martedì 21 giugno 2011

La Lotta di classe in America

La lotta di classe in America
di Marco d'Eramo
su il manifesto del 04/03/2011
L'aggressione repubblicana ai diritti sindacali è partita dal Wisconsin. Con la scusa della crisi si vogliono tagliare stipendi e contratti collettivi dei dipendenti pubblici. Il paese però reagisce
Mentre le classi sociali vengono dichiarate ormai estinte, tenui ricordi di un lontano passato, negli Stati uniti si combatte invece un'esplicita, durissima lotta di classe che vede classicamente contrapposti da un lato capitalisti di vecchio stampo (quelli che a fine '800 si chiamavano robber barons, «baroni banditi») e dall'altro lavoratori organizzati. E questa lotta di classe è divampata nel gelido inverno del Wisconsin, uno stato sinonimo di progressismo: da quasi un secolo negli Stati uniti l'impostazione socialdemocratica era definita «spirito del Wisconsin», almeno fino al novembre scorso, quando questo stato del Midwest aveva subito una drammatica svolta a destra, rimandando a casa uno dei senatori più di sinistra di tutto il paese, Russ Feingold.
Ma ormai da settimane una folla sempre più numerosa manifesta sulle rive dei tre laghi ghiacciati di Madison (la capitale dello stato). «Sabato scorso erano per strada sotto la neve con 10 gradi sotto zero almeno 100.000 persone, quando la città conta solo 200.000 abitanti. Un movimento così non se lo aspettava nessuno, neanche i sindacati: finora la gente mugugnava contro l'austerità, contro l'attacco ai diritti sindacali, ma in realtà era rassegnata, e invece ha dimostrato che può opporsi, agire, contrattaccare» mi dice al telefono da Madison John Nichols, saggista, columnist del settimanale The Nation e condirettore del più autorevole quotidiano del Wisconsin, il Capital Times. Nichols parla dell'ondata di protesta contro il disegno di legge avanzato dal governatore repubblicano Scott Walker, appena sei settimane dopo essersi insediato.
Il governatore Walker vuole approfittare della crisi per togliere a tutti i dipendenti pubblici (tranne che ai pompieri e ai poliziotti) il diritto al contratto di lavoro collettivo, tagliare gli stipendi e aumentare i contributi sanitari e pensionistici. La ragione invocata è la crisi fiscale cui devono far fronte i 50 stati: con la recessione, nel 2009 le entrate fiscali dei singoli stati erano diminuite del 13% rispetto al 2007, e nel 2009-2011 si è creato per ogni stato un buco medio di 140 miliardi di dollari, circa il 21% di tutte le spese. Nel 2009 questi ammanchi erano stati tappati dal piano di stimolo voluto dal presidente Barack Obama. Ma ora che, dopo la sconfitta del voto di metà mandato, Obama si è convertito al rigorismo di bilancio, gli stati sono costretti a licenziamenti massicci e a tagli drastici.
In realtà lo scopo del governatore Walker era di schiantare la forza contrattuale dei dipendenti pubblici e aprire la porta a una progressiva privatizzazione dei servizi, sul modello dei contractors nella guerra in Iraq. È la versione yankee della nostra «guerra ai fannulloni». E che fosse proprio così è stato svelato da una telefonata registrata con Walker in cui un militante di sinistra si è finto il miliardario David Koch: nella conversazione il governatore parla come uno scolaro elementare di fronte al maestro, ansioso di mostrare di aver fatto tutti i compiti, un servilismo quasi ributtante nei confronti del - suppopsto - capitalista. «Prima la gente pensava che Walker fosse malconsigliato, che si sbagliava ma in buona fede», dice John Nichols, «ma dopo questa telefonata ha visto che il suo unico scopo era soddisfare le esigenze dei miliardari che lo avevano finanziato».
La reazione è stata straordinaria. Persino i senatori (del senato statale del Wisconsin), noti conigli politici, hanno dimostrato un inedito coraggio, facendo mancare il numero legale per far votare la legge: e poiché il regolamento pretende la loro presenza, anche a costo di farli rintracciare dalla polizia (di stato), sono «fuggiti» dal Wisconsin nel vicino Illinois dove sono intervistati «in contumacia» da tutti i siti progressisti. I manifestanti hanno invaso il campidoglio di Madison senza che intervenisse la polizia mandata a fermarli, ma che invece ha fraternizzato con loro. «È stata ammirevole la solidarietà nazionale. Hanno manifestato a decine di migliaia a da San Farncisco a Chicago a New York» dice Nichols.
Perché lo scontro in Wisconsin è un test per tutto il paese. I dipendenti pubblici cosituiscono infatti più di un sesto di tutti gli occupati: sono 23 milioni di impiegati pubblici di cui 20 milioni dipendenti dagli stati e dagli enti locali, 2,8 milioni dipendenti civili federali su un totale di civili occupati di 130 milioni di persone (non sono contati 2,2 milioni di militari). Al di là della retorica, gli enti locali sono il nerbo dell'economia Usa e provvedono al nucleo dei servizi sociali dall'istruzione alla sanità. Perciò se le iniziative del governatore Walker dovessero diffondersi in tutti gli Usa, il loro effetto sprofonderebbe gli Usa in una nuova recessione. Mercoledì il Senato di uno stato molto più grande, l'Ohio, ha votato in commissione a 17 contro 16 una legge che abolisce la contrattazione collettiva per tutti i deipendenti pubblici (anche per pompieri e poliziotti): 6 repubblicani hanno votato contro, insieme ai democratici. La legge deve ora passare alla Camera.
«In questo senso la protesta ha già vinto» dice Nichols: «In Michigan un governatore conservatore come Rick Snyder esclude di seguire la via di Walker. Lo stesso ha fatto il governatore dell'Indiana, Mitch Daniels, che ha proposto una 'tregua sociale' suscitando un putiferio tra i repubblicani più conservatori. D'altronde i sondaggi mostrano che gli americani sono in maggioranza favorevoli a mantenere la contrattazione collettiva per i dipendenti pubblici. Una cosa è parlare in astratto di 'equilibrio di bilancio', un'altra è vedere la maestra di tua figlia che viene licenziata o che perde la pensione. Anche gli economisti più ortodossi fanno marcia indietro e avvertono che se gli stati procedono a una riduzione drastica delle spese, il paese si avviterà in un una recessione ancora più grave. Infine, questa protesta aiuta Obama perché mostra ai disillusi di sinistra che comunque non è indifferente se al potere c'è un repubblicano o un democratico».
Meno ottimista è al telefono un altro esponente autorevole della sinistra, Joel Rogers, politologo, ordinario all'università di Madison: «È vero che questa protesta può essere utile a Obama, siamo all'inizio della più lunga campagna presidenziale della storia americana. Ed è vero che probabilmente non riusciranno a privare i dipendenti pubblici della contrattazione collettiva. Ma riusciranno a imporre l'austerità, perché non c'è una politica alternativa. Nessuno ha il coraggio di aumentare le tasse, non fosse che per i ricchi. E i deficit sono là, immensi, e vanno colmati in qualche modo. La protesta non ha formulato, per lo meno non ancora, una domanda unificante, qualcosa che possa sboccare in un movimento nazionale. È da un'eternità che non riusciamo ad avere una lotta di classe multi-razziale, un tempo perché eravamo troppo razzisti, ora perché il dominio del capitale è schiacciante. Ma di fronte alla guerra senza quartiere dichiarata dai capitalisti di destra alla Koch, forse si apre la possibilità di una lotta di classe multirazziale».

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