qualche tormento interno Mosè debba pure averlo
avuto; almeno un pensiero per la sua famiglia: la moglie, i figli, il
suocero, le sorelle della moglie, erano tutti Madianiti.
Mosè non ha nulla da dire per proteggere la sua famiglia?
Non chiede al suo ‘Dio’ un pochino di compassione almeno per i
suoi più intimi?
Ci saranno anche loro fra i morti per lo sterminio ordinato da
Yahweh?
La Bibbia non lo dice.
Torniamo all’espressione che pronuncia con ira. Al ritorno vittorioso
delle sue milizie, avviene il celebre ammonimento di Mosè
ai suoi comandanti (Num 31,14): “Avete lasciato in vita tutte le
femmine?. Furono esse per suggerimento di Balaam a stornare da
Yahweh i figli di Israele… Ora uccidete ogni maschio tra i bambini
e ogni femmina che si sia unita con un maschio. Tutte le giovani
donne che non si sono unite con un uomo le preservate per voi”.
Ma solo per loro? Lui non vuole nulla? Così vorrebbe la normalità,
trattandosi di Dio e invece…
La vittoria sui Madianiti ha consentito di riportare un ingente bottino
di guerra che viene ripartito fra tutti gli Israeliti secondo le
indicazioni di Dio che però fa trattenere per sé, come offerta da
presentare quale contributo in suo onore, un millesimo di ogni
tipo di preda. Quello che gli viene assegnato dalla ripartizione sono:
675 ovini, 72 bovini, 61 asini, 32 persone. Insieme alle prede
viventi, c’è anche una robusta offerta in oro, 200 Kg circa, dono
dei soli comandanti dell’esercito, mentre i soldati semplici hanno
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 21
il permesso di trattenere per sé ogni altro oggetto di valore da loro
rinvenuto durante il saccheggio.
Facciamo alcune considerazioni su queste vicende narrate con
compiacimento nel libro ‘sacro’ per eccellenza.
Tralasciamo da parte il sempre discutibile ed esecrabile comportamento
di un dio con la d minuscola, che non conosce altri metodi
che uccidere, massacrare senza distinzione, rubare senza alcun
rispetto delle leggi da lui stesso emanate; è evidente che quelle
leggi valevano soltanto all’interno del suo popolo. Come si spiega
il fatto che per lo sgarro commesso dalle donne Moabite, hanno
pagato i Madianiti? Yahweh afferma (versetto 17) che la vendetta
contro i madianiti va praticata perché “sono stati loro ad assalire
con i loro artifici, orditi contro di voi (Israele) per l’affare di Peor e
per l’affare di Cozbi…“.
L’affare di Peor concerne la tresca tra i maschi di Israele e le femmine
moabite; Cozbi è la femmina madianita trafitta al basso ventre
di cui si è detto sopra.
Le spiegazioni teologiche non riescono a giustificare questa vendetta
perpetrata ai danni dei Madianiti e si limitano a definirla
strana (in effetti la situazione non è chiarissima) ma talvolta o - come
riportato in alcune Bibbia molto diffuse nelle famiglie - viene
addirittura definita ‘guerra santa’ (La Bibbia, Nuovissima versione
dai testi originali, Ed San Paolo, Supplemento a Famiglia Cristiana,
Cinisello Balsamo (MI), 2010).
Questa definizione non ci ricorda eventi di tristissima attualità?
Quale teologia spiega o giustifica in modo coerente la eventuale
differenza?
La teologia dovrebbe fornire una esauriente spiegazione per le offerte
fatte a Yahweh: già sono difficili da comprendere quelle ani22

ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
mali che possono almeno trovare giustificazione in sacrifici futuri,
anche se di asini sacrificati in olocausto non si legge nulla nella
Bibbia: forse li ha impiegati/sacrificati sul lavoro.
E’ comunque indubbiamente strano che ‘dio’ avesse bisogno di
forza o nutrimento animale, ma le 32 persone spettanti a Yahweh,
erano vergini madianite, su questo non ci sono dubbi: i maschi,
dai bambini agli anziani, erano stati tutti massacrati, unitamente
alle donne che avevano avuto figli.
Cosa può aver fatto ‘Dio’ di 32 giovani donne?
A cosa gli servivano le vergini?
Le teneva nella sua dimora?
Le manteneva nel corso della loro vita fino alla morte?
Quante centinaia, anzi migliaia, di prede di guerra ha accumulato
Yahweh in tanti decenni di battaglie?
Come già per i cuccioli di uomo di otto giorni, anche qui mi pongo
la domanda: si tratta di allegoria o metafora? Di cosa?
La fantasia teologica ha di che lavorare duramente per tentare di
elaborare interpretazioni convincenti: a quale antico autore biblico
poteva venire in mente di inventare e utilizzare esempi simili per
rappresentare allegoricamente un presunto Dio spirituale e trascendente?
La Bibbia non dice nulla, non consente elaborazioni di questo genere,
e allora il pensiero inevitabilmente corre veloce, anche perché
viene il dubbio che in tutte le ripartizioni di bottino il metodo
usato sia stato sempre lo stesso e Yahweh abbia sempre avuto la sua
percentuale di donne a disposizione.
Dobbiamo pensare che oltre al ‘barbecue’ col fumo del grasso bruciato
e alle ubriacature ricorrenti (“La Bibbia non parla di Dio”
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 23
Mondadori, 2015) Yahweh non disdegnasse la compagnia e qualcos’altro
di giovani vergini? Aveva un harem?
Questa tendenza riecheggia due situazioni analoghe: il capitolo 6
del libro della Genesi là dove (versetti 1 e 2) viene detto che i figli
degli Elohim videro che le figlie degli adam erano appetibili e se
ne presero come compagne quante ne vollero; l’eccitabilità sessuale
dei malachim (i cosiddetti angeli) fortemente stimolati dai capelli
lunghi delle giovani ragazze (un atteggiamento la cui pericolosità
ho già ampiamente descritto).
Stanti questi fatti, le donne in primis – ma non solo loro – hanno
di che riflettere seriamente sulla proclamata sacralità di quel libro.
E’ evidente – direi soprattutto auspicabile – che un individuo così
non possa essere Dio: infatti per fortuna non lo è e quell’insieme
di libri che chiamiamo Bibbia non lo afferma mai.
Nel testo appena citato ho tentato di documentare – nel pieno
rispetto del testo biblico – come il libro ‘sacro’ per eccellenza non
si occupi appunto di Dio.
Come potrebbe occuparsene visto che è stato scritto in una lingua
(l’ebraico) che non contiene neppure i termini che costituiscono il
fondamento di ogni discorso teologico?
Torno a sottolineare qui una evidenza che non è mai sufficientemente
ripetuta: nell’ebraico biblico non esiste il termiche che
significa ‘Dio’ nel senso comunemente inteso di entità spirituale
trascendente, onnipresente, onnisciente, onnipotente…
Lo afferma parte della stessa esegesi ebraica, lo riconoscono di
fatto tutti gli esegeti filologi traduttori, sia pure monoteisti, che,
nell’impossibilità di sapere cosa significhi non certezza, traducono
il termine Elohim utilizzando terminologie varie ma mai impiegano
il vocabolo ‘Dio’: sanno bene di non poterlo fare.

4 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
Solo la teologia si prende questa libertà che è però priva di ogni
giustificazione testuale.
Questo concetto è infatti il tipico prodotto del pensiero grecoellenistico,
non appartiene alla concretezza del pensiero originario
di quel popolo che ha avuto rapporto con l’individuo di nome
Yahweh.
Nell’ebraico biblico non esiste inoltre il verbo che significa ‘creare’,
meno che mai creare dal nulla. Lo affermano teologi come
Ellen Van Wolde (“God is not the Creator, claims academic”, The
Telegraph, Retrieved 25 July 2013); lo affermano rabbini che evidenziano
come il racconto della Genesi sia in realtà la narrazione
di una successione di ‘divisioni’ e non una creazione dal nulla
(E.L. Greenstein, Docente di studi biblici presso il Jewish Theological
Seminary di New York; in Blumental J., Etz Hayim, op. cit.
in bibliografia).
L’assenza del termine che significa Dio e del verbo che indica l’atto
della creazione (che di Dio sarebbe l’azione principale) si accompagna
all’assenza di un altro dei concetti fondamentali e irrinunciabili
per ogni elaborazione di ordine teologico, quello di eternità.
Ma se la lingua in cui è scritto il testo biblico non possiede i termini
fondamentali su cui si fonda necessariamente ogni struttura
religiosa, da dove proviene quell’idea del Dio biblico che ha pervaso
l’intero pianeta e che alberga nelle menti di più di due miliardi
di persone che si dicono certe della sua esistenza?
Dalla invenzione appunto, da una delle più articolate, ricche, ben
orchestrate, intelligenti invenzioni che l’umanità abbia mai conosciuto.
Una invenzione i cui contenuti sono veicolati in modo ossessivo,
pervasivo, coinvolgente, diretto e indiretto, a livello conscio
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 25
e inconscio; sono inculcati sin dai primi anni di vita di ogni essere
umano che nasce all’interno del corpus sociale che ha accettato
l’invenzione di Dio come elemento strutturale e portante della sua
stessa esistenza, codificandola nel sistema di pensiero - e di azione
a questo conseguente - che chiamiamo religione.
Rimanendo all’interno della storia a noi più vicina è interessante
e significativo rilevare la definizione del termine religione presente
nella cultura romana dalla cui evoluzione storica deriva la base
stessa delle nostra civiltà: Cicerone fa derivare il termine ‘religio’
da ‘re-legere’ nel senso di ‘scegliere di nuovo, considerare di nuovo’
(“Dèi e religione dell’antica Roma”, G.M. Corrias, ARKADIA
EDITORE, Cagliari 2015).
Un concetto che rimanda a una idea di culto molto precisa, scrupolosa
e attenta alla correttezza della forma, rispettosa delle esigenze
degli individui cui era diretta, i cosiddetti dèi che nulla avevano
a che vedere con quel concetto di spiritualità che poi la ‘invenzione’
successiva ha invece loro artificiosamente attribuito.
Si trattava di un rapporto che considerava gli dèi come individui
concreti, strutturalmente inseriti nel consesso sociale di cui ovviamente
occupavano i vertici.
Ricorda il Dr. Corrias come questi individui venissero riconosciuti
e considerati come parte dell’ordine politico e sociale della civitas.
A essi veniva tributato un culto che si concretizzava nel rispetto
di formule e atti finalizzati a compiacerli e soddisfarne le esigenze,
con la convinzione che, la risposta, altrettanto materiale, sarebbe
stata favorevole e positiva.
I racconti biblici del rapporto tra gli Elohim - termine che la teologia
si ostina a tradurre con ‘Dio’, ben sapendo che non ha questo
significato (vedere “La Bibbia non parla di Dio”, Mondadori,

26 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
2015) - e gli uomini loro sudditi trovano una straordinaria corrispondenza
con lo specifico aspetto strutturale della prima e più
antica forma della religiosità romana.
Del rapporto con i theoi greci ho ampiamente trattato nel testo
appena citato e non mi dilungo qui.
In entrambi i casi si tratta di una relazione che possiamo definire
giuridica, legalistica, con tutto ciò che ne consegue anche in termini
di pratica convivenza, ivi compresa la possibilità di sfruttare
a proprio vantaggio singoli aspetti di quello che si pone come un
vero e proprio contratto.
Va detto per precisione che nell’antico testamento Yahweh non ha
stipulato un rapporto paritario con le famiglie che gli sono state
assegnate (Giacobbe e i suoi discendenti, Deuteronomio 32,8 e
segg). Ciò che lui - contraente forte - ha di fatto imposto, presenta
le caratteristiche di uno scambio assolutamente non equilibrato e
talvolta assume addirittura gli aspetti propri di un ricatto basato
sulla violenza e sul terrore.
Un contratto speciale, insomma, che però la Bibbia conosce come
‘alleanza’: un insieme di norme il cui rispetto preciso, garantisce il
ben volere dei potenti (Elohim biblici, dèi romani, theoi greci), la
loro buona disposizione nei confronti del loro sudditi.
A partire da questa base è stata intelligentemente e artificiosamente
elaborata l’invenzione di ‘Dio’.
Tutto l’occidente e gran parte del resto del pianeta è di fatto condizionato
da questa operazione che nei secoli ha portato alla formazione
di quelle sovrastrutture di pensiero e di potere che ben
conosciamo.
Ma come si è riusciti a far nascere una religione partendo da simili
presupposti?
I presupposti e le modalita ’ di una invenzione 27
Voglio provare a esemplificare gli sviluppi che possono essere stati
oggetto di una programmazione intelligente che pensa di sfruttare
la situazione a proprio vantaggio e riesce a raggiungere l’obiettivo:
come in effetti è avvenuto con le vicende bibliche.
Nei miei lavori precedenti ho illustrato il fenomeno conosciuto come
il Culto dei Cargo, mostrando come, dopo la Seconda Guerra
Mondiale e sotto gli occhi degli antropologi, sia nato un sistema
cultuale e rituale originato dall’incontro di popolazioni primitive
delle isole del Pacifico con gli aerei militari USA.
Anche il quel caso, i presunti dèi (cioè i piloti degli aerei cargo
statunitensi) erano venerati in quanto portatori di benefici prettamente
materiali e il loro ritorno è atteso proprio perché in vista di
nuovi e ripetuti apporti di doni concreti molto graditi.
Voglio però ora esemplificare gli sviluppi che possono essere oggetto
di una programmazione intelligente che pensa di sfruttare
la situazione a proprio vantaggio e riesce a raggiungere l’obiettivo:
come in effetti è avvenuto con le vicende bibliche.
Come al solito facciamo finta che io giunga – volontariamente o
forzatamente – su di un pianeta o in un territorio sconosciuto e
selvaggio del mio stesso pianeta.
So che probabilmente ci dovrò rimanere per tutto il resto della mia
vita.
Vi arrivo dotato di una parte, sia pure ridotta, delle tecnologie
di cui dispone la civiltà da cui provengo e, con queste dotazioni
limitate, devo risolvere i problemi materiali posti dalla necessità
primaria della sopravvivenza.
Il pianeta/territorio in cui arrivo è abitato da culture e civiltà decisamente
meno evolute, pertanto io risulterò essere un’entità di
gran lunga superiore sia per mezzi che per conoscenza: apparirò al

8 ANTICO E NUOVO TESTAMENTO LIBRI SENZA DIO
contempo saggio, potente, terrificante, dotato di un sapere capace
talvolta di agire quasi magicamente sugli individui e sull’ambiente.
In alcune circostanze dimostrerò addirittura di essere in grado di
predire eventi come le eclissi e, magari, farò pure credere di essere
stato io a provocarle e a bloccarne poi le nefaste conseguenze ripristinando
la situazione ritenuta normale.
Tutto questo mi porrà in una posizione di indubbia e inarrivabile
superiorità: quella tipica superiorità che la conoscenza garantisce
sull’ignoranza.
Giacché su questo si basano le religioni: un’ignoranza che coinvolge
gli stessi testi su cui si basano.
Ricordo per inciso che dal 1200 al 1800 le proibizioni di leggere e
possedere i testi cosiddetti sacri sono state costanti e ripetute.
Nel 1229 il concilio di Tolosa proibisce ai laici il possesso della
Bibbia: i fedeli non devono avere accesso diretto a quel libro che,
secondo la stessa chiesa romana, contiene la rivelazione personale
di Dio all’umanità.
Dio ha parlato ma i fedeli devono udire esclusivamente le parole
dei suoi autoproclamati interpreti: secondi questi ultimi Dio ha
parlato ma in modo non comprensibile e di qui nasce la necessità
di ascoltare la sua parola mediata dai ‘sapienti’, gli unici in grado
di comprenderla e, bontà loro, spiegarla agli ignoranti.