lunedì 22 luglio 2013

A ragion veduta

Le istituzioni italiane hanno da sempre un rapporto complicato con i non credenti. I loro diritti non sono espressamente menzionati nella Costituzione, e per avere il riconoscimento dell’uguaglianza con i credenti si è dovuto attendere il 1979 e la Corte Costituzionale. Da allora sono passati altri 34 anni senza che uno straccio di legge raccogliesse quanto stabilito per via giuridica: e dire che le questioni aperte sono veramente tante. La richiesta dell’Uaar di avviare trattative per la stipula di un’Intesa sono state regolarmente respinte dai vari governi succedutisi negli ultimi vent’anni, peraltro con modalità che per ben due volte la stessa giurisprudenza ha giudicato illegittime. Pesa l’ostracismo delle gerarchie ecclesiastiche (che del resto non vogliono nemmeno che un principio costituzionale come quello della laicità dello Stato sia menzionato in una legge ordinaria) e l’assoluta incapacità della classe dirigente di opporvisi. Risultato: ancora oggi, per il governo, atei e agnostici non esistono. O quasi. i non credenti semplicemente non esistono, figurarsi i loro diritti Un buon esempio di questo atteggiamento è costituito dal compendio sulla libertà religiosa diffuso dall’ufficio del segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri. L’esercizio della libertà religiosa in Italia è stato realizzato con la consulenza di Paolo Valvo, assegnista di ricerca presso l’Università cattolica e culture di materia diversa dal diritto ecclesiastico. Nel testo i non credenti semplicemente non esistono, figurarsi i loro diritti. E dire che il più autorevole studioso della libertà religiosa che l’Italia abbia mai avuto, Francesco Ruffini, sosteneva che la libertà religiosa comprendesse anche la libertà di non credere. Altri tempi: era il 1901. Il ministero dell’Interno ha a sua volta diffuso di recente il vademecum Religioni, dialogo e integrazione, con lo scopo di favorire il dialogo interreligioso. Il testo è stato caldeggiato dalla Direzione Centrale degli affari dei culti – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale. È frutto del lavoro di alcune realtà che si occupano di dialogo tra religioni (come Com Nuovi Tempi e il Centro Studi e Ricerche IDOS) e di alcuni docenti universitari diretti da Paolo Naso, come Carmelina Chiara Canta, Marco Ventura, Francesco Zanini. incontro e dialogo tra fedeli di religioni diverse, e tra questi e i non credenti In questo caso c’è, timidamente, anche l’invito al dialogo con atei, agnostici e non credenti, una presenza sempre più visibile nonostante la difficoltà nelle stime. “Poiché le differenze religiose saranno sempre più parte dell’Italia”, scrivono i redattori del dossier sull’immigrazione, “è necessario accompagnare con responsabilità di incontro e dialogo tra fedeli di religioni diverse, e tra questi e i non credenti“. Interessante il dato sui cittadini stranieri regolari in Italia (poco più di 5 milioni): oltre a 2,7 milioni di cristiani, 1,6 milioni di musulmani, 297mila seguaci di religioni orientali (come buddhismo e induismo), 51mila che seguono culti “tradizionali”, abbiamo 310mila tra ebrei, atei/agnostici e “altri” (da ritenere che di questi la maggior parte sia formata appunto da non credenti). Si fa notare che l’incidenza dei cristiani anche tra gli immigrati “mostra quanto sia improprio in Italia agitare lo spettro di una ‘invasione’ di persone di diversa religione”. In Italia ormai la pluralità religiosa, “accentuata dall’immigrazione, è ormai un fattore strutturale”. E l’islam è la “seconda grande religione in Italia dopo il cattolicesimo”. Dal canto suo Carmelina Chiara Canta, docente dell’università di Roma Tre, parla di “dialogo” come “cifra simbolica” della post-modernità, meno caratterizzata da un approccio religioso esclusivista, e scrive: “il riconoscimento e il rispetto dell’uomo integrale costituiscono anche oggi la base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti”. Anche l’Uaar viene citata, tra le “esperienze e buone pratiche” del settore Sanità e i protocolli di assistenza sanitaria negli ospedali, in particolare per l’accordo con il Sant’Anna di Ferrara volto a gestire una “stanza del silenzio”, “nello spirito dell’art. 17 comma 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che tutela lo status delle associazioni filosofiche non confessionali”. ricorrente valorizzazione del ruolo delle religioni nella società Un documento che apre qualche spiraglio, dunque, ma che si caratterizza per la ricorrente valorizzazione del ruolo delle religioni nella società e nella cosa pubblica e per la richiesta di prerogative che può far storcere il naso ai laici. Sicuramente il quadro italiano, caratterizzato dalla condizione privilegiata della Chiesa cattolica (con il Concordato) e un multiconfessionalismo multilevel per alcune religioni cui viene concessa con il contagocce l’intesa, va cambiato all’insegna di una maggiore eguaglianza, visto che ormai è la società è mutata. Ma ci permettiamo di far notare che è difficile dialogare, come prospettato, se non si viene coinvolti o interpellati. E se, soprattutto, si parla di dialogo tra chi dispone di (talora cospicui) privilegi e chi invece è discriminato. Ricordiamo ancora una volta che il peso dei non credenti, nel nostro paese, supera sensibilmente la somma di tutti i fedeli delle religioni di minoranza. E rappresenta anche una quota non trascurabile dei migranti, spesso provenienti da paesi con regimi confessionali dove la libertà di non credere o di abbandonare una religione viene violata. Gli stessi stranieri, poiché giungono in un territorio sconosciuto, sono spesso giocoforza portati a legarsi alla comunità religiosa di origine e costretti a seguirne le tradizioni. Anche quando non sono osservanti, non trovando chi possa tutelarli (come si faceva notare per il ramadan, che cade proprio in queste settimane). Non mancano nemmeno casi di leader religiosi particolarmente integralisti che rendono più difficile l’integrazione, fomentando odi e divisioni. Ma tale aspetto viene costantemente sottaciuto. una laicità che parli di persone riconoscendone i diritti individuali, non di comunità La nostra associazione è del resto critica nei confronti del multiculturalismo comunitarista, un approccio che pare trasparire in alcuni passaggi del documento e che ha già prodotto effetti disastrosi in paesi quali la Gran Bretagna. Preferiamo una laicità che parli di persone riconoscendone i diritti individuali, non di comunità che talvolta rischiano di trasformarsi in ghetti e finiscono per dettare regole e comportamenti agli individui, limitandone la libertà. L’arrivo di immigrati e il diffondersi di altre culture apre nuove prospettive e problematiche nella gestione della convivenza civile. Le religioni possono fare la loro parte come veicolo di integrazione, ma occorre sempre ricordarsi che bisogna puntare alla difesa dei diritti delle persone in quanto tali, non in quanto credenti in questa o quella divinità. La redazione Notizie correlate» Nuovo sondaggio sul sito UAAR » Non credenti in crescita secondo il Rapporto Eurispes » L’invisibilità statistica dei non credenti » Nuovo sondaggio sul sito UAAR

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