Scuola, sviluppo, banda larga: “L’Europa ce lo chiede”. E l’Italia fa finta di niente
Alcune richieste sono vecchie di vent'anni, come quella sul salario minimo, datata 1992. Solo il nostro Paese e la Grecia non hanno mai provveduto. Altre si ripetono negli anni, sempre uguali. Come le raccomandazioni sui finanziamenti all'istruzione e sull'utilizzo dei fondi. Eppure i governi riescono sempre a eludere questi spunti e concentrarsi sulle manovre lacrime e sangue. Antologia degli impegni non rispettati. Nel nome di Bruxelles
Non esita un attimo a varare manovre lacrime e sangue non appena l’Europa lo chiede, ma da tutto ciò che serve per sviluppare e modernizzare il paese la politica italiana si tiene a debita distanza. La Commissione Ue lo ha sancito ancora una volta il 5 marzo: l’Italia è affetta da “squilibri macroeconomici eccessivi” e il suo debito è così alto che la correzione dei conti pubblici non basta, servono riforme per far crescere l’economia. Ma lo sviluppo è sempre figurato solo a parole nell’agenda dei governi italiani che hanno dovuto affrontare le sfide poste dalla crisi. Eppure da anni Bruxelles all’Italia chiede non solo tagli alla spesa pubblica, ma anche una nuova strategia di crescita: riforma del lavoro, contrasto all’evasione, liberalizzazioni, ma non solo. Spulciando tra raccomandazioni e interventi di indirizzo politico, l’inerzia emerge con chiarezza: dalla lotta alla corruzione allo sviluppo della banda ultralarga, la lista dei compiti a casa che l’Italia non ha fatto è lunga.
LOTTA ALLA CORRUZIONE? NON PERVENUTA La piaga delle mazzette è, insieme alla lentezza della giustizia e al moloch della burocrazia, uno dei motivi per cui i grandi investitori internazionali si tengono alla larga dall’Italia ed è stata oggetto di una infinita serie di richiami di Bruxelles. L’ultimo è del 5 marzo: “L’alto livello di corruzione riduce l’efficienza nell’uso delle risorse nell’economia”. Il 3 febbraio la Commissione Ue aveva sottolineato l’inadeguatezza delle misure adottate: dal 6 novembre 2012 l’Italia ha sì una legge anti-corruzione – si legge nel report – ma il provvedimento presenta gravi carenze poiché “non modifica la normativa penale sul falso in bilancio e sull’autoriciclaggio e non introduce fattispecie di reato per il voto di scambio”. Ma soprattutto “non modifica la disciplina della prescrizione”, considerata da Bruxelles “troppo breve”. Inoltre “la normativa italiana non regolamenta il lobbismo” e Roma “non ha recepito la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio sulla lotta contro la corruzione nel settore privato”.
L’Ue non fa i nomi, ma si fa capire: “Il parlamento ha approvato o ha tentato di far passare leggi ad personam – si legge nelle raccomandazioni – a favore di politici imputati in procedimenti penali, anche per reati di corruzione. Ne è un esempio il progetto di legge sulla “prescrizione breve” (…). Un altro esempio è il “lodo Alfano”. Criticità affliggono anche il sistema contabile, che “non ottempera ai requisiti previsti dalla convenzione penale sulla corruzione del Consiglio Ue” ed esistono “carenze critiche nel quadro giuridico sul finanziamento dei partiti”, si legge in un rapporto del marzo 2012 del GRECO, Gruppo di Stati contro la corruzione.
“ISTRUZIONE, LIVELLO BASSO MA E’ UNA PRIORITA’” Otto miliardi di tagli solo tra il 2008 e il 2011, quando ad avere in mano le cesoie era Maria Stella Gelmini. “Il livello di istruzione in Italia è basso. Azioni mirate per migliorare la situazione sono la priorità”, si legge nelle Raccomandazioni del Consiglio sul programma nazionale di riforme 2013 dell’Italia, datate 29 maggio 2013. Gli appelli a migliorare l’offerta scolastica vanno avanti da anni, con la stessa regolarità con cui i fondi per l’istruzione vengono tagliati. Già nel 2009, nel Rapporto sull’implementazione della Strategia di Lisbona, la Commissione sollecitava l’Italia ad “un’azione decisiva per promuovere la qualità di insegnamento, così da evitare un deterioramento ulteriore dei risultanti nell’istruzione”. Bruxelles non si stanca di chiedere: “Migliorare la qualità dell’insegnamento potenziando la professionalità dei docenti”, “Sostenere l’innovazione nel sistema d’istruzione”, “Migliorare il sistema di istruzione e formazione professionale”, si legge nel report “Italia: dare slancio alla crescita e alla produttività” del 27 settembre 2012 stilato dall’Ocse. L’ultima bocciatura risale al 30 ottobre 2013: figurando tra i 5 peggiori paesi dell’Unione per abbandoni scolastici, l’Italia deve “aumentare gli sforzi per evitarli, anche riformando professione e carriere degli insegnanti”, raccomandava la Commissione. In un paese che spende meno sull’istruzione rispetto al resto dell’Unione, (il 4,2% del Pil contro il 5,3% di media Ue, con la spesa per studente che alle elementari e alle superiori è aumentata in 15 anni solo dello 0,5% a fronte di una media Ocse del 60%)“l’obiettivo di migliorare la qualità e i risultati – spiegava Androulla Vassiliou, Commissaria europea per l’istruzione – è fondamentale se vogliamo che i giovani possano sviluppare le competenze necessarie ad avere successo nella vita”.
REDDITO MINIMO, L’ITALIA COME LA GRECIA Una misura di equità sociale e di sostegno al consumo che l’Europa cominciò a chiedere 22 anni fa: con la raccomandazione 92/441 del 24 giugno 1992, la CEE sollecitava gli Stati a introdurre “il reddito minimo garantito, inteso quale fattore d’inserimento nella società dei cittadini più poveri”. Negli anni il pressing è stato costante: dalla Comunicazione della Commissione Ue COM (2006)44, alla raccomandazione 2008/867 CE, fino alla Risoluzione 2010/2039 del Parlamento Ue che sottolinea “il diritto fondamentale della persona a disporre di risorse sufficienti per vivere nel rispetto della dignità umana”. Nel 2011 ci prova la Bce che nella lettera inviata al governo il 5 agosto chiede di introdurre “un sistema di assicurazione dalla disoccupazione” e tra i 39 punti della richiesta di chiarimenti del successivo 10 novembre si legge della necessità di “rivedere il sistema dei sussidi di disoccupazione oggi molto frammentario entro la fine del 2011″. Risultato: nonostante qualche timido tentativo, l’Italia non si è mai adeguata, in compagnia in tutta l’Ue della sola Grecia.
BANDA LARGA, UN’UTOPIA Potrebbe rivelarsi uno dei volani principali per il rilancio del Paese ma finora, promesse a parte, la banda ultralarga estesa all’intero territorio nazionale si è rivelata una pura utopia. Eravamo arretrati già nel 2006 quando, l’11 ottobre, Vivianne Reading, commissario per la società dell’informazione e dei media, al Forum della Confindustria Digitale a Roma definiva “preoccupante” e “inadeguato” il livello di copertura della banda larga a sud delle Alpi. Nell’aprile 2012 era dalla Commissaria europea per l’agenda digitale, Neelie Kroes, a tornare sull’argomento e a far notare come il ritardo costi “tra l’1% e l’1,5% del Pil”. Ma siamo arretrati ancora oggi: di fronte ad un paese in cui un terzo degli italaini non ha accesso a internet, il 12 giugno 2013 il rapporto della Commissione Ue che valuta l’avanzamento digitale raccomandava come fosse il primo giorno: “L’Italia dovrebbe rafforzare ulteriormente gli investimenti in infrastrutture (di telecomunicazioni), in modo da aumentare la disponibilità di reti a banda larga veloci”. Risultato: secondo il 3° Rapporto su Reti & Servizi di nuova generazione 2013, siamo terz’ultimi in Europa per la diffusione della banda. Peggio di noi fanno solo Grecia e Cipro.
“FONDI UE USATI POCO E MALE” Il 26 febbraio era stato Giorgio Napolitano a ricordarlo: “Serve continuità di sforzo nel pieno utilizzo dei fondi europei”. Bruxelles ce lo ribadisce ad ogni occasione utile. “Il fatto che il miglioramento della gestione dei fondi resti poco ambizioso, specie nel Mezzogiorno – si legge nelle raccomandazioni del Consiglio per la strategia Europa 2020 in Italia – suscita grave preoccupazione”. L’obiettivo, specificato per l’ennesima volta: “Migliorare la gestione dei fondi dell’Ue nelle regioni del Mezzogiorno in vista del periodo di programmazione 2014-2020″. Negli ultimi anni, secondo il ministero della Coesione territoriale, ne abbiamo usati di più, ma i risultati lasciano ancora a desiderare: a fine 2013 erano 16,7 i miliardi non utilizzati nel periodo 2007-2013. I problemi? I soliti: cattiva organizzazione degli uffici, norme oscure, procedure confuse. E spesso il loro impiego è discutibile. “Basta con la distribuzione a pioggia – criticava ad agosto il commissario alle Politiche regionali, Johannes Hahn – l’Italia utilizzi le risorse su poche, chiare priorità. Mai più finanziamenti Ue “per il concerto di Elton John a Napoli, o la Salerno-Reggio Calabria”. I politici italiani – sosteneva un rapporto pubblicato a settembre dalla direzione generale Affari regionali della Commissione – dovrebbe stare lontana dai finanziamenti: “Questo legame finisce spesso per orientarsi verso interessi di parte, col risultato di uno scarso impatto sullo sviluppo del territorio”.
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