lunedì 29 giugno 2015

COME FUNZIONA L'EURO E PERCHE' CI INDEBITA

COME FUNZIONA L'EURO E PERCHE' CI INDEBITA
La piramide dell'emissione monetaria
 in uno Stato sovrano...
 e nell'euro
LA SOVRANITA' MONETARIA E LE SUE CONSEGUENZE
Semplificando un po' per esigenze di sintesi, possiamo affermare che in tutti i Paesi del mondo a moneta sovrana (come ad esempio il Giappone) la piramide dell'emissione monetaria è questa:
1) Lo Stato, al vertice della piramide, che ordina l'emissione monetaria;
2) La Banca Centrale, che esegue gli ordini dello Stato ed è perciò parte di esso;
3) Le banche, che alimentano il circuito monetario con la moneta-credito, ossia emettendo moneta sotto forma di credito;
4) Le imprese, datrici di beni e servizi;
5) I cittadini, alla base della piramide, composti in massima parte da lavoratori salariati e dalle loro famiglie, che spendono il denaro guadagnato.
La cosa interessante da notare è che questo schema è sì piramidale, ma è anche un circuito, nella misura in cui il sistema democratico permette al cittadino il controllo sul vertice, ossia sullo Stato.
Inoltre in uno Stato sovrano il debito pubblico non è un problema, anzi: cerchiamo di capire perché in due parole.
 
UNO STATO SOVRANO NON S'INDEBITA MAI
E' importante sapere che il debito dello Stato a moneta sovrana non è mai il debito dei cittadini: questa è una menzogna tipica dei disinformatori.
La cosa migliore che uno Stato a moneta sovrana può fare per i propri cittadini è di spendere in deficit, perché, come abbiamo chiarito in questa "pillola", la spesa in deficit produce ricchezza fra i privati. Lo Stato sovrano è il monopolista della moneta che emette e non "deve" niente a nessuno. Lo strumento attraverso il quale esso impone il suo monopolio sono le tasse: costringendo la gente a pagare le tasse in quell'unica valuta, lo Stato obbliga i cittadini a lavorare per quella valuta.
Se esso emette titoli di Stato, la gente glieli compra e i suoi soldi gli rientrano nelle casse; se, alla scadenza, li onora, gli stessi soldi rientrano nelle banche (rimangono fuori solo gli interessi) e il gioco ricomincia: per pagare i titoli in scadenza lo Stato ne venderà altri ai risparmiatori e con il ricavato salderà i primi, e così via.
E gli interessi non pesano alle casse dello Stato? No, neppure quelli: lo Stato a moneta sovrana li onora inventando denaro dal nulla. Quando poi i titoli di Stato finiscono alle Banche Centrali, esse sono tenute per legge a restituire un'alta percentuale dei profitti al Tesoro.
In uno Stato sovrano i titoli di Stato (come pure le tasse) non servono certo a finanziare la spesa pubblica: uno Stato con sovranità monetaria si autofinanzia emettendo moneta. Essi costituiscono una sorta di "libretto di risparmio" per coloro che li acquistano, garantendo una rendita assai più alta di un normale conto corrente bancario. Esiste poi un altro scopo più tecnico per l'emissione dei titoli di Stato, ed è quello di sostenere i tassi d'interesse bancari (come ben chiarito da Warren Mosler in diverse occasioni).
Comunque, a tutti gli effetti, i titoli di Stato non sono necessari e possono essere aboliti.
 
LA MANCANZA DI SOVRANITA' MONETARIA (EURO) E LE SUE CONSEGUENZE
Tra tutti gli effetti antidemocratici ed economicamente deleteri dell'euro, spicca in particolar modo lo stravolgimento della normale piramide monetaria. Infatti nell'Eurozona, e solo nell'Eurozona, vige invece una piramide di emissione monetaria ben diversa da quella vigente negli altri paesi del mondo, schematizzabile così:
1) La Banca Centrale Europea (BCE), al vertice della piramide, che emette moneta;
2) Le banche, che sono i percettori della moneta emessa dalla BCE; cioè (attenzione, perché questo è un punto cruciale) l'emissione di moneta da parte della banca centrale non va agli Stati, come avviene nel resto del mondo, bensì viene iniettata direttamente nel sistema bancario commerciale;
3) Gli Stati, che quindi devono prendere a prestito la moneta, ossia l'euro, dalle banche;
4) Le imprese, datrici di beni e servizi;
5) I cittadini, alla base della piramide, composti in massima parte da lavoratori salariati e dalle loro famiglie, che spendono il denaro guadagnato.
 
UNO STATO NON SOVRANO S'INDEBITA SEMPRE
In questo singolare schema si nota anzitutto una cosa: è nei fatti impossibile il controllo democratico.
Mentre cioè nell'usuale schema di emissione monetaria il sistema democratico permette un controllo da parte dei cittadini sullo Stato, ossia da parte della base sul vertice, nell'eurozona i cittadini, ossia la base, non hanno alcuna facoltà di controllo sul vertice della piramide.
In pratica, con l'euro, lo Stato viene sostituito dalle banche, che divengono esse stesse Stato; in altre parole nell'Eurozona lo Stato è, per trattato, controllato dalle banche e non dai cittadini.
Quali sono gli effetti di tutto ciò?
Anche senza tener conto del fenomeno detto "output gap" (1), che comporta una continua fuoriuscita di moneta dal circuito della produzione composto dalle imprese, dai lavoratori salariati e dalle loro famiglie, la conseguenza più devastante per l'economia è il fatto che uno Stato non sovrano si indebita sempre, e questo prepara il terreno per le cosiddette "privatizzazioni" (leggi: svendita del patrimonio nazionale a prezzi di saldo).
Riepiloghiamo i punti essenziali della situazione:
I - All'interno dell'eurosistema uno Stato, per avere denaro, non crea direttamente la propria moneta (e questo a dire il vero avveniva già da prima del sorgere della B.C.E. e dell'avvento dell’euro);
II - Lo Stato allora stipula una sorta di cambiali, i cosiddetti "Titoli di stato", che vengono vendute in determinate date, e in determinati contesti e luoghi, in quelle che vengono definite "Aste dei titoli di Stato".  Chi acquista i titoli di stato trasmetterà allo Stato il denaro corrispondente ai titoli di stato acquistati. 
Lo Stato si indebita per la somma corrispondente ad essi (ad esempio se sono stati venduti titoli di stato per un ammontare di 50 miliardi di euro, quello Stato si è indebitato di 50 miliardi di euro con chi li ha acquistati). Questo debito è gravato da un interesse, che dipende dal modo in cui l’asta è andata. Più un Paese è in difficoltà finanziarie o è considerato a rischio (magari per via delle valutazioni-truffa delle c.d. agenzie di rating), più è alto l’interesse sui “prestiti” che i Paesi devono promettere se vogliono che i loro titoli di stato siano acquistati. Esempio: se sono un Paese solido potrò vendere titoli di stato per un ammontare di 50 miliardi di euro con un interesse del 2%. Ma se sono un Paese scombussolato da guai economici o speculazioni finanziarie, "i fornitori del denaro" vorranno un interesse maggiorato per il "rischio" che corrono, e quindi quel "prestito" potrà avere un interesse più alto, ad esempio del 7%: di qui il famigerato "spread" con cui i mercati hanno messo sotto scacco la nostra democrazia.
Una volta gli Stati potevano prevedere entro una certa misura che i propri titoli di stato fossero acquistati dalle loro Banche Centrali. Adesso non è più così. Tranne casi peculiari e cosiddette procedure d’urgenza, la prassi è che tutto il denaro possa essere acquistato dai mercati di capitali, da soggetti privati, e che operano in base a esclusive ragioni di profitto.
E’ chiaro il quadro dell’orrore che emerge?
  • Tutti i Paesi dell’Eurozona non hanno più neanche il barlume della sovranità monetaria.
  • Tutti i Paesi dell’Eurozona, per avere soldi per finanziare pensioni, istruzione, trasporti, ecc., devono andare col cappello in mano presso banche, fondi pensioni, gruppi di affari privati e chiedere in prestito il denaro. Denaro che verrà dato in prestito in cambio di interessi crescenti in proporzione alla tua difficoltà economica come Paese.
La piramide dell'euro produce quindi questi tre effetti:
1) distrugge l'economia reale;
2) elimina il controllo democratico;
3) trasforma i cittadini in sudditi, schiavi dei "mercati".
Difficile credere che tutto questo sia stato realizzato in buona fede o sia frutto di un madornale "errore".
 
(Fonti:
http://arjelle.altervista.org/Economiaascuola/piramidemoneta.htm
Alfredo Cosco, Anatomia di un massacro
 

 
1) In una società "capitalista", se si produce 100 di reddito, una frazione rilevante, diciamo 10, non viene spesa e rimessa in circolo, ma viene risparmiata tramite investimenti finanziari o acquisto di immobili, per fini di accumulazione di ricchezza fine a se stessa. In teoria il risparmio è una bella cosa, ma solo se viene poi riciclato in qualche modo nell'economia. Di conseguenza, se nessuno facesse niente, l'anno dopo verrebbero a mancare 10 di domanda e la produzione crollerebbe a 90. Questo perché una frazione della popolazione, prevalentemente quella abbiente, avendo molti più soldi di quelli che le occorrono, accumula ricchezza e non la reinveste.
Di solito questo " buco", detto "output gap" o "demand leakage" (perdita di domanda), viene riempito:
a. dalle banche, che prestano soldi a imprese e anche a famiglie le quali poi spendono o investono in modo produttivo e riportano a 100 (o anche a 105) la domanda;
b. dallo Stato, che ha un deficit, di solito del 3 o 4% del PIL, che di fatto significa immettere moneta nel settore privato.
Quindi il "buco" di domanda creato da quelli che mettono via ricchezza viene riempito.
Questo con l'euro non è più possibile:  di colpo il credito delle banche non solo non cresce, ma si contrae, e il deficit dello Stato è reso impossibile con manovre come il pareggio di bilancio. Di conseguenza il "buco di domanda" fisiologico di un sistema capitalistico non lo riempie nessuno, e l'economia va in crisi.

domenica 28 giugno 2015

L'Ipertrofia prostatica

Questa patologia maschile così frequente col progredire dell’età sembra rappresentare una inevitabile complicazione della salute fisica, compagna del suo declino. Non è vero.
Voglio affermare che, comprendendo il sistema biologico alla base dell’ipertrofia prostatica, ne possiamo bloccare lo sviluppo e trasformarla in occasione  di comprensione del funzionamento dei meccanismi della vita. Tutto ha un significato, anche quello che a una prima considerazione potrebbe sembrare privo di senso, in realtà obbedisce ad una legge della Natura che solo per ignoranza consideriamo sia da correggere o peggio combattere.
Arrivando alla conoscenza del perché insorge l’ipertrofia, cioè alla diagnosi dell’essenza del problema, comprenderemo la terapia che ne consegue.
La prostata, macroscopicamente a forma di una castagna,  è la ghiandola maschile posta alla base della vescica. E’ attraversata dal dotto dell’uretra nel cui lume immette il suo secreto, che completa il liquido seminale prodotto dai testicoli, all’atto dell’eiaculazione.
La prostata secerne una sostanza fluida alcalina che protegge e nutre gli spermatozoi cosi da aumentarne la mobilità, e potenziarne la capacità  fecondativa dell’ovulo femminile.
Nell’ipertrofia la prostata si ingrossa e comprime l’uretra che la attraversa, rendendo difficile il passaggio delle urine e  causando ritenzione vescicale e cistite con tutta la sintomatologia collegata (dolori, bruciori, minzioni frequenti e urgenti per la difficoltà di iniziare lo svuotamento e di completarlo fino in fondo).
Il paziente si rivolge allo specialista che prescrive gli esami di laboratorio, esegue la visita urologica, fa diagnosi  e propone una terapia convenzionale medica o chirurgica solo sintomatica e non causale: sopprimiamone la funzione e, se non si blocca la crescita, togliamola.
Poiché esiste una terapia causale, e di questa che voglio scrivere seguendo e applicando a questa patologia le 5 leggi biologiche scoperte dal Dott. Hamer.
La prostata si ingrossa perché essendo di derivazione endodermica, cioè del foglietto embrionale primitivo da cui sviluppano tutti gli organi essenziali alla vita dell’organismo, tra cui appunto l’apparato riproduttivo,  risponde ad ogni stimolo funzionale con un graduale aumento del volume e della quantità delle sue cellule.
L’aumento cellulare e funzionale della ghiandola si attiva  come tentativo inconscio di compenso in tutte le situazioni in cui l’attività riproduttiva fallisce, cioè viene meno la capacità di fecondazione.
Proviamo a raccontare quelle situazioni in cui il fallimento sessuale diventa traumatico perché inatteso, improvviso e per il quale non viene trovata una soluzione soddisfacente.
a) Quando succede,  per ragioni organiche  circolatorie od ormonali, di aver perso la  capacità erettile del pene, e di non riuscire più ad avere rapporti sessuali e soddisfare il partner. Questo viene avvertito come la perdita dell’identità di maschio capace di fecondare e procreare.
b) Diversamente, per ragioni psichiche, quando un evento fa avvertire la debolezza e  la vulnerabilità fisica ed economica  che  spesso accompagna l’età avanzata, creando ansia  e preoccupazione per il proprio futuro. La perdita dell’autorevolezza che il proprio ruolo  comporta, la paura del fallimento, passa dall’ambito sociale a quello familiare e sessuale e viceversa, rafforzandosi in un circolo vizioso depressivo.
c) Quando il genitore vive come perdita della capacità fecondativa, per il  blocco della propria discendenza, l’impotenza sessuale, la castità, o la non volontà procreativa dei figli ad averne dei propri.
Il problema non  è la situazione in sé, ma come viene avvertita.
Poiché è facile che il conflitto proceda per ripetute soluzioni e recidive, la prostata  cresce, molto lentamente, ma cresce e, come in altre occasioni, le terapie (chirurgia, radioterapia, chemioterapia e ormoni)  aggravano il problema psichico originario.
Ne consegue  frequente un’impotenza definitiva, spesso associata ad una avvilente incontinenza urinaria che si complica e si riflette su altri organi.
Crolla nell’uomo l’identità di maschio capo famiglia e la fiducia in sé stesso vacilla, si può facilmente sentire bastonato a livello sessuale, sull’organo e sulla struttura scheletrica che lo contiene. Questo sentirsi colpito produce materialmente un riassorbimento delle ossa del bacino che porterà alla diagnosi  radiologica di  metastasi ossea del primitivo tumore prostatico.
La paura farà il resto e vivrà male la sua esistenza condizionata dall’ignoranza.
Potrà sentire che per lui non c’è più scampo e gli mancherà l’aria per sopravvivere, e così pensando attiverà la crescita del tessuto polmonare (tumore polmonare). Penserà che il tumore alla prostata ne fermerà l’attività lavorativa e produttiva, e mancherà dell’essenziale per nutrire sé e la sua famiglia (tumore al fegato).
La terapia è nella comprensione dei meccanismi e nel rispetto delle leggi della Natura. L’evoluzione dell’uomo è frutto di una selezione spietata, e per questo efficace, che può essere messa in difficoltà solo dalle nostre resistenze ad accoglierla pienamente con la fiducia che merita.
In quel momento della vita si sta cedendo il ruolo di “capo branco” per fisiologiche ragioni, passando il testimone a chi è più giovane e capace di mantenere la vitalità della specie.
Daremo una risposta psico fisica consapevole per quanto accade se andremo oltre quegli istinti animali che pur appartengono all’uomo  e fanno parte della sua storia, ma diventano  insufficienti nel  progredire della vita di uomini liberi.
Rispettando questo procedere della vita  si potrà godere pienamente e  soddisfare serenamente quel che resta della mascolinità fino a quando è avvertito il desiderio sessuale.
Può essere certamente d’aiuto coltivare il proprio aspetto seduttivo e prendersi cura di sé, ad ogni età pronti a non ripetere e imitare il passato, ma a creare e realizzare il futuro con prospettive diverse, adeguate alle diverse età della vita.
La conoscenza e la flessibilità, sapere ed essere pronti a cambiare, accogliendo la novità e i frutti inediti che la vita riserva ad ogni cercatore, che sia in pace con sé stesso, ci manterranno liberi dalla paura di perdere il nostro benessere, e la felicità che cerchiamo.
Nota:
1. Il Dott. Richard Ablin, proprio colui che quaranta anni fa scoprì il test del PSA (antigene prostatico specifico presente nel sangue) utilizzato come marcatore per eccellenza del tumore della prostata, afferma che l’affidabilità del test è poco più che tirare una monetina in aria. L’esame non misura la gravità della malattia, produce molti falsi positivi e troppo allarmismo.
2. Il migliore aiuto biologico per risolvere i problemi della prostata, internazionalmente riconosciuto, è il polline raccolto dalle api! Il polline è l’elemento fecondatore, germinativo maschile, dei fiori che aiuta e sostiene la capacità germinativa dell’uomo! Meraviglia e stupore della Natura!  Al riguardo potete consultare internet: prostata polline.

venerdì 26 giugno 2015

«Virus letali e terrorismo mediatico»

«Virus letali e terrorismo mediatico»Claudia Benatti, giornalista autrice del libro
Un momento storico di grandi paure e cupe profezie; un momento dove guerra, democrazia e terrorismo hanno assunto connotati del tutto diversi rispetto ai decenni precedenti; un momento in cui "buoni" e "cattivi" faticano a distinguersi perché giocano alle stesse regole e si prefiggono obiettivi non poi tanto diversi. E', questo, anche un momento (e speriamo si possa parlare soltanto di momento) in cui si assiste al diffondersi di paure più o meno irrazionali, di allarmi sempre meno sostenuti da dati concreti e attendibili, alla sistematica emarginazione ( e a volte soppressione) del 'diverso' e del dissenso: nemmeno il pensiero 'diverso', o critico, è più tollerato. Vengono minimizzate o ignorate prospettive nuove, scomode; vengono criminalizzati scoperte, scienziati e pensieri che osino dirigersi verso lidi diversi da quelli convenzionali. E negli ultimi tempi si sono intensificati gli annunci di possibili 'nemici' che attendono, nell'ombra, di sbucare fuori e agguantare l'umanità per il collo: virus di cui si ipotizza la comparsa e fanatici pronti ad usarli senza pietà.
Contemporaneamente classe medica e autorità sanitarie hanno cominciato a premere sempre più affinché possano venire imposti ai singoli cittadini condizionamenti, compressioni della libertà di scelta, trattamenti anche in aperto contrasto con le volontà dell'individuo. Si consideri ad esempio un fatto di cronaca recente. Una donna milanese ha rifiutato l'amputazione di
un piede con cancrena accettando di andare incontro alla morte. Questo ha sollevato fortissime critiche e in molti hanno sostenuto che bisognerebbe poter dare al medico il potere di intervenire coattivamente anche senza il consenso dell'interessato quando la situazione, a sua discrezione, lo richieda. Ma questo, secondo la normativa vigente, non è possibile a meno
che il paziente non venga dichiarato incapace di intendere e volere. E allora alcuni hanno sostenuto che chiunque rifiuti cure che lo mantengano in vita dovrebbe essere dichiarato incapace. C'è forse il sentore di qualche modifica legislativa in questo senso? Nella società attuale accettare e non tentare di posticipare la morte è condotta che ha assunto connotati negativi e appare un gesto da criminalizzare. La legge arriverà, come sta forse facendo la medicina convenzionale, a giudicare la vita un dovere, da imporre se necessario, e non più solo un diritto? Si sta oggi procedendo verso un irrigidimento dogmatico eccessivo della medicina convenzionale, favorendo così la nascita di un potere decisionale e discrezionale del medico tale da defraudare il paziente della potestà e autodeterminazione sul proprio corpo.
Ma fino a dove può spingersi la compressione della libertà di scelta terapeutica del singolo quando non ci sono in gioco realistici e contingenti interessi collettivi?
Nel recente documento della commissione nazionale di bioetica sulla dichiarazione anticipata di trattamento (il cosiddetto testamento biologico) si afferma che rendere vincolanti per il medico le volontà del paziente significherebbe violare l'autonomia professionale del medico; e rendere
vincolanti le volontà del medico non verrebbe irrimediabilmente a ledere l'autodeterminazione e l'autonomia del paziente? Il quel documento, che il legislatore viene invitato ad adottare, viene data la possibilità al medico di agire in contrasto con le volontà espresse per iscritto in precedenza da un paziente che arriva in condizioni estreme. E forse questa la tutela della dignità e integrità della persona di cui si parla sempre nelle convenzioni per i diritti umani?
E' in questo clima  che si è giunti, subito dopo l'11 settembre, all'allarme vaiolo in tutto il mondo, cavalcato in grande stile dai mass media: zero casi, malattia scomparsa da decenni, eppure migliaia di dosi vaccino acquistate e migliaia di persone già vaccinate negli Usa al solo scopo di scacciare un fantasma. Lo stesso dicasi per l'antrace: la polverina di carbonchio, risultata poi provenire dagli stessi laboratori americani, è stata inserita in una manciata di lettere provocando meno morti delle dita di una mano: decine di milioni di lettere sono state controllate, milioni di dosi di un vaccino sperimentale sono state somministrate, provocando la
durissima reazione di un numero di crescente di militari; soldati che hanno visto su loro stessi gli effetti dannosi dell'immunizzazione. Ma grazie all'allarme innescato, negli Usa è divenuto possibile autorizzare l'uso di qualsiasi vaccino in fase d'emergenza anche senza test sull'uomo, basandosi soltanto su quelli praticati sugli animali e rendendo assai più breve l'iter che un prodotto del genere fa per arrivare sul mercato. Più di recente abbiamo avuto a che fare con la Sars, una polmonite alla quale è stato dato un nome nuovo e in onore della quale è stato "scoperto" il coronavirus del secolo; salvo poi verificare che i casi pubblicizzati sono per la quasi totalità soltanto sospetti e che ancora non vi sono certezze assolute sulla reale causa, o sulle concause, della malattia. Si fa nel contempo sempre più intensa la pressione degli esperti, nazionali e internazionali, che annunciano quasi ogni settimana il pressoché certo arrivo di un nuovo virus mortale, il virus del millennio, al quale è già stato affibbiato l'inquietante nomignolo di "Big One": gli stessi medici e rappresentanti istituzionali ammettono che nessuno sa come e cosa sarà né quando di preciso arriverà, ma certamente arriverà.
Quindi, il messaggio è: rammentate che siete tutti in pericolo, nessuno è né sarà mai al sicuro.
E soprattutto: stiamo moltiplicando gli sforzi per darvi sempre nuove risposte e nuovi farmaci, che naturalmente, data la situazione contingente, non dovrete né potrete rifiutare.
Nessuno però parla dei settemila morti l'anno in Italia per infezioni ospedaliere. La denuncia è arrivata da un docente dell'Università la Sapienza, il professor Silvio Lavagna, ma non è stata diffusa dai mass media. Nessuno parla della denuncia fatta dalla rivista New Scientist
(www.newscientist.com), che ha spiegato come l'epidemia dell'influenza dei polli possa essere stata plausibilmente diffusa a causa dell'uso massiccio sui volatili del vaccino contenente il ceppo virale H5N1. Nessuno parla della disperazione e delle proteste degli allevatori italiani che hanno denunciato per mesi come le pecore muoiano o abortiscano dopo avere ricevuto il vaccino contro la malattia della 'lingua blu'; le istituzioni sanitarie hanno negato e hanno continuato ad imporre la vaccinazione.  Nessuno parla dei tantissimi soldati americani, canadesi, inglesi e australiani che rifiutano il vaccino antiantrace, temendo per la loro salute, e vengono degradati e condannati dalla corte marziale. Nessuno parla della battaglia portata avanti da Falco Accame, presidente dell'associazione che raggruppa i famigliari delle vittime arruolate nelle forze armate; da anni denuncia la necessità di fare luce sul legame che emerge tra uranio impoverito e leucemie e linfomi nei soldati. Ma le nostre coscienze si lavano alle
rassicurazioni fornite dalla commissione Mandelli: il legame non c'è, i morti non sono più di quelli attesi (?). Nessuno parla nemmeno dei dati sconcertanti raccolti dal Condav, il Coordinamento Nazionale Danneggiati da Vaccino (www.condav.it), che sta raggruppando chi, in un modo o in un altro, è rimasto vittima o ha un famigliare rimasto vittima delle vaccinazioni. Nel libro «Virus letali e terrorismo mediatico» (Macroedizioni) trovate raccontata, almeno in parte, questa situazione. Con l'auspicio che aprire la mente e gli occhi possa renderci liberi dalle paure fasulle.

Terrorismo, l'arma dei potenti

Terrorismo, l'arma dei potentidi Noam Chomsky* - da Il Manifesto
"Come mai - si chiede il presidente Bush - siamo così odiati», quando siamo «così buoni"? I leader statunitensi continuano a non curarsi degli effetti a lungo e medio termine della loro politica estera, che li spinge ad usare qualsiasi mezzo per imporre al mondo la propria supremazia. Il finanziamento da parte dell'amministrazione Reagan della contro-rivoluzione anti-sandinista in Nicaragua (57mila vittime), l'aiuto militare alla «lotta contro il terrorismo» condotta dal governo di Ankara contro i kurdi (due-tre milioni di rifugiati, decine di migliaia di vittime, 350 città e villaggi distrutti), il sostegno incondizionato all'occupazione israeliana dei territori palestinesi sono tutti episodi che mostrano come i dirigenti statunitensi non si facciano alcuno scrupolo ad appoggiare pratiche di violenza calcolata e «guerre di bassa intensità» che possono essere equiparate al terrorismo. Ma, come mostra efficacemente la parabola di Osama bin Laden, i loro successi di ieri possono essere scontati successivamente ad un prezzo altissimo. Bin Laden è il prodotto della vittoria statunitense contro i sovietici in Afghanistan: quale sarà il costo del loro nuovo trionfo in questo paese?

di Noam Chomsky*
Dobbiamo partire da due postulati. Primo, che gli avvenimenti dell'11 settembre costituiscono una atrocità spaventosa, probabilmente la maggiore perdita simultanea di vite umane della storia, guerre escluse.
Il secondo postulato è che dovremmo porci l'obiettivo di ridurre il rischio che possano ripetersi tali attentati, siano essi rivolti contro di noi o contro altri. Se non accettate questi due punti di partenza, tutto quello che segue non vi riguarda; se invece li accettate, si pongono molti altri problemi. Cominciamo dalla situazione in Afghanistan. In tale paese vi sarebbero milioni di persone minacciate dalla carestia. Questo era già vero prima degli attentati: sopravvivevano soprattutto grazie all'aiuto internazionale. Ma, il 16 settembre, gli Stati uniti hanno imposto al Pakistan di sospendere i convogli di automezzi che portavano cibo e altri generi di prima necessità alla popolazione afgana. Tale decisione non ha provocato alcuna reazione in Occidente e il ritiro di personale umanitario ha reso ancora più problematica l'assistenza della popolazione. Una settimana dopo l'inizio dei bombardamenti, le Nazioni unite ritenevano che l'avvicinarsi dell'inverno avrebbe reso impossibile l'invio di cibo, già ridotto al lumicino dai raid dell'aviazione americana.
Quando alcune organizzazioni umanitarie civili o religiose e lo stesso portavoce della Fao hanno chiesto una sospensione dei bombardamenti, tale notizia non è stata neppure riferita dal New York Times; il Boston Globe se l'è cavata con appena una riga, ma all'interno di un articolo dedicato a un altro argomento, cioè alla situazione nel Kashmir. Nell'ottobre scorso, la civiltà occidentale si era rassegnata al rischio di veder morire centinaia di migliaia di afgani. Nello stesso momento, il leader di tale civiltà faceva sapere che non si sarebbe degnato di rispondere alle proposte afgane di negoziare sulla questione della consegna di Osama bin Laden, né sulla richiesta di una prova su cui fondare una possibile decisione di estradizione.
Avrebbe accettato soltanto una capitolazione senza condizioni.
Ma torniamo all'11 settembre. Nessun crimine, nulla ha fatto più morti nella storia - o soltanto su tempi molto più lunghi. Peraltro, questa volta le armi hanno puntato su un bersaglio insolito: gli Stati uniti. L'analogia così spesso evocata con Pearl Harbor non è appropriata. Nel 1941 l'aviazione nipponica ha bombardato alcune basi militari in una colonia di cui gli Stati uniti si erano impadroniti in condizioni poco raccomandabili; i giapponesi non avevano attaccato direttamente il territorio americano.
In questi ultimi due secoli, noi americani abbiamo scacciato o sterminato popolazioni di indios - milioni di persone - conquistato la metà del Messico, saccheggiato le regioni dei Caraibi e dell'America centrale, invaso Haiti e le Filippine, uccidendo in quest'ultima occasione anche 100mila filippini. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo esteso il nostro dominio sul mondo nella maniera ben nota. Ma quasi sempre eravamo noi ad uccidere e il combattimento avveniva al di fuori del nostro territorio nazionale.
Ma, come si ha modo di constatare quando ci fanno domande, ad esempio, sull'Ira e sul terrorismo, le domande dei giornalisti sono molto diverse, a seconda che riguardino una sponda o l'altra del mare di Irlanda. In generale, il pianeta appare sotto tutt'altra luce a seconda che si impugni da molto tempo la frusta o che si sia abituati a subirne i colpi nel corso dei secoli. Forse è per questo, in fondo, che il resto del mondo, pur dimostrando un orrore senza eccezioni di fronte alla sorte delle vittime dell'11 settembre, non ha reagito come abbiamo reagito noi agli attentati di New York e di Washington.
Per comprendere gli avvenimenti dell'11 settembre, occorre operare una distinzione fra gli esecutori del crimine e l'area diffusa di comprensione di cui ha goduto tale crimine, anche fra i suoi oppositori.
Gli esecutori? Supponendo che si tratti della rete di bin Laden, nessuno conosce la genesi di questo gruppo fondamentalista meglio della Cia e dei suoi accoliti, che ne hanno tanto incoraggiato la nascita. Zbigniew Brzezinski, segretario alla sicurezza nazionale dell'amministrazione Carter, si è addirittura felicitato della «trappola» tesa ai sovietici nel 1978, manovrando gli attacchi dei mujaheddin (organizzati, armati e addestrati dalla Cia) contro il regime di Kabul: una manovra che ha spinto alla fine dell'anno successivo i sovietici ad invadere il territorio afgano. Solo dopo il 1990 e dopo l'installazione di basi americane permanenti in Arabia saudita, su una terra sacra all'Islam, questi combattenti sono diventati nemici degli Stati uniti.
Adesso, se si vuole spiegare l'area diffusa di simpatia di cui godono le reti di bin Laden, anche fra le classi dominanti dei paesi del Sud del mondo, occorre considerare innanzitutto la collera che suscita l'appoggio degli Stati uniti a regimi autoritari o dittatoriali di ogni sorta; occorre ricordarsi della politica americana che ha distrutto la società irachena consolidando nel contempo il regime di Saddam Hussein; occorre non dimenticare l'appoggio costante di Washington all'occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967 ad oggi. Nel momento in cui gli editoriali del New York Times lasciano intendere che «loro» ci detestano perché noi difendiamo il capitalismo, la democrazia, i diritti umani, la separazione fra stato e chiesa, il Wall Street Journal, meglio informato, dopo aver parlato con banchieri e alti dirigenti non occidentali ci spiega che «ci» detestano perché abbiamo ostacolato la democrazia e lo sviluppo economico - e appoggiato regimi brutali, o addirittura terroristici.
Fra le alte sfere dell'Occidente, la guerra contro il terrorismo è stata equiparata ad una «lotta contro un cancro diffuso dai barbari».
Ma queste parole e questa priorità sono tutt'altro che nuove; ne parlavano già venti anni fa il presidente Ronald Reagan e il suo segretario di stato Alexander Haig. E per combattere i nemici depravati della civiltà, all'epoca il governo americano organizzò una rete terroristica internazionale di dimensioni senza precedenti. E, se tale rete commise atrocità innumerevoli da un capo all'altro del pianeta, il massimo impegno venne dedicato all'America latina.
Il diritto internazionale è debole Un caso, quello del Nicaragua, è incontestabile: e infatti è stato risolto dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja e dalle Nazioni unite. Chiedetevi pure quante volte questo precedente indiscutibile di un'azione terroristica a cui uno stato di diritto ha voluto rispondere con i mezzi del diritto sia stato richiamato dai commentatori più in voga. Eppure, si trattava di un precedente ancora più estremo degli attentati dell'11 settembre: la guerra dell'amministrazione Reagan contro il Nicaragua ha provocato 57mila vittime, fra cui 29mila morti (gli altri sono feriti o mutilati), e la rovina di un intero paese, forse in maniera irreversibile (si legga alle pagine 16 e 17).
All'epoca, il Nicaragua aveva reagito. Non facendo esplodere bombe a Washington, bensì appellandosi alla Corte internazionale di giustizia.
E la Corte decise, il 27 giugno 1986, dando ragione alle autorità di Managua. Condannò «l'uso illegale della forza» da parte degli Stati uniti (che avevano minato i porti del Nicaragua) e ingiunse a Washington di porre fine al crimine, senza dimenticare di pagare danni e interessi rilevanti. Gli Stati uniti replicarono che non si sarebbero piegati a tale giudizio e che non avrebbero più riconosciuto la giurisdizione della Corte.
Allora il Nicaragua chiese al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'adozione di una risoluzione secondo cui tutti gli stati erano tenuti a rispettare il diritto internazionale. Non si citava nessuno stato in particolare, ma il messaggio era evidente. Gli Stati uniti esercitarono il loro diritto di veto contro questa risoluzione. A tutt'oggi sono quindi l'unico stato che sia stato condannato dalla Corte internazionale di giustizia e che nel contempo si sia opposto a una risoluzione che chiedeva il rispetto del diritto internazionale. Dopo di che, il Nicaragua si rivolse all'Assemblea generale dell'Onu. La risoluzione proposta ottenne soltanto tre voti negativi: quelli degli Stati uniti, di Israele e del Salvador. L'anno successivo il Nicaragua richiese di votare sulla stessa risoluzione. Stavolta, soltanto Israele appoggiò la causa dell'amministrazione Reagan. Arrivato a questo punto, il Nicaragua aveva esaurito tutti i mezzi giuridici a sua disposizione, e tutti erano falliti, in un mondo dominato dalla forza. Questo precedente non lascia adito a dubbi. Quante volte se ne è parlato, all'università, sui giornali?
Si tratta di una vicenda per molti aspetti rivelatrice. Innanzitutto rivela che il terrorismo funziona. E anche la violenza. In secondo luogo che ci si sbaglia a considerare il terrorismo uno strumento dei deboli. Come la maggior parte delle armi di morte, il terrorismo è soprattutto l'arma dei potenti; quando si sostiene il contrario, ciò avviene unicamente perché i potenti controllano anche gli apparati ideologici e culturali che consentono di far passare il terrore per qualcosa di diverso. Uno dei mezzi più correnti di cui dispongono per ottenere tale risultato consiste nel far scomparire la memoria degli avvenimenti di disturbo; in tal modo, nessuno se ne ricorda.
Del resto, la potenza della propaganda e delle dottrine americane è talmente grande da imporsi alle sue stesse vittime. Andate in Argentina, e vedrete che dovrete essere voi a rievocare certi fatti. Allora vi diranno: «Ah, sì, ma lo avevamo dimenticato!».
Nicaragua, Haiti e Guatemala sono i tre paesi più poveri dell'America latina. Figurano anche tra i paesi in cui gli Stati uniti sono intervenuti manu militari, il che non è necessariamente una coincidenza fortuita.
Tutto ciò avvenne in un clima ideologico contrassegnato dai proclami entusiasti degli intellettuali occidentali. Qualche anno fa, l'autocompiacimento faceva furore: fine della storia, nuovo ordine mondiale, stato di diritto, ingerenza umanitaria e via dicendo. Era moneta corrente, proprio mentre lasciavamo che si commettessero atrocità innumerevoli.
Anzi, peggio, davamo un nostro contributo attivo. Ma chi ne parlava?
Una delle più grandi conquiste della civiltà occidentale consiste forse nel rendere possibile questo tipo di incongruenza in una società libera. Uno stato totalitario è privo di questo dono.
Che cosa è il terrorismo? Nei manuali militari americani, si definisce terrore l'uso calcolato a fini politici o religiosi della violenza, della minaccia di violenza, dell'intimidazione, della coercizione o della paura. Il problema di una simile definizione è che essa coincide abbastanza precisamente con quello che gli Stati uniti hanno definito guerra di bassa intensità, rivendicando questo genere di attività.
D'altronde, nel dicembre 1987, allorché l'Assemblea generale dell'Onu ha adottato una risoluzione contro il terrorismo, c'è stata una sola astensione, quella dell'Honduras, e due voti contrari, quelli di Israele e degli Stati uniti. Perché lo hanno fatto? A causa di un paragrafo della risoluzione che precisava che non si intendeva rimettere in discussione il diritto dei popoli a lottare contro un regime colonialista o contro una occupazione militare.
Orbene, all'epoca il Sudafrica era alleato degli Stati uniti. Oltre agli attacchi contro i paesi limitrofi (Namibia, Angola, ecc.) che hanno provocato centinaia di migliaia di morti e causato danni nell'ordine di 60 miliardi di dollari, il regime dell'apartheid di Pretoria doveva affrontare all'interno del paese una forza definita «terrorista»: l'African National Congress (Anc). Quanto a Israele, occupava illegalmente alcuni territori palestinesi fin dal 1967, altri in Libano fin dal 1978, guerreggiando nel sud del Libano contro una forza che Israele stesso e gli Stati uniti tacciavano di «terrorismo»: gli Hezbollah.
Nelle analisi abituali del terrorismo, questo tipo di informazione o di richiamo non è frequente; affinché le analisi e gli articoli dei giornali siano ritenuti rispettabili, conviene in realtà schierarsi dalla parte giusta, ossia dalla parte di chi dispone delle armi più potenti.
Gli inglesi non distruggono Boston Negli anni '90 i peggiori attacchi contro i diritti umani sono stati riscontrati in Colombia. Tale paese è stato il principale destinatario dell'aiuto militare americano, ad eccezione di Israele e dell'Egitto, che costituiscono due casi a sé. Fino al 1999, il primo posto spettava alla Turchia, a cui gli Stati uniti hanno consegnato una quantità crescente di armi fin dal 1984. Perché proprio quell'anno? Non perché questo paese, membro della Nato, dovesse affrontare l'Unione sovietica, già allora in fase di disfacimento, ma affinché potesse portare avanti la guerra terroristica che aveva iniziato contro i kurdi. Nel 1997, l'aiuto militare americano alla Turchia ha superato quello che il paese aveva ottenuto in negli anni dal 1950 al 1983, cioè il periodo della guerra fredda. Risultato delle operazioni militari: da 2 a 3 milioni di rifugiati, decine di migliaia di vittime, 350 città e villaggi distrutti. Man mano che la repressione si intensificava, gli Stati uniti continuavano a fornire quasi l'80% delle armi utilizzate dai militari turchi, accelerando addirittura il ritmo delle consegne.
La tendenza si è ribaltata nel 1999, allorché il terrore militare - naturalmente denominato «controterrorismo» dalle autorità di Ankara - aveva conseguito i suoi obiettivi. Succede quasi sempre così quando il terrore è gestito dai suoi principali utilizzatori, cioè dalle forze al potere.
Nel caso della Turchia, gli Stati uniti hanno trovato un paese tutt'altro che ingrato. Washington le aveva dato gli F-16 per bombardare la sua popolazione e la Turchia li ha utilizzati nel 1999 per bombardare la Serbia. Poi, pochi giorni dopo l'11 settembre, il primo ministro turco Bülent Ecevit ha fatto sapere che il suo paese avrebbe partecipato con entusiasmo alla coalizione americana contro la rete di bin Laden.
In tale occasione, il primo ministro spiegò che la Turchia aveva un debito di gratitudine nei confronti degli Stati uniti, che risaliva alla sua «guerra contro il terrorismo» e all'appoggio incondizionato che era stato assicurato da Washington. Certo, anche altri paesi avevano sostenuto la guerra di Ankara contro i kurdi, ma nessuno con zelo ed efficacia paragonabili a quelli degli Stati uniti. L'appoggio dei turchi ha goduto del silenzio, e forse è più giusto dire del servilismo, degli ambienti colti americani, che non potevano certo ignorare le vicende in corso. Gli Stati uniti dopo tutto sono un paese libero e i rapporti delle organizzazioni umanitarie sulla situazione in Kurdistan erano di dominio pubblico.
All'epoca, quindi, abbiamo deciso di dare il nostro contributo alle atrocità.
La nostra coalizione contro il terrorismo comprende altre reclute di prima scelta. Il Christian Science Monitor, probabilmente uno dei migliori giornali sull'attualità internazionale, ha rivelato che alcuni popoli che non amavano affatto gli Stati uniti cominciavano a rispettarli di più, particolarmente felici di vederli alla testa di una guerra contro il terrorismo. Il giornalista, che peraltro era uno specialista dell'Africa, citava come esempio simbolo di questa svolta il caso dell'Algeria. Eppure, doveva sapere che l'Algeria conduce una guerra terroristica contro il suo stesso popolo. Altri due paesi che hanno abbracciato la causa americana sono la Russia, che porta avanti una guerra terroristica in Cecenia, e la Cina, autrice di una serie di atrocità contro quelli che definisce i secessionisti musulmani.
Sia pure: ma che fare nella situazione attuale? Un radicale estremista come il Papa suggerisce di ricercare i colpevoli del crimine dell'11 settembre per sottoporli a giudizio. Ma gli Stati uniti non desiderano ricorrere alle forme giudiziarie normali, preferiscono non dover addurre alcuna prova, e si oppongono all'esistenza di una giurisdizione internazionale. Anzi, quando Haiti chiede l'estradizione di Emmanuel Constant, giudicato responsabile della morte di migliaia di persone dopo il colpo di stato che ha rovesciato il presidente Jean-Bertrand Aristide il 30 settembre 1991, e presenta prove della sua colpevolezza, la richiesta non sortisce alcun effetto a Washington, e non suscita alcun dibattito.
Per lottare contro il terrorismo è necessario ridurre il livello del terrore, e non aumentarlo. Allorché l'esercito repubblicano irlandese (Ira) commette un attentato a Londra, gli inglesi non distruggono né Boston, città in cui l'Ira conta numerosi sostenitori, né Belfast.
Cercano i colpevoli, e poi li giudicano. Un mezzo per ridurre il livello del terrore consisterebbe nel cessare di contribuirvi noi stessi. Per poi riflettere sugli orientamenti politici che hanno creato un'area diffusa di appoggio, di cui hanno poi approfittato i mandanti dell'attentato. In queste ultime settimane, la presa di coscienza dell'opinione pubblica americana sulle realtà internazionale di ogni sorta, di cui prima solo le élite sospettavano l'esistenza, costituisce forse un passo avanti in questa direzione.
note:

* Professore al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston.
Questo testo è tratto da una conferenza svoltasi all'Mit il 18 ottobre scorso. Noam Chomsky è autore di numerose libri, fra cui 11 settembre.
Le ragioni di chi?, Marco Tropea editore, 2001.
(Traduzione di R. I.)
 
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UE: pronto il piano di comunicazione (disinformazione) strategica contro Putin

UE: pronto il piano di comunicazione (disinformazione) strategica contro Putin


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Mentre in Europa ci sono 124 milioni di poveri, la Ue ha deciso di gettare dalla finestra il denaro dei contribuenti preparando un “Piano d’azione per la comunicazione strategica” per contrastare la propaganda russa, ovvero per fare disinformazione propaganda filo-occidentale,  nei paesi del partenariato orientale (Ucraina, Georgia e Moldova) e più in generale nelle regioni russofone. Il piano d’azione, di cui l’ANSA ha copia, fa seguito al vertice di marzo che aveva chiesto a Mogherini di “affrontare la corrente campagna di disinformazione della Russia”.
Il primo aprile nel Servizio di azione esterna è nato il gruppo di lavoro East StratCom Team, che sarà pienamente operativo dal primo settembre. Gli obiettivi generali indicati nel piano d’azione sono tre:
  1. “comunicazione efficace e promozione di politiche e valori della Ue (quali??) nel vicinato orientale,
  2. “rafforzamento dell’ambiente generale dei media comprendendo un sostegno ai media asserviti indipendenti” e
  3. “aumento della consapevolezza pubblica delle azioni di disinformazione da parte degli attori esterni e miglioramento della capacità della Ue di anticipare e rispondere a tali attività” (ovvero allenarsi a mentire prima e meglio).
Tra i compiti dell’ East StratCom Team c’è quello di “sviluppare materiale di comunicazione dedicato alle questioni prioritarie”, in particolare quando “la Ue è soggetta a campagne di disinformazione”, da “mettere a disposizione della leadership politica della Ue, dei servizi stampa, delle delegazioni Ue e degli stati membri”. E’ prevista la produzione di materiale di comunicazione in russo “per assicurarsi che i cittadini abbiano accesso a fonti alternative di informazione nella lingua locale”. Nel piano c’è anche l’idea di sviluppare “l’impegno con la popolazione locale e la promozione di contatti diretti con le persone usando i programmi europei (come Erasmus Plus)” allo scopo di “far capire meglio” le attività europee.
Tra i passi da compiere “al più presto possibile” il sostegno alle organizzazioni giornalistiche “in difesa dei valori della professione”, ma anche programmi di “addestramento mirato per giornalisti” allo scopo di “aumentare la capacità dei media” nelle Repubbliche ex sovietiche.
Il documento, di nove pagine, sarà sottoposto all’approvazione del vertice di giovedì e venerdì prossimi.
EU: emergency communication plan (disinformation) strategy against PutinEUROPE EU, NEWS Wednesday, 24 June 2015putin-cia

While in Europe there are 124 million poor people, the EU has decided to throw out the window taxpayers' money preparing an "action plan for strategic communication" to counter Russian propaganda or disinformation to make pro-Western propaganda, in Eastern Partnership countries (Ukraine, Georgia and Moldova) and more generally in the Russian-speaking regions. The action plan, which the ANSA copy, follows the summit in March that he had asked Mogherini to "address the current disinformation campaign of Russia."On April in the External Action Service is born workgroup STRATCOM East Team, which will be fully operational by September 1. The general objectives stated in the action plan are threefold:1. "Effective communication and promotion of policies and values ​​of the EU (which ??) in the Eastern neighborhood,2. "strengthening of the general media including support for independent media subservient" and3. "increase public awareness of the actions of disinformation on the part of external actors, and improving the ability of the EU to anticipate and respond to such activities" (ie train to lie before and better).The tasks of the 'East STRATCOM Team is to "develop communication material devoted to priority issues", especially when "the EU is subject to campaigns of disinformation", from "make available to the political leadership of the EU, the press services, delegations and EU member states. " It 'expected to produce communication material in Russian "to ensure that citizens have access to alternative sources of information in the local language." In the floor there is also the idea of ​​developing "the commitment with the local population and the promotion of direct contacts with people using European programs (such as Erasmus Plus)" in order to "better understand" the European activities.Among the steps to be taken "as soon as possible" support for news organizations "in defense of the values ​​of the profession", but also programs "targeted training for journalists" in order to "increase the capacity of the media" in the former Soviet republics.The document, nine pages, will be submitted to the summit on Thursday and Friday.


План экстренной связи (дезинформация) стратегия против Путина: ЕСЕВРОПА ЕС, НОВОСТИ среда, 24 июня 2015Путин ЦРУ

В то время как в Европе 124 миллионов бедных людей, ЕС решил выкинуть деньги налогоплательщиков окне Подготовка «плана действий для стратегической коммуникации", чтобы противостоять российской пропаганде или дезинформацию, чтобы сделать прозападную пропаганду, в Страны Восточного партнерства (Украина, Грузия и Молдова) и в целом в русско-говорящих регионах. План действий, который копия ANSA, следует саммите в марте, что он попросил, чтобы Mogherini "решения текущей кампанию по дезинформации России."Апреля в Службе внешних действий рождается рабочей группы СТРАТКОМ Восточный команда, которая будет в полном объеме к 1 сентября. Общие цели, указанные в плане действий три:1. "Эффективная коммуникация и продвижение политики и ценностей ЕС (которые ??) в странах восточного соседства,2. "укрепление общей информации, включая поддержку независимых СМИ обслуги" и3. "повышение осведомленности общественности о действиях дезинформации со стороны внешних акторов, и улучшение способности ЕС предвидеть и реагировать на такие мероприятия" (то есть поезд, чтобы лежать перед и лучше).Задачи символическую сборную Востока СТРАТКОМ является "развитие коммуникационных материалов, посвященную приоритетных вопросов", особенно, когда "ЕС является предметом кампании дезинформации", от "доведение до политического руководства ЕС, пресс-службы, делегации и государства-члены ЕС ". Это будет производить материал в связи России ", чтобы убедиться, что граждане имеют доступ к альтернативным источникам информации на местном языке." В полу есть также идея создания "приверженность с местным населением и продвижение прямых контактов с людьми, используя европейские программы (такие как Erasmus Plus)" для того, чтобы "лучше понять" европейские мероприятия.Среди шагов, которые необходимо принять "как можно скорее" поддержки новостных организаций "в защиту ценностей профессии", но также программы "целевую подготовку для журналистов", чтобы "увеличить емкость носителя" в бывших советских республиках.Документ, девять страниц, будут представлены на саммите в четверг и пятницу.