lunedì 10 settembre 2012

Alcoa, la ribellione della ragione

 


Fossi un operaio dell’Alcoa mi farei prestare un po’ di tritolo dai minatori del Sulcis. Ma farei la stessa cosa se fossi un politico decente e lo farei pure come autore di questo blog com’i sono e fui, per dirla alla Cecco Angiolieri. Non perché sia incline alla violenza, dio me ne scampi, ma perché ormai solo con l’esplosivo di può penetrare dentro la fortezza dell’ottusità e del marciume conglomerati in un composto più duro del cemento armato. Passera , nome omen, ci dice che l’Alcoa non si può salvare o che comunque si può salvare a patto che lo stato non ci debba mettere nulla. Poco più di una settimana fa però aveva detto che Taranto deve assolutamente continuare a distribuire cancro e malattie perché altrimenti la nostra bilancia commerciale sarebbe gravata da 6 miliardi di euro necessari a importare l’acciaio mancante.
Ora si dovrebbe supporre l’impossibile: non dico che Passera sia onesto, intelligente e coerente perché non voglio mica la luna, ma che le parole e le idee abbiano un valore. Dato per scontato che troveremmo in giro acciaio a prezzo più allettante (non lo dico come ipotesi di lavoro) c’è da ritenere che sia un vantaggio indiretto per il Paese nel suo insieme produrre acciaio dentro i suoi confini. Ed è ovvio che sia così: ci sono migliaia di salari e stipendi, ci sono le tasse sui medesimi, ci sono contributi pensionistici e una massa di denaro che serve a sostenere tutta un’economia, c’è l’occupazione e c’è anche un contributo alla bilancia commerciale che ha effetti concreti su tutto, spread compresi. Senza nemmeno citare il fatto che la presenza di filiere produttive costituisce di per sé una fonte di sapere sia pratico che teorico e uno stimolo per l’evoluzione. Quindi ciò che con i conti della lavandaia liberista pare un’operazione in perdita rivela invece una parte attiva che viene accuratamente nascosta da una teoria economico -politica fallimentare.
E dunque se i sei miliardi mancanti di Taranto sarebbero un passivo perché non dovrebbero esserlo quelli mancanti a causa di uno stop dell’Alcoa? Forse perché al contrario di Taranto non c’è un imprenditore molto comprensivo con le necessità della politica e con il costo della democrazia? Del resto in questo guazzabuglio di contraddizioni in cui si macera il pensiero unico, non vediamo ogni giorno la libera imprenditoria delocalizzazre per godere di aiuti, incentivi, detassazioni offerte da altri stati che invece ritengono un vantaggio strategico occupazione ed evoluzione? I furbissimi demolitori dello stato, spesso poi fanno affari grazie proprio a quelli.
E che differenza c’è tra un ‘operaio dell’Alcoa e la docente Fornero? Beh, certo che il primo, a differenza della seconda, è competente in quello che fa. Ma dico quando il ministro del welfare ci fa sapere da Torino, dove si è prudentemente rifugiata che il governo sta facendo la sua parte per tenere in piedi i posti di lavoro, purché questi siano sostenibili «sostenibili economicamente», dimentica di spiegarci in che modo la sua cattedra è sostenibile economicamente. Evidentemente non in un conto economico da partita doppia grazie al quale verrebbe immediatamente esodata, cosa che un Ateneo serio farebbe comunque: i vantaggi e i guadagni sono spostati nel futuro dove l’accumulo di conoscenze e la capacità di un Paese di esprimerle, rappresenta un vantaggio competitivo.
Così la ribellione dei lavoratori dell’Alcoa è tutt’altro che un disperato squarcio di irrazionalità, tra le pingui e vuote parole di un’epoca allo sbando. E’ invece la ribellione della ragione.
Ma questi non guardano al di la là del loro naso o di altre parte necessarie per sedersi sulle poltrone. Fanno i loro conticini scemi come se gestissero una merceria, cosa che del resto accade anche a Bruxelles. Fingono di essere economisti e sono bottegai, con tutto il rispetto degli stessi che devono far tornare i loro conti e non pensare alla complessità sociale che è tutt’altra cosa. Ecco a volte gli scossoni, ma di quelli forti fanno miracoli: riscuotono, ritemprano, fanno vedere le cose diversamente. Trinitrotoluene due volte al di, prima dei pasti, comprese le cenette romantiche sushi e sashimi cui la Fornero si abbandona, probabilmente a nostre spese: ormai dovrebbe passarlo il sistema sanitario nazionale.

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