martedì 17 febbraio 2015

Mangiatori di cadaveri

 
Nel caso questa notte voleste vestirvi da morti viventi e celebrare degnamente Halloween c’è una cosa da fare assolutamente per essere credibili e davvero spaventosi: datevi una spruzzata di cadaverina e putrescina, l’odore di morto.
Qualunque zombie degno di questo nome infatti dovrebbe avere oltre all’andatura legnosa e la pelle verdognola con qualche vermetto attaccato, anche un bell’odore putrescente. Come si ottiene? In realtà, come spesso succede, quello definito come “odore di morte” è un bouquet di almeno 400 diverse molecole chimiche, ma tra queste alcune sono particolarmente degne di nota: cadaverina, putrescina, skatolo e indolo.
Perché i cadaveri in putrefazione puzzano? Intanto chiariamo una cosa: puzzano secondo noi, ma non tutti i nasi sono uguali. Prendete per esempio gli animali che si cibano di carcasse, o gli insetti che vi depositano le larve. Per molti esseri viventi riconoscere e essere attratti da questi odori pestiferi è vitale, nel vero senso della parola. Anche animali come i ratti e i pesci rossi sono moderatamente attratti da composti come cadaverina e putrescina, mentre altri usano questi odori per delimitare il territorio. Come si sviluppano? Il processo di decomposizione di un corpo attraversa diversi stadi: quando il cuore smette di battere si interrompe la circolazione sanguigna, perciò il sangue non irrora più i tessuti, e le cellule, non ricevendo più ossigeno e nutrimento, muoiono. L’azione di diversi tipi di batteri produce i primi odori. Le loro attività metaboliche producono infatti diversi tipi di gas che causano il classico gofiore del corpo e la sua puzza. Man mano che le molecole organiche del cadavere vengono digerite e altre quindi si formano, cambiano anche i batteri e gli insetti che usano in vario modo queste sostanze. Questa macabra staffetta è utile tra l’altro se si è sulla scena di un crimine: per stabilire l’ora del decesso gli investigatori si rifanno alle perizie dei patologi e degli entomologi che fanno un’analisi gli insetti infestanti.
decomposition

Ad ogni modo, le molecole più puzzolenti sono ammine e composti solforati. Putrescina (Butano-1,4,diamina) e cadaverina (Pentano, 1,5, diamina), descritte nel 1885 dal medico Ludwig Brieger, hanno il caratteristico odore di carne putrefatta – sono reponsabili anche della classica fiatella che si ha appena svegli – e sono molecole organiche a catena corta con due gruppi aminici alle estremità. La differenza tra le due sta nell’origine da due diversi aminoacidi: argininia e lisina. Ci sarebbe poi da dire che l’arginina nel diventare putrescina subisce un passaggio intermedio nel quale viene trasformata in ornitina, la quale entra anche nel ciclo dell’urea e come risultato finale del processo contribuisce all’odore caratteristico dell’urina. Il metabolismo delle proteine, essendo fatte di aminoacidi, di solito porta a molecole piuttosto odorose per via del gruppo amminico –NH2 (azoto, idrogeno) – parente dell’ammoniaca (NH4) per capirci – in diverse declinazioni. Ecco anche perché per esempio la pupù degli animali carnivori di solito ha un odore più pungente rispetto a quella degli erbivori.
Lo scatolo (3-metilindolo), dall’ odore più fecale, e l’indolo, più muffoso, danno invece al cadavere delle declinazioni odorose più stantie, ma si tratta di molecole che a basse concentrazioni hanno un sentore floreale. Lo scatolo, oltre a essere attraente per molti insetti lo si trova anche negli olii essenziali dei fiori d’arancio e del gelsomino, infatti insieme all’indolo viene usato anche in profumeria.

L’avvelenamento e il doping da carneDr. Valdo Vaccaro - tratto da http://valdovaccaro.blogspot.com/2010/04/lavvelenamento-e-il-doping-da-carne.html
Una bistecca e un prosciutto, si sa, non crescono sugli alberi.
Gli animali definiti da carne vengono sottoposti a torture e violenze che ripugnano ad ogni persona civile, ad ogni essere dotato di una normalissima sensibilità e cultura.
E, quanto succede a questa massa di creature sfortunate e abbandonate temporaneamente da Dio, non riguarda solo la terrificante fase finale del macello, ma tutta la loro vita da esseri sottoposti a carcere duro, con privazione dei più elementari diritti quali l’ora d’aria e di libertà, l’ora di sole. Creature inermi, pacifiche, intelligenti e senzienti, che hanno la sola colpa di essere diverse dall’uomo, di non avere mezzi fisici, legali e sociali per difendersi, e che vengono discriminate e trattate alla stregua di bestie infami da vessare, torturare, uccidere.
Diciamo pure che per fare gli allevatori, i macellai, i commercianti di bestiame, serve una durissima e ruvida scorza di pellaccia e una massa ossea impenetrabile intorno agli occhi, alle orecchie, al naso, al cuore e al cervello.
Non per niente Pitagora rifiutava persino di incontrare o di incrociare per strada questa categoria di persone, per l’imbarazzo, l’avversione e il disgusto che gli procuravano.
L’animale in questione sta ancora masticando ignaro e tranquillo la sua quota di fieno sulla mangiatoria.
Non sa ancora che la sua sorte è segnata, e che qualcuno ha già deciso per lui la data e l’ora del patibolo.
Ma, non appena se ne accorge grazie alle sue sensibilissime antenne telepatiche, i suoi muscoli già induriti dalla immobilità della stalla-carcere, si bloccano del tutto per un paio di giorni almeno e la sua carne diventerebbe durissima e inutilizzabile dopo l’assassinio in tale stato.
Per renderla meno dura, per far sì che la sua bistecca diventi più morbida e masticabile, l’animale viene lasciato a digiuno prima della barbara esecuzione.
Con questo stratagemma, diminuisce la concentrazione di proteine fibrillari, cala il glucosio nel sangue e aumenta l’acqua trattenuta nella muscolatura.
E, mentre l’anima sua vola al più alto dei cieli indurita dalle sofferenze inflittegli, la sua carne rimasta in terra a disposizione dei carnefici diventa a sua volta più tenera e delicata.
Dopo il rigor mortis, inizia il processo di frollatura, che è una brevissima stagionatura volta a rendere la carne ancora più molle, e che prelude alla vera e propria putrefazione.
Guai permettere però che la putrefazione avvenga a quel punto.
Sarebbe come far perdere ogni valore commerciale al pezzo di cadavere che si sta maneggiando.
Occorre giostrare in modo opportuno tra mollezza e putrefazione, col prezioso aiuto del freddo, esattamente come si fa nell’autopsia di una salma, per determinarne le ragioni reali della morte o le condizioni reali dello scomparso al momento del decesso.
La putrefazione deve avvenire non all’esterno, ma all’interno del corpo di chi mangerà quel brandello di cadavere. Il disfacimento, lo schifo, l’orribile puzzo del disfacimento, deve avvenire all’interno dell’uomo, dove ci sono le condizioni ideali di caldo e umidità per la disintegrazione di tale ordigno ecologico. Così il cliente paga e riempie il proprio tubo gastrointestinale di fetore e di veleni, mentre il macellaio sorride e si guadagna il suo soldo.
L’oltretomba del povero animale eliminato finisce per essere situato nell’apparato intestinale di qualche manciata di uomini disposti a fare da cimitero chimico collettivo per i suoi resti.
La carne diviene sempre più flaccida e cedevole man mano che avanza il processo di disgregazione cellulare e di disfacimento proteico.
Gli enzimi proteolitici cominciano a digerire parzialmente le proteine (autolisi), liberando peptidi e aminoacidi, ai quali si deve il caratteristico tanfo cadaverico, ovvero le caratteristiche proprietà organolettiche (per dirla coi dietologi filo-carnivori stile prof Calabrese).
Trattasi esattamente, per meglio comprenderci, di quell’odore nauseabondo che lasciano i topi morti o gli altri animali morti in clima e ambiente caldo-umido.
Acidi urici metabolici e altri residui tossici come scatolo, indolo, putrescina e cadaverina, verranno prodotti in seguito.
Il freddo del congelatore può solo interrompere, ritardare e attenuare tale trasformazione.
La carne è molto deperibile e diventa facile preda di una folla di microrganismi patogeni e di spore che la inquinano irrimediabilmente.
Gilbert e Dominicé, ricercatori belgi, hanno provato mediante esperimenti che l’assunzione di carne provoca nel tubo intestinale un inquietante aumento di germi patogeni da 2000 unità a 70 mila per mmc).
Pensiamo al bacillus enteridis, al bacillus suipestifer, al bacillus clostridium, al bacillus streptococcus bovis, al prione della mucca pazza, al bacillo del tifo e del paratifo, nonché alle 2700 sostanze chimiche proibite e catalogate composte da farmaci, pesticidi, ormoni, antibiotici, e quanto altro si ritrova in quel materiale orribile chiamato carne.
Solo cotture ad altissima temperatura potrebbero in qualche modo bonificarla.
Ma, in tal caso, si distruggerebbe ogni già scarso valore nutritivo e gastronomico, e si produrrebbero altre complicazioni.
Non dimentichiamo che anche una cottura leggera distrugge gli enzimi e le vitamine del gruppo B, e trasforma i grassi in acreolina, micidiale veleno per il fegato.
Oltre alle tossine metaboliche c’è poi l’acido lattico da sforzo e da stress, l’adrenalina da paura accumulatasi nei fluidi dell’animale (è risaputo che le povere bestie captano, intuiscono, comprendono telepaticamente che le si vuole uccidere).
Tutte cose che si ripercuotono pesantemente sul consumatore, causando femminilizzazione nei maschi e cancri nell’apparato genitale femminile (come nel caso del dietil-silbestrolo), nonchè insensibilità alle cure antibiotiche.
Una lenta tossinfezione dovuta alla trasformazione batterica da eccesso di proteine
Ma è la facilità con cui i residui digestivi della carne tendono a putrefarsi nell’intestino crasso, a preoccupare di più gli igienisti e i patologi.
E’ normale, si chiede Shelton, vivere di un cibo che produce solo putrefazioni e veleni?
Il ristagno del bolo intestinale significa digestione lenta e difficile, significa stitichezza, significa enormi sprechi energetici, essendo la digestione lunga l’operazione più costosa in termini di energia.
Ogni buon dietologo sportivo sa che è grave errore usare le proteine in funzione energetica.
Nel colon proliferano poi i terribili batteroidi e bifido-batteri, che sono i battistrada del cancro.
I resti degli acidi biliari colico e desoiicolico, a contatto prolungato con le sostanze prodotte dalla decomposizione della carne, danno origine a pericolosi composti chimici come l’acido apocolico e il 3-metilcolantrene, due potenti cancerogeni.
Una dieta contenente carne, e dunque grassi animali, porta a sviluppo di batteri intestinali capaci di creare enzimi come il beta-glicoronidasi e l’alfa-deidrossilasi, e di creare steroli cancerogeni come il coprosterolo.
Mancando invece del tutto, nel tubo gastrointestinale fruttariano degli umani, l’enzima uricase (che abbonda invece nei canidi e nei felini, e serve a disintegrare e a rendere innocuo l’acido urico),
i malcapitati che perseverano nell’alimentazione carnea si ritrovano con gravissimi problemi di accumulazione ureica o gottosa.
Dalle carni e dal sangue ingerito gli deriva poi una lenta tossinfezione, dovuta alla trasformazione batterica dell’eccesso di proteine.
La lisina si trasforma ahimé in cadaverina. Il triptofano si sdoppia in scatolo e indolo. La cisteina e la metionina diventano etil e metil-mercaptani.
Dagli altri aminoacidi si generano putrescina, agmatina, istamina, tirosina, fenolo, metano, ammoniaca, biossido di carbonio, idrogeno, acido acetico e alcol.
Ecco spiegato il penoso quadro patologico formato da feci dure e maleodoranti, gas gastrici e gas intestinali, coliti, emorroidi, stipsi, pesantezza, mali di testa, ipertensione.
Quando non si arriva agli estremi del cancro allo stomaco, all’intestino e al fegato.
Un motore che viene costretto a funzionare con un carburante improprio e difettoso.
Un motore che invece di cantare e funzionare al meglio, invece di bruciare alla perfezione il suo gas senza lasciare residui e strascichi interni, balbetta e scoppietta, va a 3 cilindri, come si dice in gergo automobilistico.
Ecco spiegato pure il meccanismo della produzione di radicali liberi in sovrabbondanza, e della insufficienza degli antiossidanti corporali a contrastare il conseguente stress ossidativo patito all’organismo.
Ecco spiegato il diffondersi di malattie incontrollabili e gravi, e l’invecchiamento precoce del genere umano.
La carne non dovrebbe mai entrare nell’organismo degli uomini.
E meno che meno si dovrebbe dare ai bambini, nei quali produce nervosismo, insonnia e alterazioni del ricambio.
Per tutti, grandi e piccini, maschi e femmine, si profila con la carne un grave affaticamento degli organi emuntori, ed in particolare del fegato, del pancreas e dei reni.
I test di massima velenosità
Negli Usa, la Commissione per le Malattie Cardiache (1970), la Commissione Parlamentare sull’Alimentazione (1977) e l’Accademia delle Scienze (1980), hanno dimostrato con dati inoppugnabili che la carne, assieme a tabacco ed alcol, è uno dei fattori più responsabili di mortalità nei paesi del benessere.
Nel Regno Unito, gli esperimenti dell’Università di Cambridge (dr Khaw e dr Welch) hanno dimostrato che l’unico modo di stare alla larga da cancro e cardiopatie è assumere almeno 5 volte più vitamina C naturale (e non sintetica), mediante un minimo di 5 pasti giornalieri al giorno di frutta al naturale.
I test antropologici sulle origini
Tutte le ricerche e i test antropologici dimostrano che l’uomo dei primordi si alimentava di bacche di ogni genere, di frutti e semi di ogni tipo, di granaglie e radici, di erbe e di miele. In certe circostanze sapeva pure ottenere dagli animali uova, latte e formaggi. Le carni in casi limitati furono sempre un cibo raro, sporadico, eventuale, rituale, festivo.
Nell’assieme, le ricerche dimostrano che l’uomo è nato ed è cresciuto nella storia come essere frutto-vegetariano.
I test del cibo-elettivo
Le due leggi di Graham sul cibo elettivo dimostrano che:
1) Esiste un rapporto preciso e definitivo tra costituzione fisica di un animale e il suo cibo elettivo,
ovvero il suo cibo normale e preferenziale
2) Il cibo elettivo è quello più adatto, quello che serve al meglio i suoi interessi biologici, psicologici,
conservativi e ambientali
I test delle scorie
Le recenti scoperte sul ruolo delle scorte indigeribili nell’alimentazione, o dei cosiddetti a-nutrienti,
hanno inferto un altro duro colpo alla teoria dell’onnivorismo umano.
Il tubo digerente extralungo dell’uomo necessita infatti di stimoli regolatori che favoriscano il movimento peristaltico.
Ebbene, la dieta frutto-vegetariana cruda ha queste capacità, mentre quella carnea e quella onnivora no. Le carni non lasciano scorie indigeribili, per le quali è invece predisposta e adatta l’intera capacità dell’intestino, soprattutto nella parte definita colon e crasso.
I test sull’acidità del crasso
L’intestino crasso, per funzionale al meglio, deve mantenere un ambiente acido e non alcalino.
Ebbene, frutti, grani, erbe e radici, che nella parte alta del tubo gastrointestinale hanno rilasciato correttamente residui alcalini che hanno mantenuto il sangue leggermente alcalino, nella parte bassa dell’intestino si ritrasformano quasi magicamente e rilasciano residui acidi (acido acetico, acido carbonico, acido lattico). Mentre carni, pesce, uova e latticini, che nella parte alta avevano rilasciato ceneri acide e quindi dannose, acidificando il sangue e provocando domande di calcio interno e causando osteoporosi e calcoli, nella parte bassa lasciano perfidamente residui alcalini, a dimostrazione di quanto e come essi siano dei non-cibi o meglio dei contro-cibi per l’uomo.
I test sulla fame (prova del fuoco di Frate Girolamo Savonarola)
I veri onnivori, quando sono affamati, sono attratti istintivamente e tramite fiuto da animali e da carogne animali, che vengono intesi come cibo immediato e di urgenza.
Questo non accade con l’uomo in genere, e con le donne e i bambini in particolare, nei quali è più forte e sentito il retaggio della vita secondo natura.
L’essere umano prova istintivamente ribrezzo e repulsione alla vista di ogni tipo di sangue e di ogni tipo di cadavere. Persino un uomo dedito alla trasgressione carnea, quando ha fame, sogna un piatto di pastasciutta, o un minestrone, o una pizza o una torta. La fame è del resto un fenomeno chimico originato proprio dalla carenza di carboidrati o zuccheri, non certo di proteine.
I test sul contenuto proteico del latte materno
Il contenuto proteico di ogni diverso tipo di latte, è la cartina di tornasole che sta a indicare la percentuale proteica approssimativa di cui quell’animale ha bisogno per mantenersi in salute.
Il latte materno della specie umana è caratterizzato da un contenuto proteico particolarmente basso, inferiore al 5 percento. Tale percentuale è assai simile a quella che si trova nella frutta e nella verdura allo stato naturale, che sono per l’appunto il vero e unico cibo di competenza dell’umanità.
I test sul rilascio di radicali liberi e sull’ossidazione cellulare
Le ricerche mediche e biochimiche di questi ultimissimi anni confermano come i cibi non elettivi, i cibi impropri, i cibi concentrati, i cibi animali, i cibi cotti, le bevande eccitanti, le bevande gassate, le bevande alcoliche, gli stili di vita sbagliati, siano tutti fonti di imperfezioni e disfunzioni organiche.
Disfunzioni organiche che portano ad avvelenamenti, a tossiemie, ad infiammazioni interne e, in ultima analisi, al rilascio di radicali liberi, a pericolosissimi stress ossidativi, capaci di provocare malessere, malattie e invecchiamento precoce.
I test sulla legge del nutriente minimo
Ogni buon dietologo, ogni biochimico responsabile sa che il corpo umano si appropria del minimo che gli serve di ciascun micro-nutriente tra quelli messi a sua disposizione. L’eccesso di una sostanza nutritiva sulle altre può solo causare deficienze a catena e disequilibri. Esistono rapporti corretti, compatibilità e incompatibilità, simpatie e avversioni precise tra le varie vitamine e i diversi minerali, per cui occorre necessariamente stare sui cibi naturali e complessi, rifuggendo da ogni versione concentrata e sintetica, rifuggendo il più possibile da integrazioni e supplementazioni che possano produrre effetti perversi e imprevedibili all’interno del nostro organismo.
Che ci siano in giro degli amici degli animali e degli animalisti è già un brutto segno. Sta infatti a significare che esistono pure dei nemici e dei persecutori di questi esseri che tutto meriterebbero fuorché di essere tormentati e torturati da chi è stato preposto a far loro da guida e dar loro una mano.
La stessa considerazione vale per i vegetariani. Dire che esiste un vegetariano o un miliardo di vegetariani non è affatto cosa consolante. Come non è consolante che ci sia il vegetarianismo.
Esso esiste solo perché c’è della gente che si comporta in modo obbrobrioso cibandosi di carne.
Se tutti gli uomini si comportassero da uomini non staremmo a parlare di queste etichettature sociali.
Tutti gli uomini nascono vegetariani e muoiono vegetariani, in quanto accompagnati vita natural durante da un corpo e da un apparato gastrointestinale invariabilmente frutto-vegetariano, per disegno, per struttura, per funzioni e per caratteristiche bio-chimiche.
Solo che una parte di essi, e persino una parte preponderante di essi, tradisce e trasgredisce alla propria natura, dando luogo a una massa di popolazione disobbediente e a rischio, che arreca danno e pericolo alla natura circostante e a se stessa.
Alla fine esiste in ogni caso una quadratura del cerchio.
Il creatore ha fatto l’uomo in un certo modo e con certe caratteristiche e certe esigenze.
Sovvertire e pervertire questo ordine non può che portare a effetti collaterali, allo stesso modo dei farmaci e delle sostanze dopanti.
L’avvelenamento procede per gradi a partire dallo svezzamento. Il lattante umano si sviluppa e cresce armoniosamente finché la sua dieta è quella appropriata del latte basso-proteico di sua mamma contenente meno del 5 percento di proteine.
I guai e le deviazioni cominciano con le intromissioni e la diseducazione pediatrica e sanitaria, con gli omogeneizzati a base di carne e di pesce, che fanno conoscere ai delicatissimi organismi infantili i primi drammi dell’acidificazione del sangue da eccesso proteico, delle malattie dell’infanzia, che sono tentativi di riequilibrio bloccati perfidamente, secondo atto del dramma infantile, dalle vaccinazioni perpetrate a danno dei piccoli innocenti che nulla possono dire e nulla possono obiettare.
Poi, col passare del tempo, le quote di proteine in eccesso tendono ad aumentare ulteriormente in rapporto al tipo di educazione e di usanze, di convinzioni, di cattivi esempi, di convenienze economiche, di influenze esercitate dalle famiglie e dai diversi tipi di società civile in cui il giovane è inserito.
Al termine di tutta la storia ci troviamo di fronte a un adulto vegetariano che ha rovinato il suo organismo al punto tale da sentirsi un essere forestiero ospitato in un corpo che non apprezza e che non conosce, al punto tale da non riconoscere più nemmeno il cibo di sua pertinenza.
Il veleno, quando non ti uccide all’istante, ti stordisce e ti droga, ti stimola e ti altera, poi di deprime, in un continuo gioco alterno di alti e bassi che mette a dura prova tutti gli organi, e che affatica il corpo al punto di procurargli evidenti segni di decrepitezza.
Ma l’avvelenato e il drogato da carne non sa, non si rende conto di essere drogato al pari del fumatore, del consumatore di caffé e tè, del consumatore abituale di farmaci, di integratori minerali e di vitamine sintetiche.
La sua vita consiste in un continuo susseguirsi di crisi di fame e crisi di sete, che la carne non riesce se non parzialmente e temporaneamente a placare.
Queste crisi violente e improvvise di fame hanno origini chiare e sono spiegabilissime.
Un pasto carneo è basato normalmente su un eccesso proteico che va ben oltre quel 5 percento naturale dei lattanti umani (corrispondente alla quota media giornaliera di 11 grammi di proteine al giorno stabilite dalla Scuola Igienista Naturale Americana).
Andare poi oltre i 25- 35 g di proteine al giorno significa varcare la fatidica soglia della acidificazione e richiamare calcio interno dalle proprie ossa.
Un pasto carneo è basato il più delle volte su un eccesso proteico che va ben oltre i limiti tollerati.
C’è poi della gente che tende a ingozzarsi di proteine all’inverosimile, puntando a livelli proteici vicini al 50 percento del totale calorico.
E questo succede non solo nelle diete letali tipo quelle che suggeriva il dr Atkins nei tempi andati, e che oggi ribadisce in Italia il prof Calabrese, ma persino nelle diete comuni osservabili tra gli amici e i conoscenti che ci circondano.
Questi eccessi di proteine producono una serie ininterrotta di putrefazioni gastriche e intestinali, e un rilascio costante di residui velenosi che, associati ai carboidrati (amidi, dolci, frutta) che seguono a ruota, vanno a far scaturire altri fenomeni aberranti quali la fermentazione degli zuccheri e l’alcolizzazione del bolo e della massa di nutrienti ingeriti.
A quel punto, la vena porta, destinata a convogliare i micronutrienti disintegrati al fegato per le ulteriori trasformazioni e filtrazioni, tende a rifiutare i medesimi e a indirizzarli verso il basso, ossia verso il colon e l’evacuazione.
Solo che pus e alcol diventano micidiali per il retto. Ne sanno qualcosa le emorroidi. Così, come estrema difesa, il corpo cerca con testarda insistenza di inviare il tutto al fegato per una qualche detossificazione.
Ma il fegato si guarda bene dall’accettare delle sostanze che lo danneggerebbero perforandone i filtri come un colabrodo.
Così il tutto torna di nuovo al colon per una evacuazione difficoltosa e penosa.
In pratica, la maggior parte dei nutrienti contenuti nel cibo iniziale, finisce per essere dispersa e sprecata, e finisce tra le acque nere dei servizi igienici.
E il sistema cellulare, i trilioni di cellule in costante e trepida attesa di ricevere i nutrienti purificati dal fegato, rimane sempre a corto di carburante, a corto di fruttosio, a corto di acqua biologica.
Da qui le improvvise e violente crisi di fame e di sete, da qui i suggerimenti dei medici di riempirsi giornalmente di litri d’acqua.
Questo è il tragico meccanismo del deficit calorico, tipico di chi cerca il carburante zucchero di sua competenza nel modo più difficile e costoso possibile.
Ricavare glucosio dalle proteine significa davvero esperire la via più complicata e dispendiosa.
Alla fine della trafila, il finto carnivoro che si è rimpinzato di carne per un valore di 1000 calorie, corre il concreto rischio di dover spendere 1200 calorie nei lunghi tempi di digestione di un materiale improprio che mai avrebbe dovuto circolare nelle sue parti interne.
Così la carne lo ha sì stimolato e gli ha sì dato delle vampate di calore e vitalità, ma nella realtà non lo ha nutrito affatto, e lo ha al contrario depredato di nutrienti interni e persino di calorie.
Se chi ci ha disegnati e creati ha previsto che l’adulto sano deve fare 3 ore al giorno di intensa attività fisica, accelerando e decelerando adeguatamente il suo ritmo cardiaco, e stimolando di conseguenza la circolazione del sangue (legata al cuore) e quella del sistema linfatico (legata al movimento in sé, in quanto il sistema linfatico non è dotato di una sua pompa cardiaca come il sistema sanguigno), una carenza di esercizio comporterà danni metabolici e perdita di forza muscolare, mentre un eccesso di esercizio porterà a sovra-produzione di acido lattico, a stanchezza e indebolimento.
Se il creatore ha stabilito poi 2000 o 3000 calorie al giorno, tutte da cibo appropriato e naturale, come quota ideale, l’eccesso procurerà sovra-peso e obesità, mentre la scarsità sarà causa di sottoalimentazione, indebolimento e moria precoce delle cellule sottoalimentate.
Se il creatore ha stabilito che ogni diverso maschio adulto e sano si mantiene tale con tre rapporti sessuali al giorno, o alla settimana, o all’anno, da eseguirsi con emozione ed entusiasmo, e non per costrizione, noia o abitudine, l’eccesso procurerà debolezza ed esaurimento, la scarsità darà origine nei maschi ad accumuli di tensione e a incrementi di testosterone, a canizie precoce e magari pure ad un atrofizzasi degli organi in disuso.
Nelle femmine invece, la scarsità di rapporti produrrà sintomi noti come il complesso della zitella, con una certa acidificazione del carattere, o una tendenza alla mascolinità sociale, all’attivismo sfrenato in attività economiche o sociali.
Dunque anche la sublimazione degli istinti naturali, derivante da motivazioni personali, sociali, morali, religiose, comporta dei costi e delle conseguenze.
Allontanarsi dagli schemi naturali comporta dunque immancabilmente dei costi bene individuati e soppesati dai ricercatori e dagli scienziati dei vari settori.
Nessun compromesso con la macchinazione infernale ordita a danno dei più deboli e indifesi esseri del pianeta Vivere al meglio significa trovare pure accomodamenti, compromessi, antidoti.
Il mondo cosiddetto civilizzato ci propone e talvolta ci impone i suoi schemi in continuazione, taluni compatibili, tali altri in netto contrasto con le nostre reali esigenze.
Tutto sommato, viviamo in un mondo che fa di tutto per proporci modelli insostenibili, stili di vita inaccettabili. Viviamo in un mondo che pare coalizzato per farci ammalare, per farci sparire prima del tempo, per sfruttarci, impoverirci fisicamente, mentalmente e spiritualmente.
Un mondo che ci vuole pure coinvolgere nella infernale macchinazione ordita ai danni dei più deboli e più indifesi esseri del pianeta, e che può diventare autodistruttiva nei confronti della nostra stessa specie, sia a livello fisico che in termini di salute mentale e spirituale.
Su questo punto della persecuzione degli animali ai fini di una alimentazione umana perversa e balorda, lontanissima dalle regole divine di ogni filosofia e di ogni religione, non ci può essere assolutamente alcuna forma di compromesso

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