domenica 17 marzo 2013
Papa Francesco
Vorrei dire una parola (per me finale) sul caso Bergoglio/Verbitsky/Esquivel.
In Argentina, durante la dittatura, vi furono padri che denunciarono i figli, convinti che una lavata di capo avrebbe fatto loro bene. È successo decine di volte. Oggi i figli sono desaparecidos e molti padri sono morti suicidi, disperati per non aver compreso in tempo la perversione di quel regime che torturava, assassinava, stuprava, faceva sparire i corpi, rapiva i bambini, li privava d’identità in nome dell’Occidente cristiano. Torturava in nome della croce e spesso erano i preti stessi a torturare, uccidere o assolvere con la loro partecipazione chi torturava e uccideva.
Ho sostenuto dall’inizio: se la Chiesa argentina nel suo insieme non può non essere condannata, non può bastare un singolo episodio poco chiaro per condannare il giovane Padre Bergoglio al marchio del complice. In un’ipotetica inchiesta sul caso dei due gesuiti Yorio e Jalics, il provinciale dei gesuiti dell’epoca sarebbe probabilmente rinviato a giudizio, ma poi uscirebbe assolto dal processo.
Ha gioco facile quindi Padre Lombardi a difenderlo, anche se liquidare i critici come “sinistra anticlericale” non gli fa onore. In particolare appare puerile l’ennesimo tentativo di occultare il fatto che troppi, non solo nella curia porteña ma anche Oltretevere, sapevano del genocidio e se non approvarono, di sicuro non mossero un dito. Ci sono lecarte. Horacio Verbitsky resta uno dei più scrupolosi giornalisti investigativi al mondo. Emilio Mignone, che è morto e non può difendersi, meriterebbe di essere fatto santo per il ruolo che ha svolto in difesa dei diritti umani in Argentina. Ilcomunicato dei gesuiti tedeschi firmato Jalics poi, pubblicato in tedesco da un 86enne che non compare in pubblico, dice solo che non commenta il ruolo di Bergoglio, col quale si è poi riconciliato, nel suo sequestro. Anche la dichiarazione di Adolfo Pérez Esquivel (foto), da ieri riportata ovunque (spesso per metà) è chiara e, al di là dei taglia e cuci dei virgolettati di comodo, è espressa qui. Nel passaggio chiave Pérez Esquivel sostiene: «Non considero che Jorge Bergoglio sia stato complice della dittatura ma sostengo che non ebbe il coraggio di accompagnare la lotta per i diritti umani nei momenti più difficili».
Qualcuno può contentarsi dell’assoluzione dal peccato (la complicità), ma vi sono anche le omissioni (il non aver difeso i diritti umani) e ognuno può farsi la propria opinione, sapendo che poi il nuovo papa andrà giudicato per come si porrà rispetto all’America latina di oggi. Per la prima volta nella storia dell’umanità la regione può non essere più vista come periferia anche da chi, per ignoranza o malafede, non ha mai ascoltato i segnali che in questo sito testimoniamo da oltre un decennio. Additare fin d’ora Francesco come un avversario per l’America latina integrazionista non è né utile, né corretto, né saggio. Se poi vi aspettavate un papa favorevole ai matrimoni gay o un Camilo Torres…
Ai dibattiti (o guerre) di religione non si addicono le sfumature di grigio che emergono dalla realtà. Da una parte si cerca di far passare Bergoglio come un Pio Laghi, il nunzio complice che giocava a tennis col dittatore, dall’altra si elimina con un atto di fede, che spesso è convenienza, ogni legittimo dubbio su quello che all’epoca era un quadro medio delle gerarchie cattoliche più compromesse d’America. A quest’ultima parrocchia appartiene il complesso disinformativo industriale che schiera le cannoniere per creare un mood positivo per il mercato dell’opinione pubblica. Fa specie, ma fa perfino piacere, che in questi giorni siano stati restituiti onori al grande premio Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel, trattato finalmente con la deferenza che merita.
Abbiamo memoria: fino a ieri Adolfo era trattato come un vecchio pazzo, indegno di quel premio Nobel inopinato. Nessun giornale mainstream lo avrebbe cercato nel suo umile, polveroso, piccolo studio della Calle Piedras, in pieno San Telmo, con una finestra a una sola anta che dà su un brutto patio interno, per domandargli cosa pensava per esempio del demonio Hugo Chávez (qui la sua lettera dello scorso ottobre) o della lotta per l’integrazione latinoamericana o dei loro monopoli mediatici, quando sostiene che solo “sradicando” tali monopoli mediatici si può avere vera libertà d’espressione. Adesso usano Adolfo, i grandi media: quelli che appoggiarono le dittatura e poi l’impunità (dal Clarín al Corriere della Sera, l’internazionale della disinformazione), umiliandone la statura del lottatore sociale di una vita. Lo usano e lo gettano.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
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