Non c'è branca della scienza, compresa la filosofia, che non sia stata rivoluzionata completamente, talvolta perfino rifondata daccapo. Pensate alla fisica nel secolo scorso: interi castelli teorici caduti come le forme lasciate dai secchielli di sabbia sulla spiaggia. E pensate, certo, alla medicina: pensate con quanta sicumera intere generazioni di dottori applicavano le sanguisughe sui corpi martoriati dei malati di tubercolosi, così che avrebbero certamente depurato il sangue infetto all'origine della loro malattia. Dottori pagati profumatamente perché riconosciuti luminari, che avrebbero sdegnosamente disprezzato qualunque opinione contraria alla loro. Gli stessi che consigliavano ai nobili aristocratici francesi di non lavarsi troppo, tantomeno le mani, perché l'acqua faceva male, mentre oggi estremizzano la posizione contraria. E potremmo certamente continuare a lungo.
Questo non significa che oggi la medicina non abbia compiuto importanti passi avanti, grazie al progresso tecnologico e al metodo scientifico: è proprio grazie ad essa - e grazie alle comodità della vita moderna - se l'uomo vive oggi molto più a lungo (per poi consumare gran parte della propria esistenza in uno stato di senilità permanente, ma questa è un'altra storia...). Tuttavia la scienza, nobile nei suoi principi ispiratori, è applicata da uomini, i quali nella stragrande maggioranza dei casi sono molto meno nobili. Nessuno vorrà qui sostenere, spero, che le grosse multinazionali farmaceutiche siano organizzazioni nonprofit che prestano il loro servizio generoso all'esclusivo scopo di ridurre le sofferenze umane (e se non siete convinti provate a leggere questo). Oltre alle medicine che hanno - con tutta evidenza riconosciuta dalla letteratura scientifica - causato la morte di milioni di persone, se di tutti i casi documentati che denunciano codesti scempi (e le connivenze con una parte del mondo accademico e del corpo medico) rispondesse al vero solo una parte ennesima, ciò risulterebbe sufficiente per affermare che anche una scoperta di cui si afferma l'incrollabile certezza scientifica è sempre da assumere con una certa, pragmatica cautela, ammettendola - certo - ma riservando, in un angolo della propria deontologia professionale, lo spazio necessario a ricavare una finestra aperta sul mondo e su eventuali ipotesi alternative, pure se non suffragate da un percorso ortodosso (perché certe cose attengono alla dominio della giurisprudenza, e non a quello della peer review). La scienza, intesa come disciplina, si muove nell'interesse della conoscenza. Gli uomini invece si muovono spesso nel loro interesse personale e con i loro enormi limiti.
Tutte queste considerazioni, prese nel loro insieme - ovvero la consapevolezza di vivere in un frammento infinitesimale della storia che, quasi certamente, verrà confutato e ribaltato nei secoli a venire infinite volte, unitamente alla coscienza delle porcherie che l'uomo è in grado di produrre quando una branca del sapere diventa miracolosamente redditizia - dovrebbero indurre alla cautela e a una certa dose di sano relativismo ogni uomo vagamente saggio. Chiunque applichi il socratico "so di non sapere" non può che essere una persona tollerante, aperta e disponibile, che sono tutte condizioni essenziali dell'intelligenza. Del resto, ci sono cose che la medicina non conosce ancora, ci sono interazioni non esplorate mai a fondo. E tutta la scienza presa nel suo insieme, a mio modesto parere, risponde alla pur fondamentale domanda "Come?", ma non all'interrogativo madre di qualsiasi altro: "Perché?". Il perché, inteso come ragione profonda sottesa ad un meccanismo del cui funzionamento si può solo approssimare una conoscenza sempre meno vaga, sfugge e sfuggirà per sempre. A tutti.
Fatte queste debite premesse, qualche tempo fa ho pubblicato un documentarioche, raccogliendo numerose testimonianze di malati di Aids e di alcuni scienziati impegnati nella ricerca (compreso il suo scopritore), mentre si poneva criticamente sul nesso di causa-effetto che lega la presenza del retrovirus Hiv all'insorgere della sindrome (la quale ovviamente è reale e non è mai stata posta in discussione), sosteneva apertamente che la causa della morte di intere generazioni di malati di Aids fosse inizialmente da attribuirsi, più che alla sindrome stessa, ai farmaci somministrati nel tentativo "dichiarato" di curarla, il cui unico vantaggio ottenuto sarebbe stato da ricercarsi negli utili delle case farmaceutiche produttrici. Un documentario che mostri una collezione di interviste, più o meno autorevoli, è di per sé legittimo e sacrosanto, giacché esiste la libertà di pensiero: il suo scopo non è quello di sostituirsi al processo di revisione scientifica, ma semmai quello di aprire un dibattito e insinuare dubbi che, in maniera analoga a quanto avviene per le inchieste giornalistiche in altri campi, possano fare pressione affinché si faccia chiarezza su questioni che di scientifico potrebbero avere molto poco (come gli interessi eventuali nel creare la definizione di una sindrome e poi venderti la cura, vedi il caso controverso dell'AHDH). Per questo io cerco e cercherò sempre di dare spazio, cum grano salis, a chi offre una visione diversa della realtà codificata: è giusto così. Se volete un esempio delle posizioni intransigenti, aprioristiche, stereotipate e intellettualmente sterili di quanti ho precedentemente definito talebani del nulla, basta spulciare tra i commenti del post in oggetto. Alcuni di questi signori (tranne rare eccezioni) che si autoproclamano baluardi della scienza - e dunque dovrebbero essere distaccati, obiettivi e aperti per definizione - sono peggio dei tanto vituperati fondamentalisti islamici che vanno nei supermercati agghindati con un cinturone di bombe: se potessero far esplodere un blog e il documentario che ospita, senza neppure darsi la pena di guardarlo (in pieno ossequio al metodo scientifico), lo farebbero seduta stante. Sappiate - e mi rivolgo a loro - che siete come i farisei, che anteponevano il sabato all'Uomo, o come i mercati del tempio, che Gesù stesso spazzò via a bastonate.
Orbene: oggi, dopo avere riservato al metodo Di Bella - in campo oncologico - un trattamento degno della Santa Inquisizione, la medicina ufficiale riconosce che molti dottori ne usano i principi con successo sui loro pazienti. Ed è addirittura l'Ordine dei Medici di Bolgna a patrocinare un Congresso sul tema. Nel frattempo, arriva notizia che la chemioterapia produce generazioni di tumori più resistenti. La scienza ha i suoi tempi, che sono in parte fisiologici e in parte prodotti dalle resistenze di quanti sono più interessati alla poltrona che alla vita dei pazienti, ma il decorso della malattia non aspetta. Quante vittime saranno ancora sacrificate sull'altare della propria insolente presunzione, prima che l'umiltà dell'intelligenza, che non può che riconoscersi infima di fronte all'infinito incompreso e incomprensibile, possa infine prevalere, rendendo finalmente così tutto più semplice?
Riporto il pezzo di Gioia Locati sul Giornale.
ORA L'ORDINE DEI MEDICI RICONOSCE IL METODO DI BELLA
Il convegno, dal titolo “Evidenze scientifiche non valorizzate in oncoterapia” è in programma sabato a Bologna (aula magna dell’università, via Belmeloro 14) dalle 9 alle 18.30. L’ ingresso è libero. È la prima volta che un ordine dei medici riconosce il valore scientifico del metodo Di Bella, non solo patrocinandone il convegno ma favorendo la partecipazione anche fra i non dibelliani. Il presidente dell’ordine dei medici bolognese, Giancarlo Pizza, infatti, illustrerà proprio sabato i risultati di una sperimentazione da lui condotta, in collaborazione con l’università di Firenze, su 360 malati di carcinoma renale metastatico a cui è stato iniettato un vaccino.
Dottor Pizza, il patrocinio al convegno significa che riconoscete il valore della terapia Di Bella?
“Stiamo dando il patrocinio a un convegno che ha basi scientifiche, i cui lavori sono stati sottoposti al vaglio dell’ordine dei medici di Bologna. Ossia, gli argomenti che verranno dibattuti sono stati valutati e approvati da una commissione incaricata. Questo non significa che stiamo dando la patente al metodo Di Bella ma che prendiamo atto che ci sono colleghi che fanno osservazioni e ottengono risultati che si ritiene giusto che vengano proposti alla comunità scientifica”.
Come mai non collimano i risultati della sperimentazione del ’98 con le storie cliniche dei pazienti guariti?
“Non sono in grado di entrare nel merito della sperimentazione del ’98, so che sono state fatte delle critiche ma non le conosco. Tuttavia, prendo atto che ci sono medici che ottengono risultati. Ed io non posso dire a questi colleghi che stanno sostenendo posizioni non vere”.
Il patrocinio bolognese capita a soli due mesi di distanza dalla sanzione che un altro ordine dei medici, quello di Bari, inflisse a un medico, reo di aver prescritto la cura Di Bella. Il presidente barese, Filippo Anelli, responsabile del provvedimento, lo motiva così: “Mi occupai io dell’esposto non perché il collega avesse prescritto i farmaci del metodo Di Bella ma perché aveva approfittato della sua posizione per speculare su un malato (forse su più di uno). Mi arrivò la segnalazione ed io fui obbligato a intervenire. Un ordine professionale non entra nel merito (non guarda se la cura è scientifica o meno) ma controlla se è rispettata la deontologia professionale. Questo vuol dire che un medico, in scienza e coscienza, se ritiene che faccia bene al malato, può anche prescrivere la cura Di Bella”.
Così al convegno di sabato interverranno non solo medici dibelliani ma anche studiosi di varie università, italiane e straniere. Si va dal virologo Giulio Tarro (professore a Philadelphia e presidente della fondazione de Beaumont Bonelli per la ricerca sul cancro e attualmente impegnato in lavori sull’immunoterapia) all’oncologo Paolo Lissoni del san Gerardo di Monza, noto per le sue 600 pubblicazioni sulle proprietà antitumorali della melatonina. Verranno esposti i risultati dell’immunovaccinoterapia sui malati di cancro renale metastatico (ai quali la chemioterapia non ha dato alcun beneficio) condotti dal gruppo congiunto università di Bologna e di Firenze (De Vinci, Capanna, Pizza, Lo Conte e Mazzarotto). La psichiatra Giusy Messina del Policlinico di Milano parlerà della psiconeuroendocrinologia, di come la prognosi del cancro è influenzata dallo stato psicologico e dalla dimensione spirituale del paziente. Infine, Giuseppe Di Bella affronterà il ruolo fondamentale che hanno le molecole anti-proliferative (somatostatina e anti-prolattinici) nel fermare il cancro. E, oltre ai casi di tumore al seno guariti con il metodo Di Bella, illustrerà le regressioni di microcitomi polmonari, leucemie linfatiche croniche, leucemie mieloidi acute, carcinomi del pancreas e fibrosarcomi.
Dottor Pizza, il patrocinio al convegno significa che riconoscete il valore della terapia Di Bella?
“Stiamo dando il patrocinio a un convegno che ha basi scientifiche, i cui lavori sono stati sottoposti al vaglio dell’ordine dei medici di Bologna. Ossia, gli argomenti che verranno dibattuti sono stati valutati e approvati da una commissione incaricata. Questo non significa che stiamo dando la patente al metodo Di Bella ma che prendiamo atto che ci sono colleghi che fanno osservazioni e ottengono risultati che si ritiene giusto che vengano proposti alla comunità scientifica”.
Come mai non collimano i risultati della sperimentazione del ’98 con le storie cliniche dei pazienti guariti?
“Non sono in grado di entrare nel merito della sperimentazione del ’98, so che sono state fatte delle critiche ma non le conosco. Tuttavia, prendo atto che ci sono medici che ottengono risultati. Ed io non posso dire a questi colleghi che stanno sostenendo posizioni non vere”.
Il patrocinio bolognese capita a soli due mesi di distanza dalla sanzione che un altro ordine dei medici, quello di Bari, inflisse a un medico, reo di aver prescritto la cura Di Bella. Il presidente barese, Filippo Anelli, responsabile del provvedimento, lo motiva così: “Mi occupai io dell’esposto non perché il collega avesse prescritto i farmaci del metodo Di Bella ma perché aveva approfittato della sua posizione per speculare su un malato (forse su più di uno). Mi arrivò la segnalazione ed io fui obbligato a intervenire. Un ordine professionale non entra nel merito (non guarda se la cura è scientifica o meno) ma controlla se è rispettata la deontologia professionale. Questo vuol dire che un medico, in scienza e coscienza, se ritiene che faccia bene al malato, può anche prescrivere la cura Di Bella”.
Così al convegno di sabato interverranno non solo medici dibelliani ma anche studiosi di varie università, italiane e straniere. Si va dal virologo Giulio Tarro (professore a Philadelphia e presidente della fondazione de Beaumont Bonelli per la ricerca sul cancro e attualmente impegnato in lavori sull’immunoterapia) all’oncologo Paolo Lissoni del san Gerardo di Monza, noto per le sue 600 pubblicazioni sulle proprietà antitumorali della melatonina. Verranno esposti i risultati dell’immunovaccinoterapia sui malati di cancro renale metastatico (ai quali la chemioterapia non ha dato alcun beneficio) condotti dal gruppo congiunto università di Bologna e di Firenze (De Vinci, Capanna, Pizza, Lo Conte e Mazzarotto). La psichiatra Giusy Messina del Policlinico di Milano parlerà della psiconeuroendocrinologia, di come la prognosi del cancro è influenzata dallo stato psicologico e dalla dimensione spirituale del paziente. Infine, Giuseppe Di Bella affronterà il ruolo fondamentale che hanno le molecole anti-proliferative (somatostatina e anti-prolattinici) nel fermare il cancro. E, oltre ai casi di tumore al seno guariti con il metodo Di Bella, illustrerà le regressioni di microcitomi polmonari, leucemie linfatiche croniche, leucemie mieloidi acute, carcinomi del pancreas e fibrosarcomi.
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