martedì 26 dicembre 2017

1. italia arretrata socialmente,politicamente e culturalmente Se rapportato agli altri stati europei l'italia è uno stato molto arretrato. Nei paesi del nord (svezia,norvegia,danimarca,finlandia,islanda,germania) e negli altri stati avanzati (spagna,francia,portogallo,grecia) le condizioni di vita,il reddito medio e l'amministrazione sono molto più alte dell'Italia. In Italia la maggior parte della popolazione vive in miseria ed è analfabeta. Negli stati avanzati la popolazione gode di tutti i servizi,sa leggere e scrivere ed è molto più ricca degli italiani. L'Amministrazione pubblica è corrotta e inefficiente,la burocrazia paralizzante,i funzionari sono corrotti,l'istruzione pubblica è inefficiente e potrei continuare all'infinito. Negli stati avanzati europei e dell'est (anche Albania) la burocrazia è molto efficiente e l'istruzione pubblica e ottima (nei paesi orientali ma comunque nettamente superiore a quella italiana). Nei paesi del nord la corruzione è inesistente. Italia=cattolica paesi del nord=protestanti. Ora perchè questo immenso ed incolmabile gap con gli stati sviluppasti e ricchi? Perchè l'Italia è infinitamente più povera del nord-europa? esprimete le vostre considerazioni a riguardo. 1. Ora.... 'la maggior parte' analfabeta e in miseria mi sembra una ca di discrete dimensioni. Non siamo nè ricchi nè poveri, navighiamo come sempre al limite dell'indispensabile. In Italia fondamentalmente ciascuno si fa li cazzi sua, non abbiamo spirito di gruppo e come squadra facciamo pena, limitandoci a brillare indiscutibilmente come singoli. Siamo un popolo antico e furbo, non ci sbattiamo per niente che non ci renda personalmente qualcosa, e ci approfittiamo sempre di ogni occasione. Questo rende i nostri apparati burocratici delle trappole mortali, ma allo stesso tempo ci dota naturalmente di anticorpi in grado di far scattare la trappola a vuoto rubando il formaggio. La differenza tra l'Italia e la media dei paesi europei si può riassumere nel concetto di 'limite di velocità'. In paesi come la Germania i limiti di velocità su strada sono molto più alti rispetto ai nostri, perchè lì nessuno si sognerebbe mai di superari, quindi sono effettivamente tarati sul livello di pericolosità/velocità di ogni tratto stradale. In Italia invece i limiti sono spesso ridicolmente bassi, perchè tengono conto del fatto che un automobilista in media li supera di 15Km/h. Paese che vai usanza che trovi. 1. più dell'italia. Nonostante il portogallo sia cattolico ci sono un pò di atei e protestanti ma tra portogallo e italia il paragone non si può fare. La grecia è la patria della democrazia e di religione cristiano-ortodossa (influenzata dalla religione cristiano ortodossa). Il paragone con l'italia non si fa. Bulgaria e romania sono abbastanza vicine all'italia ma sono più avanzati della nostra patria. L'italia è molto vicina a serbia,bosnia erzegovina e macedonia con slovenia e croazia il paragone non esiste. Il paragone più vicino è con l'albania,anche se è più laica,tollerante e rispettosa dei diritti umani rispetto all'italia. L’Italia è un Paese socialmente arretrato? Stando alle ultime indicazioni provenienti dall’Europa, Corte di Giustizia UE e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sembra proprio di si. Si fa riferimento ad una arretratezza prettamente statistica, il nostro Paese è il fanalino di coda in materia di politiche sociali, assistenza, inserimento dei soggetti c.d. deboli della società. La questione sui disabili in particolare rappresenta l’emergenza, la Corte di Giustizia UE ha recentemente rilevato come il nostro Paese non abbia previsto alcuna misura utile a garantire l’inserimento occupazionale dei disabili nel mercato produttivo. Un limite figlio della crisi che forse cela anche qualche limite culturale, ma fatto sta che per il momento esso ci comporta una procedura d’infrazione per violazione delle direttive UE. Seconda questione: l‘emergenza carceraria. A riguardo l’analisi diventa più complessa ma il risultato è ugualmente negativo. L’Italia ormai non riesce a garantire un adeguato programma finalizzato al reinserimento del reo nella società, l’obsolescenza atavica in cui versano le nostre carceri al contrario mostrano un’emergenza umanitaria, il condannato è costretto a vivere in condizioni disumane  inconcepibili per un paese industrializzato. Terza ed ultima questione, la tutela e la salvaguardia dei diritti del migrante. Nella giornata di oggi la visita di Papa Francesco a Lampedusa contestualizza tale tematica. Come risponde l’Italia alla c.d. emergenza Nord Africa imperante in questi mesi? Stando ad alcuni giudizi espressi dalla Caritas sembra che anche sotto questo aspetto non possiamo rallegrarci o rasserenarci per quanto svolto dall’Italia. Nel complesso la questione, ogni singola tematica citata, necessitano di un opportuno approfondimento. Il problema della c.d. arretratezza è dovuta anzitutto al processo di unificazione italiana, l’Italia tutto sommato resta sempre un Paese diviso tra nord e sud. Questo è il primo elemento rilevante. Il secondo verte sul processo di industrializzazione del nostro Paese perché l’Italia di fatto rientra nel novero dei Paesi maggiormente industrializzati solo a partire dagli anni sessanta. Tenuto conto di tale premessa, va considerato che i riflessi sulle politiche sociali di tali elementi considerati è di tipo prettamente economico, le politiche sociali si alimentano sulla base della ricchezza di un paese e attraverso misure di redistribuzione del reddito. Naturalmente nel momento in cui l’economia fa fatica a mettere in atto i suoi meccanismi di produzione del reddito tutto ciò si riflette sulle politiche sociali, questa è in sostanza la situazione attuale che ereditiamo dalla crisi del 2008. Detto questo, io stento a dire che l’Italia è un paese arretrato dal punto di vista delle politiche sociali. Stiamo parlando, infatti, di un paese con un altissimo tasso di volontariato, molte persone che si dedicano ai problemi sociali nei modi più diversi, dal lavoro di vicinato alle associazioni di tutela. Altro elemento utile da considerare: l’Italia he un Paese che ha la sua forza, la sua bellezza e la sua cultura nei comuni, più che nelle regioni o nelle province. Il tessuto comunale nel nostro Paese è un qualcosa di straordinario, perché comprende al suo interno tutta una serie di servizi, dalla scuola all’assistenza per gli anziani e i soggetti portatori di handicap. Sono i comuni a gestire direttamente questi servizi fondamentali. Quindi l’Italia è vero che lamenta un’arretratezza culturale e storica su certe tematiche, ma al contempo è un paese con grandissime potenzialità che esprime quotidianamente. L’Italia tutto al più è un Paese differenziato al suo interno, articolato tra punti di eccellenza e punti di arretratezza. A livello nazionale si tocca un punto nevralgico perché tutte le politiche sociali, in particolare quelle focalizzate nel presente servizio, sono state radicalmente modificate con una riforma della Costituzione del 2001. Oggi il nostro sistema dei servizi e delle politiche sociali, che è stato costruito sostanzialmente negli ultimi trent’anni del novecento, viene affidato dalla Costituzione ai comuni, mentre le regioni gestiscono l’assistenza sanitaria. Le politiche sociali in Italia sono continuamente caratterizzate da questo tipo di processo devolutivo verso i comuni, quindi le politiche a livello nazionale a riguardo si sono gradualmente indebolite a seguito di tale riforma. Questo spiega allora una differenziazione tra livello nazionale e locale che per certi aspetti può costituire una debolezza, per altri invece ne rappresenta un punto di forza. Infatti dalla crisi economica in corso se ne uscirà solo rivalutando, ridando energie vitali a realtà nevralgiche quali sono i comuni italiani per il nostro Paese. Certo serviranno le dovute coperture fiscali, ma sul punto il dibattito politico sembra orientato in una direzione opposta. Si pensi ad esempio all’idea di cancellare l’IMU sulla prima casa, una scelta politica sbagliata perché non tiene conto del fatto che tale imposta garantisce sopratutto un servizio al cittadino. Pensiamo piuttosto se la tassa sulla prima casa tornasse nella disponibilità dei comuni, come avveniva con la vecchia ICI, i sindaci in tal caso potrebbero mettere in atto un circuito produttivo e virtuoso che, non dico ti permette di competere con la Germania, perlomeno ti permette di ripartire creando punti di eccellenza. Il problema relativo all’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro dipende dal funzionamento dell’economia. Se l’economia stenta ne risentono anche simili politiche. A riguardo si tenga conto del fatto che le normative sull’inserimento occupazionale dei disabili sono concepite a livello europeo sulla base di analisi comparative tra i paesi membri. Creando una comparazione con la Francia, la Germania e gli altri Paesi europei, però si commettono alcune forzature perché nel valutare l’Italia non si tiene conto di tutta una serie di differenziazioni al suo interno, tra punti di eccellenza e punti di arretratezza di cui parlavo prima. Si mette tutto nello stesso calderone, in questo modo l’analisi non è attendibile perché basata su operazioni deboli. Tali obiezioni provenienti dall’Europa allora si basano su dati infondati, questa non è semplicemente un’opinione nostra. L’esperienza e la conoscenza di simili tematiche dimostra come la situazione italiana sia ben diversa da quella che appare in Europa. Ciò non vuol dire che in Italia la questione dei disabili venga affrontata in maniera ottimale, però l’analisi che si propone deve essere più dettagliata, bisogna valutare punto per punto dove ci sono nello specifico arretratezze da superare, va detto che la normativa sui disabili in Italia prevede una legislazione molto ampia che parte dagli anni sessanta con le procedure di inserimento vincolato nel mondo del lavoro. Poi abbiamo avuto negli anni ottanta e novanta l’avvio di procedure di mediazione affidate ai comuni tra le disabilità e il mondo del lavoro. Un impianto, dunque, efficiente ma che naturalmente la crisi economica in corso ha radicalmente ridimensionato e indebolito. Anzitutto bisogna considerare che il tessuto produttivo italiano è nella gran parte affidato alle piccole e medie imprese, quindi l’inserimento occupazionale del disabile non può che avvenire in tale ambito. Non può avvenire di certo nelle grandi imprese, dove l’inserimento richiede un processo più complesso. Anche in questo caso poi , riprendendo il discorso di prima, se il meccanismo economico tornasse ad investire incentivando il lavoro in tali realtà, le PMI e il reparto manifatturiero in particolare, allora le politiche occupazionale potrebbero essere maggiormente compatibili con le disabilità. Dopodiché il problema dell’inserimento occupazionale del disabile è un terreno molto complicato perché richiede che si faccia un’operazione tale da rendere compatibile le disabilità nello specifico del soggetto da assumere con il gruppo di lavoro entro il quale verrà inserito. Al contempo, il gruppo di lavoro stesso deve essere culturalmente preparato e istruito ad accogliere ed integrare il disabile nel proprio spazio lavorativo, il processo non è scontato ma richiede un lavoro specifico. Si la questione è sempre la stessa, qui torniamo ancora al discorso delle differenziazioni geografiche di cui si parlava prima, che sono fondamentali per capire di cosa si parla. In Italia il vero triangolo produttivo che esprime le sue forze sta tra il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna, e per certi aspetti anche la Toscana. Il meridione invece è tagliato fuori quando in realtà dovrebbe investire maggiormente sulle proprie potenzialità turistiche, sul punto ricordo solo che Romano Prodi vedeva nel meridione la California italiana. Il problema è che Prodi è stato massacrato dalla politica italiana, ma se avessimo dato seguito alle sue intuizioni le cose sarebbero andate diversamente. Sulla questione carceraria l’emergenza diventa ancora più drammatica, giorno dopo giorno. Entro quest’anno la Corte EDU accoglierà oltre 400 ricorsi contro l’Italia se non verranno intraprese misure idonee contro il sovraffollamento, come agire a riguardo? Per alcuni sembra che l’unica soluzione sia l’amnistia, altri invece invocano la costruzioni di nuove carceri.  Il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è strutturale, nel senso che è antico. L’analisi che io faccio a riguardo è la seguente: se ci sono più carcerati ci sono anche più reati. Questo significa che le politiche sociali devono sempre oscillare tra due obiettivi, la sicurezza dei cittadini e naturalmente i diritti di coloro che hanno commesso un reato e scontano la propria pena. A riguardo io condivido molto l’impostazione data dall’attuale Ministro di Grazia e Giustizia, Anna Maria Cancellieri, una persona che stimo tantissimo per il modo di affrontare certe problematiche non in maniera ideologica ma con esperienza e competenza. In sostanza la Cancelliere apre alla possibilità di prevedere misure alternative al carcere per soccombere così al problema relativo al sovraffollamento delle celle. Laddove tali misure sono possibili ed attuabili, una soluzione del genere rappresenta la strada principe da percorrere. In secondo luogo bisogna ridurre il sovraffollamento carcerario tra quei soggetti, imputati in un processo penale, che sono ancora in attesa di giudizio. In pratica è necessario ridurre i tempi della custodia cautelare in carcere. Infine va tenuto conto che gli impianti carcerari in Italia sono obsoleti e strutturalmente inadeguati perché in parte li ereditiamo dai vecchi regimi borbonici o piemontesi. In ogni caso vanno modernizzati e in tal senso allora sono favorevole alla costruzione di nuovi impianti carcerari, in modo tale da rende compatibile la sicurezza dei cittadini e il rispetto dei diritti e della dignità del carcerato. Ovviamente questa sarebbe una soluzione, una tra le tante. Non è la soluzione da anteporre a risoluzione a tutti questi problemi. Considerato che in Italia la popolazione carceraria è in gran parte composta da immigrati e tossicodipendenti, forse sarebbe opportuno rivedere il nostro impianto penalistico e studiare misure alternative al carcere molto più efficaci in termini reinserimento nella società. Lei che pensa? Certo. Sono assolutamente d’accordo con lei, ma si deve tener conto a riguardo che una soluzione di questo tipo richiede misure ingenti in termini di spesa pubblica. Per quanto riguarda ad esempio la reintroduzione del tossicodipendente è necessario incrementare il numero degli educatori professionali in particolare per rendere il reinserimento più efficace e produttivo. Poi si discute anche sulla depenalizzazione del consumo delle droghe leggere, un modo che certamente riduce il problema del sovraffollamento carcerario ma che non tiene conto di implicazioni più importanti. A simili politiche sono del tutto contrario, in quanto non si tiene conto della stretta attinenza tra il consumo di droghe leggere e quelle c.d. pesanti, le due cose non sono distinguibili ma concernono lo stesso problema. Sul fronte immigrazione il 13 marzo scorso è terminato lo stato d’emergenza nord Africa. Nel tracciare un bilancio conclusivo a riguardo varie associazioni, in particolare la Caritas, denunciano gravi irregolarità e incombenze dello Stato italiano nella gestione dei fondi destinati all’accoglimento, alloggio e vitto per gli esuli libici e tunisini. Lei che giudizio antepone  A riguardo il punto nodale da considerare è il seguente: le politiche migratorie non possono essere affrontate in solitudine dall’Italia. La questione è europea, a riguardo dovrebbe piuttosto parlarsi di arretratezza dell’Europea e non del singolo paese membro. La Caritas poi è per cultura e tradizione è impegnata in prima linea su tali problematiche, quindi è evidente che su tali temi esprime certi giudizi che richiedono però un’analisi complessiva Detto questo va riconosciuto il valore della Caritas, come di tante altre organizzazioni impegnate sul sociale, esempi di eccellenza nel tessuto delle politiche sociali in Italia. Nel complesso però l’emergenza migratoria che con la crisi egiziana assumerà in questi mesi una portata maggiore, ripeto, non può essere addossata sulla piccola Lampedusa, sulla Sicilia o la stessa Italia. La questione è complessa e comprende l’intero continente, la debolezza è dell’Europa e non dell’Italia.

  1. italia arretrata socialmente,politicamente e culturalmente

    Se rapportato agli altri stati europei l'italia è uno stato molto arretrato.
    Nei paesi del nord (svezia,norvegia,danimarca,finlandia,islanda,germania) e negli altri stati avanzati (spagna,francia,portogallo,grecia) le condizioni di vita,il reddito medio e l'amministrazione sono molto più alte dell'Italia.
    In Italia la maggior parte della popolazione vive in miseria ed è analfabeta.
    Negli stati avanzati la popolazione gode di tutti i servizi,sa leggere e scrivere ed è molto più ricca degli italiani.
    L'Amministrazione pubblica è corrotta e inefficiente,la burocrazia paralizzante,i funzionari sono corrotti,l'istruzione pubblica è inefficiente e potrei continuare all'infinito.
    Negli stati avanzati europei e dell'est (anche Albania) la burocrazia è molto efficiente e l'istruzione pubblica e ottima (nei paesi orientali
    ma comunque nettamente superiore a quella italiana).
    Nei paesi del nord la corruzione è inesistente.
    Italia=cattolica
    paesi del nord=protestanti.

    Ora perchè questo immenso ed incolmabile gap con gli stati sviluppasti e ricchi?
    Perchè l'Italia è infinitamente più povera del nord-europa?

    esprimete le vostre considerazioni a riguardo.


    Ora.... 'la maggior parte' analfabeta e in miseria mi sembra una ca di discrete dimensioni.

    Non siamo nè ricchi nè poveri, navighiamo come sempre al limite dell'indispensabile. In Italia fondamentalmente ciascuno si fa li cazzi sua, non abbiamo spirito di gruppo e come squadra facciamo pena, limitandoci a brillare indiscutibilmente come singoli.
    Siamo un popolo antico e furbo, non ci sbattiamo per niente che non ci renda personalmente qualcosa, e ci approfittiamo sempre di ogni occasione. Questo rende i nostri apparati burocratici delle trappole mortali, ma allo stesso tempo ci dota naturalmente di anticorpi in grado di far scattare la trappola a vuoto rubando il formaggio.

    La differenza tra l'Italia e la media dei paesi europei si può riassumere nel concetto di 'limite di velocità'.
    In paesi come la Germania i limiti di velocità su strada sono molto più alti rispetto ai nostri, perchè lì nessuno si sognerebbe mai di superari, quindi sono effettivamente tarati sul livello di pericolosità/velocità di ogni tratto stradale. In Italia invece i limiti sono spesso ridicolmente bassi, perchè tengono conto del fatto che un automobilista in media li supera di 15Km/h.
    Paese che vai usanza che trovi.


    più dell'italia.
    Nonostante il portogallo sia cattolico ci sono un pò di atei e protestanti ma tra portogallo e italia il paragone non si può fare.

    La grecia è la patria della democrazia e di religione cristiano-ortodossa (influenzata dalla religione cristiano ortodossa).
    Il paragone con l'italia non si fa.

    Bulgaria e romania sono abbastanza vicine all'italia ma sono più avanzati della nostra patria.
    L'italia è molto vicina a serbia,bosnia erzegovina e macedonia con slovenia e croazia il paragone non esiste.
    Il paragone più vicino è con l'albania,anche se è più laica,tollerante e rispettosa dei diritti umani rispetto all'italia.
L’Italia è un Paese socialmente arretrato? Stando alle ultime indicazioni provenienti dall’Europa, Corte di Giustizia UE e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sembra proprio di si. Si fa riferimento ad una arretratezza prettamente statistica, il nostro Paese è il fanalino di coda in materia di politiche sociali, assistenza, inserimento dei soggetti c.d. deboli della società. La questione sui disabili in particolare rappresenta l’emergenza, la Corte di Giustizia UE ha recentemente rilevato come il nostro Paese non abbia previsto alcuna misura utile a garantire l’inserimento occupazionale dei disabili nel mercato produttivo. Un limite figlio della crisi che forse cela anche qualche limite culturale, ma fatto sta che per il momento esso ci comporta una procedura d’infrazione per violazione delle direttive UE.
Seconda questione: l‘emergenza carceraria. A riguardo l’analisi diventa più complessa ma il risultato è ugualmente negativo. L’Italia ormai non riesce a garantire un adeguato programma finalizzato al reinserimento del reo nella società, l’obsolescenza atavica in cui versano le nostre carceri al contrario mostrano un’emergenza umanitaria, il condannato è costretto a vivere in condizioni disumane  inconcepibili per un paese industrializzato. Terza ed ultima questione, la tutela e la salvaguardia dei diritti del migrante. Nella giornata di oggi la visita di Papa Francesco a Lampedusa contestualizza tale tematica. Come risponde l’Italia alla c.d. emergenza Nord Africa imperante in questi mesi? Stando ad alcuni giudizi espressi dalla Caritas sembra che anche sotto questo aspetto non possiamo rallegrarci o rasserenarci per quanto svolto dall’Italia.
Nel complesso la questione, ogni singola tematica citata, necessitano di un opportuno approfondimento.



Il problema della c.d. arretratezza è dovuta anzitutto al processo di unificazione italiana, l’Italia tutto sommato resta sempre un Paese diviso tra nord e sud. Questo è il primo elemento rilevante. Il secondo verte sul processo di industrializzazione del nostro Paese perché l’Italia di fatto rientra nel novero dei Paesi maggiormente industrializzati solo a partire dagli anni sessanta. Tenuto conto di tale premessa, va considerato che i riflessi sulle politiche sociali di tali elementi considerati è di tipo prettamente economico, le politiche sociali si alimentano sulla base della ricchezza di un paese e attraverso misure di redistribuzione del reddito. Naturalmente nel momento in cui l’economia fa fatica a mettere in atto i suoi meccanismi di produzione del reddito tutto ciò si riflette sulle politiche sociali, questa è in sostanza la situazione attuale che ereditiamo dalla crisi del 2008. Detto questo, io stento a dire che l’Italia è un paese arretrato dal punto di vista delle politiche sociali. Stiamo parlando, infatti, di un paese con un altissimo tasso di volontariato, molte persone che si dedicano ai problemi sociali nei modi più diversi, dal lavoro di vicinato alle associazioni di tutela. Altro elemento utile da considerare: l’Italia he un Paese che ha la sua forza, la sua bellezza e la sua cultura nei comuni, più che nelle regioni o nelle province. Il tessuto comunale nel nostro Paese è un qualcosa di straordinario, perché comprende al suo interno tutta una serie di servizi, dalla scuola all’assistenza per gli anziani e i soggetti portatori di handicap. Sono i comuni a gestire direttamente questi servizi fondamentali. Quindi l’Italia è vero che lamenta un’arretratezza culturale e storica su certe tematiche, ma al contempo è un paese con grandissime potenzialità che esprime quotidianamente. L’Italia tutto al più è un Paese differenziato al suo interno, articolato tra punti di eccellenza e punti di arretratezza.



A livello nazionale si tocca un punto nevralgico perché tutte le politiche sociali, in particolare quelle focalizzate nel presente servizio, sono state radicalmente modificate con una riforma della Costituzione del 2001. Oggi il nostro sistema dei servizi e delle politiche sociali, che è stato costruito sostanzialmente negli ultimi trent’anni del novecento, viene affidato dalla Costituzione ai comuni, mentre le regioni gestiscono l’assistenza sanitaria. Le politiche sociali in Italia sono continuamente caratterizzate da questo tipo di processo devolutivo verso i comuni, quindi le politiche a livello nazionale a riguardo si sono gradualmente indebolite a seguito di tale riforma. Questo spiega allora una differenziazione tra livello nazionale e locale che per certi aspetti può costituire una debolezza, per altri invece ne rappresenta un punto di forza. Infatti dalla crisi economica in corso se ne uscirà solo rivalutando, ridando energie vitali a realtà nevralgiche quali sono i comuni italiani per il nostro Paese. Certo serviranno le dovute coperture fiscali, ma sul punto il dibattito politico sembra orientato in una direzione opposta. Si pensi ad esempio all’idea di cancellare l’IMU sulla prima casa, una scelta politica sbagliata perché non tiene conto del fatto che tale imposta garantisce sopratutto un servizio al cittadino. Pensiamo piuttosto se la tassa sulla prima casa tornasse nella disponibilità dei comuni, come avveniva con la vecchia ICI, i sindaci in tal caso potrebbero mettere in atto un circuito produttivo e virtuoso che, non dico ti permette di competere con la Germania, perlomeno ti permette di ripartire creando punti di eccellenza.


Il problema relativo all’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro dipende dal funzionamento dell’economia. Se l’economia stenta ne risentono anche simili politiche. A riguardo si tenga conto del fatto che le normative sull’inserimento occupazionale dei disabili sono concepite a livello europeo sulla base di analisi comparative tra i paesi membri. Creando una comparazione con la Francia, la Germania e gli altri Paesi europei, però si commettono alcune forzature perché nel valutare l’Italia non si tiene conto di tutta una serie di differenziazioni al suo interno, tra punti di eccellenza e punti di arretratezza di cui parlavo prima. Si mette tutto nello stesso calderone, in questo modo l’analisi non è attendibile perché basata su operazioni deboli. Tali obiezioni provenienti dall’Europa allora si basano su dati infondati, questa non è semplicemente un’opinione nostra. L’esperienza e la conoscenza di simili tematiche dimostra come la situazione italiana sia ben diversa da quella che appare in Europa. Ciò non vuol dire che in Italia la questione dei disabili venga affrontata in maniera ottimale, però l’analisi che si propone deve essere più dettagliata, bisogna valutare punto per punto dove ci sono nello specifico arretratezze da superare, va detto che la normativa sui disabili in Italia prevede una legislazione molto ampia che parte dagli anni sessanta con le procedure di inserimento vincolato nel mondo del lavoro. Poi abbiamo avuto negli anni ottanta e novanta l’avvio di procedure di mediazione affidate ai comuni tra le disabilità e il mondo del lavoro. Un impianto, dunque, efficiente ma che naturalmente la crisi economica in corso ha radicalmente ridimensionato e indebolito.


Anzitutto bisogna considerare che il tessuto produttivo italiano è nella gran parte affidato alle piccole e medie imprese, quindi l’inserimento occupazionale del disabile non può che avvenire in tale ambito. Non può avvenire di certo nelle grandi imprese, dove l’inserimento richiede un processo più complesso. Anche in questo caso poi , riprendendo il discorso di prima, se il meccanismo economico tornasse ad investire incentivando il lavoro in tali realtà, le PMI e il reparto manifatturiero in particolare, allora le politiche occupazionale potrebbero essere maggiormente compatibili con le disabilità. Dopodiché il problema dell’inserimento occupazionale del disabile è un terreno molto complicato perché richiede che si faccia un’operazione tale da rendere compatibile le disabilità nello specifico del soggetto da assumere con il gruppo di lavoro entro il quale verrà inserito. Al contempo, il gruppo di lavoro stesso deve essere culturalmente preparato e istruito ad accogliere ed integrare il disabile nel proprio spazio lavorativo, il processo non è scontato ma richiede un lavoro specifico.


Si la questione è sempre la stessa, qui torniamo ancora al discorso delle differenziazioni geografiche di cui si parlava prima, che sono fondamentali per capire di cosa si parla. In Italia il vero triangolo produttivo che esprime le sue forze sta tra il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna, e per certi aspetti anche la Toscana. Il meridione invece è tagliato fuori quando in realtà dovrebbe investire maggiormente sulle proprie potenzialità turistiche, sul punto ricordo solo che Romano Prodi vedeva nel meridione la California italiana. Il problema è che Prodi è stato massacrato dalla politica italiana, ma se avessimo dato seguito alle sue intuizioni le cose sarebbero andate diversamente.
Sulla questione carceraria l’emergenza diventa ancora più drammatica, giorno dopo giorno. Entro quest’anno la Corte EDU accoglierà oltre 400 ricorsi contro l’Italia se non verranno intraprese misure idonee contro il sovraffollamento, come agire a riguardo? Per alcuni sembra che l’unica soluzione sia l’amnistia, altri invece invocano la costruzioni di nuove carceri. 
Il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è strutturale, nel senso che è antico. L’analisi che io faccio a riguardo è la seguente: se ci sono più carcerati ci sono anche più reati. Questo significa che le politiche sociali devono sempre oscillare tra due obiettivi, la sicurezza dei cittadini e naturalmente i diritti di coloro che hanno commesso un reato e scontano la propria pena. A riguardo io condivido molto l’impostazione data dall’attuale Ministro di Grazia e Giustizia, Anna Maria Cancellieri, una persona che stimo tantissimo per il modo di affrontare certe problematiche non in maniera ideologica ma con esperienza e competenza. In sostanza la Cancelliere apre alla possibilità di prevedere misure alternative al carcere per soccombere così al problema relativo al sovraffollamento delle celle. Laddove tali misure sono possibili ed attuabili, una soluzione del genere rappresenta la strada principe da percorrere. In secondo luogo bisogna ridurre il sovraffollamento carcerario tra quei soggetti, imputati in un processo penale, che sono ancora in attesa di giudizio. In pratica è necessario ridurre i tempi della custodia cautelare in carcere. Infine va tenuto conto che gli impianti carcerari in Italia sono obsoleti e strutturalmente inadeguati perché in parte li ereditiamo dai vecchi regimi borbonici o piemontesi. In ogni caso vanno modernizzati e in tal senso allora sono favorevole alla costruzione di nuovi impianti carcerari, in modo tale da rende compatibile la sicurezza dei cittadini e il rispetto dei diritti e della dignità del carcerato. Ovviamente questa sarebbe una soluzione, una tra le tante. Non è la soluzione da anteporre a risoluzione a tutti questi problemi.
Considerato che in Italia la popolazione carceraria è in gran parte composta da immigrati e tossicodipendenti, forse sarebbe opportuno rivedere il nostro impianto penalistico e studiare misure alternative al carcere molto più efficaci in termini reinserimento nella società. Lei che pensa?
Certo. Sono assolutamente d’accordo con lei, ma si deve tener conto a riguardo che una soluzione di questo tipo richiede misure ingenti in termini di spesa pubblica. Per quanto riguarda ad esempio la reintroduzione del tossicodipendente è necessario incrementare il numero degli educatori professionali in particolare per rendere il reinserimento più efficace e produttivo. Poi si discute anche sulla depenalizzazione del consumo delle droghe leggere, un modo che certamente riduce il problema del sovraffollamento carcerario ma che non tiene conto di implicazioni più importanti. A simili politiche sono del tutto contrario, in quanto non si tiene conto della stretta attinenza tra il consumo di droghe leggere e quelle c.d. pesanti, le due cose non sono distinguibili ma concernono lo stesso problema.
Sul fronte immigrazione il 13 marzo scorso è terminato lo stato d’emergenza nord Africa. Nel tracciare un bilancio conclusivo a riguardo varie associazioni, in particolare la Caritas, denunciano gravi irregolarità e incombenze dello Stato italiano nella gestione dei fondi destinati all’accoglimento, alloggio e vitto per gli esuli libici e tunisini. Lei che giudizio antepone 
A riguardo il punto nodale da considerare è il seguente: le politiche migratorie non possono essere affrontate in solitudine dall’Italia. La questione è europea, a riguardo dovrebbe piuttosto parlarsi di arretratezza dell’Europea e non del singolo paese membro. La Caritas poi è per cultura e tradizione è impegnata in prima linea su tali problematiche, quindi è evidente che su tali temi esprime certi giudizi che richiedono però un’analisi complessiva Detto questo va riconosciuto il valore della Caritas, come di tante altre organizzazioni impegnate sul sociale, esempi di eccellenza nel tessuto delle politiche sociali in Italia. Nel complesso però l’emergenza migratoria che con la crisi egiziana assumerà in questi mesi una portata maggiore, ripeto, non può essere addossata sulla piccola Lampedusa, sulla Sicilia o la stessa Italia. La questione è complessa e comprende l’intero continente, la debolezza è dell’Europa e non dell’Italia.



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