VORREI
RICORDARE CHE L'ITALIA NON HA SOVRANITA' MONETARIA, CHE L'EURO LO
DEVE PRENDERE IN PRESTITO DA UNA BANCA PROVATA E, QUESTO CI COSTA IN
TERMINI DI DEBITO PUBBLICO, DIMINUZIONE DEI SALARI E POTERE
D'ACQUISTO.
SE
LO STATO AVESSE UNA SUA BANCA PUBBLICA, SE SI STAMPASSE LA MONETA
SOVRANA NON AVREMMO QUESTO PROBLEMA.
Petrus Marotta
Il
costo del denaro (dell'Euro), anche conosciuto come tasso
di interesse o TAN (Tasso
Annuo Nominale), e più recentemente ISC
(Indice Sintetico di Costo), è il prezzo pagato per ottenere
la disponibilità di un capitale (es. mutuo per la casa), ovvero
il compenso ricevuto per la rinuncia all'uso immediato di un
capitale, messo a disposizione di un'altro soggetto (es. il
capitale prestato dalla banca per il mutuo).
Di solito viene negoziato solo questo tasso, che può variare dal 3 al 8-9 %, mentre viene tralasciato il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) che comprende, oltre al TAN, anche le spese di istruttoria e di documentazione.
Non è finita qui: non sono da sottovalutare i costi delle commissioni di accordato e delle commissioni di massimo scoperto, variabili dallo 0,5 % al 2 %.
Imprenditori e lavoratori dipendenti dovranno sempre controllare il valore di questi indici per non incorrere in brutte sorpese.
Le opportunità di ottenere condizioni vantaggiose sono molte: banche di credito cooperativo, casse di risparmio e banche locali offrono spesso costi accessibili; oppure vale la pena di provare la moneta complementare: ci sono commercianti che utilizzano lo SCEC, che non ha commissioni nè interessi di alcun tipo, ma viene accettata come mezzo di pagamento affianco all'Euro.
Per le imprese in Italia l'EuroBexB rappresenta la possibilità di utilizzare un affidamento commerciale in moneta complementare, che non genera interessi, nè commissioni di accordato.
Di solito viene negoziato solo questo tasso, che può variare dal 3 al 8-9 %, mentre viene tralasciato il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) che comprende, oltre al TAN, anche le spese di istruttoria e di documentazione.
Non è finita qui: non sono da sottovalutare i costi delle commissioni di accordato e delle commissioni di massimo scoperto, variabili dallo 0,5 % al 2 %.
Imprenditori e lavoratori dipendenti dovranno sempre controllare il valore di questi indici per non incorrere in brutte sorpese.
Le opportunità di ottenere condizioni vantaggiose sono molte: banche di credito cooperativo, casse di risparmio e banche locali offrono spesso costi accessibili; oppure vale la pena di provare la moneta complementare: ci sono commercianti che utilizzano lo SCEC, che non ha commissioni nè interessi di alcun tipo, ma viene accettata come mezzo di pagamento affianco all'Euro.
Per le imprese in Italia l'EuroBexB rappresenta la possibilità di utilizzare un affidamento commerciale in moneta complementare, che non genera interessi, nè commissioni di accordato.
Dall'introduzione dalla moneta unica il nostro potere d'acquisto giù del 15%, quello degli spagnoli del 20%. Gli affitti sempre più alti, buste paga più magre
Dall’introduzione dell’euro ad oggi il nostro potere
d’acquisto è crollato mediamente del 15%. Una batosta difficile
da incassare ma sempre meglio del quasi 20% dei cugini greci o dei
partner spagnoli. Ma anche i locomotori d’Europa hanno perso
qualcosa (l’8% circa la Germania, il 10 la Francia), peccato che
la somma di perdita di valore d’acquisto e il contestuale aumento
della tassazione in Italia (così come in Spagna e Grecia), abbiano
concorso ad impoverire ulteriormente la popolazione, senza tener
conto degli effetti indotti dalla crisi occupazionale. Meno lavoro,
meno reddito disponibile.
Se può essere di consolazione nessun Paese che appartiene all’area Euro in questi ultimi anni si è salvato dalla perdita di valore d’acquisto: insomma, questa sarebbe la buona notizia. Però, stando alla ricerca realizzata dal Centro Studi dell’Adepp (l’Associazione degli enti previdenziali dei professionisti), in alcuni Stati è andata assai peggio visto che i salari sono più bassi e il costo della vita è cresciuto esponenzialmente. nell’analisi comparata su redditi e costi sono stati introdotti alcuni riferimenti comuni: come il costo di un pasto al ristorante o l’affitto di una casa. Se è vero che affittare una casa a Parigi costa più che a Roma (200 euro di differenziale), c’è anche da dire che il salario netto all’ora di un professionista nella Capitale è di appena 9,40 euro mentre lo stesso professionista nella Ville Lumière ne incassa ben 14,30 l’ora.
Spiega nel dettaglio la ricerca questa differenza di retribuzione: «Tutti i Paesi presi in esame, compresa la Germania, hanno subito una flessione del potere d’acquisto dovuta essenzialmente all’inflazione e quindi all’aumento dei prezzi». Ma allora come mai tedeschi e francesi sembrano risentire meno di italiani e spagnoli della mazzata derivante dall’adozione della nuova valuta? «Nelle politiche economiche e reddituali adottate dalle singole nazioni, La situazione dell Grecia», premette Marco Micocci direttore scientifico del Centro studi Adepp, «è nota a tutti, quella della Spagna e soprattutto delle sue banche idem, l’Italia fa i conti con una realtà occupazionale drammatica e, di conseguenza, con una contrazione dei consumi preoccupante, ma anche con una assenza di politiche di sviluppo». E fin qui nulla di nuovo.
La verità è che Germania e Francia hanno agito sulla leva dei salari per frenare la perdita di valore. Insomma, aumenti in busta paga e politiche per evitare il crollo dei consumi. E la ricetta, visti i rispettivi Pil di Parigi e Berlino, sembra aver funzionato o comunque si è riusciti a far fronte, almeno in parte, alla “grande crisi” europea.
«Anche la Germania», prosegue l’analisi condotta dall’equipe di lavoro dell’Adepp, «ha avuto il suo momento no ma ha investito nel suo mercato interno, aumentando i salari e quindi evitando la contrazione dei consumi, Una linea seguita anche dalla Francia e da alcuni Paesi nordici».
Nella sostanza l’Italia, così come la Spagna e soprattutto la Grecia troppo presi dal risanamento del debito accumulato non hanno saputo far fronte alla contrazione del potere d’acquisto che si è tradotto in un calo consistente dei consumi e quindi della ricchezza circolante. Un cane che si morde la coda e quindi se è vero che dall’introduzione dell’euro il potere d’acquisto è diminuito, è altrettanto vero che senza la valuta unica europea sarebbe andata assai peggio. Conclude lo studio: «La moneta unica, che in molti casi ha salvato il potere d’acquisto da ben altre cadute, non è altro che un denominatore comune. Il problema», conclude lo studio di Micocci, «risiede nel mancato governo unitario delle economie europee, nell’assenza di coordinamento dei bilanci dei singoli State e ai conseguenti limiti dei loro deficit. Alla mancata capacità di adeguamento delle industrie europee alla concorrenza dei nuovi mercati emergenti ed infine alle scelte politiche ed economiche dei singoli Paesi, legate ad egoismi nazionali o a necessità politiche locali». Insomma, se siamo più poveri l’euro ha certamente delle responsabilità ma i governanti che non hanno saputo compensare gli effetti della crisi sono e restano i primi responsabili. A Roma come a Madrid e Atene.
Petrus Marotta
Se può essere di consolazione nessun Paese che appartiene all’area Euro in questi ultimi anni si è salvato dalla perdita di valore d’acquisto: insomma, questa sarebbe la buona notizia. Però, stando alla ricerca realizzata dal Centro Studi dell’Adepp (l’Associazione degli enti previdenziali dei professionisti), in alcuni Stati è andata assai peggio visto che i salari sono più bassi e il costo della vita è cresciuto esponenzialmente. nell’analisi comparata su redditi e costi sono stati introdotti alcuni riferimenti comuni: come il costo di un pasto al ristorante o l’affitto di una casa. Se è vero che affittare una casa a Parigi costa più che a Roma (200 euro di differenziale), c’è anche da dire che il salario netto all’ora di un professionista nella Capitale è di appena 9,40 euro mentre lo stesso professionista nella Ville Lumière ne incassa ben 14,30 l’ora.
Spiega nel dettaglio la ricerca questa differenza di retribuzione: «Tutti i Paesi presi in esame, compresa la Germania, hanno subito una flessione del potere d’acquisto dovuta essenzialmente all’inflazione e quindi all’aumento dei prezzi». Ma allora come mai tedeschi e francesi sembrano risentire meno di italiani e spagnoli della mazzata derivante dall’adozione della nuova valuta? «Nelle politiche economiche e reddituali adottate dalle singole nazioni, La situazione dell Grecia», premette Marco Micocci direttore scientifico del Centro studi Adepp, «è nota a tutti, quella della Spagna e soprattutto delle sue banche idem, l’Italia fa i conti con una realtà occupazionale drammatica e, di conseguenza, con una contrazione dei consumi preoccupante, ma anche con una assenza di politiche di sviluppo». E fin qui nulla di nuovo.
La verità è che Germania e Francia hanno agito sulla leva dei salari per frenare la perdita di valore. Insomma, aumenti in busta paga e politiche per evitare il crollo dei consumi. E la ricetta, visti i rispettivi Pil di Parigi e Berlino, sembra aver funzionato o comunque si è riusciti a far fronte, almeno in parte, alla “grande crisi” europea.
«Anche la Germania», prosegue l’analisi condotta dall’equipe di lavoro dell’Adepp, «ha avuto il suo momento no ma ha investito nel suo mercato interno, aumentando i salari e quindi evitando la contrazione dei consumi, Una linea seguita anche dalla Francia e da alcuni Paesi nordici».
Nella sostanza l’Italia, così come la Spagna e soprattutto la Grecia troppo presi dal risanamento del debito accumulato non hanno saputo far fronte alla contrazione del potere d’acquisto che si è tradotto in un calo consistente dei consumi e quindi della ricchezza circolante. Un cane che si morde la coda e quindi se è vero che dall’introduzione dell’euro il potere d’acquisto è diminuito, è altrettanto vero che senza la valuta unica europea sarebbe andata assai peggio. Conclude lo studio: «La moneta unica, che in molti casi ha salvato il potere d’acquisto da ben altre cadute, non è altro che un denominatore comune. Il problema», conclude lo studio di Micocci, «risiede nel mancato governo unitario delle economie europee, nell’assenza di coordinamento dei bilanci dei singoli State e ai conseguenti limiti dei loro deficit. Alla mancata capacità di adeguamento delle industrie europee alla concorrenza dei nuovi mercati emergenti ed infine alle scelte politiche ed economiche dei singoli Paesi, legate ad egoismi nazionali o a necessità politiche locali». Insomma, se siamo più poveri l’euro ha certamente delle responsabilità ma i governanti che non hanno saputo compensare gli effetti della crisi sono e restano i primi responsabili. A Roma come a Madrid e Atene.
Petrus Marotta
Fonti:
moneta complementare
di
Antonio Castro
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