giovedì 5 dicembre 2019

Mantenimento basi militari straniere sul nostro territorio

 
Aviano_F-16.JPG
In Italia - secondo le stime più recenti - sarebbero 59 le basi militari americane. Il Defense Manpower Data Center stima che, alla data del 31 luglio 2013, ospitavano 11.963 soldati Usa e 5.631 civili in servizio. Il nostro Paese oggi è il quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d'installazioni e il secondo in Europa (dopo la Germania), dove siamo l'unico caso in cui il personale delle stesse basi è aumentato negli ultimi anni. Ma quanto ci costano? Lo abbiamo chiesto in un'interrogazione rivolta al ministro Pinotti in commissione Difesa.
Il dubbio ci è venuto dopo aver letto qualche giorno fa lo studio "Overseas Basing of U.S. Military Forces - An Assessment of Relative Costs and Strategic Benefits", realizzato nel 2013 dalla RAND Corporation per conto del Dipartimento della difesa statunitense. Un'analisi che confronta, tra l'altro, i contributi diretti e indiretti di alcuni Stati a fronte dei costi di stazionamento delle forze armate Usa. Ma se per Germania, Corea del Sud e Giappone la ricerca fornisce dati quantitativi piuttosto precisi e analitici (ad esempio il contributo tedesco agli Stati Uniti è stimato in 830,6 milioni di dollari l'anno), per l'Italia non viene data alcuna informazione in termini monetari per mancanza di dati aggiornati.
Le ultime informazioni relative ai costi di mantenimento delle basi americane per il nostro Paese si riferiscono infatti all'anno 2002 e sono riportate nel documento del Dipartimento della Difesa americano "Allied Contributions to the Common Defense". Allora il contributo italiano era pari a 366,6 milioni di dollari, equivalente al 41 per cento del costo sostenuto dagli States stessi per le basi italiane, percentuale ben superiore al 33 per cento di contributo tedesco e al 27 per cento di quello inglese.
Al governo abbiamo dunque chiesto quali siano le tipologie di contributi diretti e indiretti dell'Italia allo stazionamento delle forze armate statunitensi presenti sul nostro territorio e in quali capitoli di spesa del bilancio dello Stato siano inseriti. Ma, soprattutto: in virtù di quali disposizioni o accordi questi contributi o facilitazioni vengano concessi.
La risposta ovviamente è stata vaga e approssimativa, ma qualche dubbio lo solleva. In sostanza le aree territoriali per le basi Usa sono offerte gratuitamente dall'Italia nel quadro degli accordi Nato; di tasca nostra gli garantiamo la sicurezza esterna alle installazioni, tutto il resto - ha spiegato il ministro - non è riconducibile alla dizione "contributo italiani agli Usa" perché in realtà i nostri soldi sono diretti alla Nato, che a sua volta li investe nelle sue basi di competenza.
Il punto è che il potere all'interno della Nato si divide proporzionalmente alla quantità dei contributi versati da ogni singolo Paese. L'Italia per fare un esempio paga circa l'8,5% del bilancio; gli Usa, da soli, il 22%. Potete immaginare dunque come le casse dell'Alleanza siano poi ridistribuite. Non è un caso che anche Barack Obama durante la sua visita a Roma, incontrando il premier Matteo Renzi, abbia manifestato le sue preoccupazioni a proposito dei tagli immaginari annunciati dall'esecutivo.
Il MoVimento 5 Stelle si domanda quale sia il fondamento giuridico delle basi Usa e se questo sia conforme all'ordinamento italiano ma, soprattutto, se la presenza di armi nucleari o altri tipi di armi nelle suddette basi contravvenga agli obblighi internazionali gravanti sull'Italia. Al riguardo è di preminente importanza l'influenza dell'articolo 11 della Costituzione.
Sull'argomento continueremo a batterci fino a quando le istituzioni non comprenderanno che le tasse pagate dai cittadini italiani non possono essere investite nel mantenimento di un'organizzazione come la Nato, ormai concettualmente superata per fini e modi o, ad esempio, nel pagamento degli inutili F35 (un altro favore agli Usa). Dobbiamo trovare una nostra dimensione come Italia e abbandonare una rincorsa agli armamenti che più somiglia a un'emulazione dei cosiddetti Paesi forti.

Nessun commento:

Posta un commento

artecultura@hotmail.it