La terra continua a tremare, eruzioni vulcaniche e megatsunami sconquasseranno il mondo
“Ai terremoti non v’è rimedio alcuno. Se il cielo ci minaccia con le folgori, pure si trova scampo nelle caverne. Ma contro i terremoti non vale la fuga, non giovano nascondigli”(Francesco Petrarca, Secretum, Dialogo 91, terremoto A.D. 1349). A 43 mesi dal catastrofico terremoto di L’Aquila del 6 Aprile 2009 (ore 3:32 AM; Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti) l’unica lezione finora impartita da quella drammatica tragedia che ha distrutto la Capitale d’Abruzzo non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali. La politica italiana dorme sogni tranquilli in attesa dell’irreparabile mentre la Scienza italiana, sotto i riflettori della comunità scientifica internazionale e di “Nature” (http://blogs.nature.com/news/2012/09/porsecution-asks-for-four-year-sentence-in-italian-seismology-trial.html) cerca di lavorare seriamente in un Belpaese dove l’Hiroshima culturale rischia di travolgere tutti. Altro che scaricamenti di forze tettoniche! Gli studi scientifici seri hanno dimostrato inequivocabilmente che da decenni L’Aquila era condannata. Anche alla luce dei dati acquisiti negli ultimi anni dal famoso esperimento UnderSeis sotto il Gran Sasso (Lngs/Infn). Era solo questione di tempo.Ma la Politica cosa ha fatto per salvare 309 vite umane, salvo poi scaricare sulla Scienza e sugli Scienziati le proprie responsabilità che la Storia saprà giudicare? Cosa hanno fatto i mass-media che avrebbero dovuto controllare la Politica e studiare le ricerche scientifiche per conoscere la verità, divulgandole correttamente e rigorosamente ai cittadini, informandoli della pericolosità delle faglie sulle quali abitano da secoli? Che la Giustizia, nella quale confidiamo, faccia piena luce sulla Verità dei fatti perché simili tragedie non si ripetano mai più. D’altra parte l’istruttoria, la requisitoria e l’analisi delle ultime sequenze sismiche italiane e mondiali sono lapalissiane e indiscutibili. I disastri naturali peggiori devono ancora verificarsi. Sono tutti nel futuro. La terra sotto l’Italia e nel mondo continua a tremare, migliaia di sismi dimostrano che il pianeta vivo è prossimo a sconvolgimenti titanici: terremoti, eruzioni vulcaniche e megatsunami a catena nel prossimo futuro sconquasseranno il mondo, senza contare gli effetti degli impatti cosmici di asteroidi e comete. La Protezione Civile è pronta? L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sta seguendo l’evoluzione di tutte le sequenze sismiche e vulcaniche in atto in Italia e nel mondo in collaborazione con l’USGS americana e le più grandi istituzioni scientifiche del mondo. L’Ingv ha avviato una serie di attività e di progetti per comprendere meglio quanto sta accadendo per contribuire alla diffusione delle informazioni ed alla riduzione del rischio sismico e vulcanico. Il 7 Settembre 2012 dalle ore 9.15 italiane le strumentazioni dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno registrato uno sciame di eventi sismici di piccola entità localizzati nell’area flegrea sede di una delle più potenti e devastanti camere magmatiche, connessa a quella del Vesuvio, d’Europa e del Mediterraneo. I maggiori eventi sono stati rilevati alle 9.34 e alle 10.25, con magnitudo rispettivamente 1.6 e 1.5, leggermente avvertiti dalla popolazione.
Alle 10.30 risultavano registrati circa 113 eventi. La Sala Situazione Italia del Dipartimento della Protezione Civile continua a seguire l’evolversi delle situazioni in contatto con l’Ingv e le locali strutture di protezione civile. L’area intorno a Benevento in cui è avvenuto il terremoto di magnitudo 4.1 nella notte del 27 Settembre 2012, è classificata ad alta pericolosità sismica. Questo terremoto è uno dei più forti avvenuti in quest’area negli ultimi trent’anni. Nel passato più remoto la zona è stata teatro di terremoti molto più forti e tra questi si possono ricordare gli eventi del 1688 di magnitudo 7.0 (Sannio), del 1702 di magnitudo 6.5 (Sannio-Beneventano) e del 1732 di magnitudo 6.6 (Irpinia), tutti raccolti nel Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani e rappresentati nella mappa dei terremoti storici. Quest’area in passato ha subito danni anche per terremoti più forti, come quello del 1456 di magnitudo 7.2 di cui, però, secondo gli scienziati Ingv, non è nota la localizzazione con precisione. Più recentemente, ancora vivi nella memoria di molti, in quest’area sono avvenuti i terremoti del 1930 (Irpinia, magnitudo 6.6), 1962 (Irpinia, magnitudo 6.1), 1980 (Irpinia-Basilicata, magnitudo 6.9). Questi sismi hanno prodotto effetti di danneggiamento a Benevento fino al grado IX della scala Mercalli come evidenziato dalla storia sismica della città dall’Anno Domini 1000 in poi. L’area ove è avvenuto il terremoto del 27 settembre 2012, è caratterizzata da una notevole attività sismica, non solo per i forti terremoti prima descritti che possono provocare danni, ma anche per i sismi di entità inferiore. La storia sismica di Benevento racconta che la città ha subito distruzioni molto frequentemente negli ultimi 500 anni, anche per terremoti di magnitudo modesta. Tutte le conoscenze scientifiche al momento disponibili sono riassunte nella Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale dalla quale si rileva che l’area è ad alta pericolosità. Un terremoto di magnitudo 4.5 è avvenuto alle ore 16:41:28 del 3 Ottobre 2012, alla profondità di 32.2 km. Il terremoto è stato localizzato dalla Rete Sismica Nazionale dell’Ingv nel distretto sismico della Valle del Trebbia. È stato avvertito in una vasta area dell’Emilia Romagna, in Lombardia, Veneto, Liguria e Toscana. Un terremoto di magnitudo (Ml) 3.9 è avvenuto alle ore 11:20:43 dello stesso giorno. È stato localizzato nel distretto sismico delle Alpi Cozie. Nell’ultimo mese la sequenza in atto nell’area del Pollino ha avuto un’intensa attività con oltre 400 eventi sismici dei quali sei con magnitudo maggiore o uguale a 3. L’evento di magnitudo più elevata è stato registrato il 14 Settembre alle ore 5:50 con magnitudo locale 3.7 mentre il 1° Ottobre si è verificato alle 22.28 un evento di magnitude locale 3.6. Dal 2010 l’area del Pollino è caratterizzata da periodi di attività sismica frequente intervallati da periodi di relativa calma. Si è verificata un’intensa attività sismica ad Aprile 2010, a Ottobre 2010 e tra Novembre 2011 e Febbraio 2012. Dopo questo massimo di attività, la sismicità dell’area si è attestata su livelli piuttosto modesti, con pochi terremoti al giorno.
Alla fine di Maggio 2012 l’attività è ripresa a seguito del terremoto di magnitudo Richter locale 4.3 avvenuto il 28 Maggio 2012 alle ore 3:06:27. L’ultimo evento di magnitudo maggiore di 3.0 è il terremoto di ML 3.7 avvenuto il 19 Agosto scorso alle ore 19:45:08. Dal 1° Gennaio 2010 ad oggi si sono verificati oltre 2190 eventi di cui oltre 2000 di magnitudo minore di 2.0; 171 di magnitudo tra 2.0 e 3.0; 6 di magnitudo tra 3.0 e 4.0 ed uno di magnitudo pari a 4.3, avvenuto il 28 Maggio. L’area del Pollino, che si trova tra la Basilicata e la Calabria, è stata interessata negli ultimi due anni da periodi di attività frequente. Dal 1° al 4 Ottobre 2012 si sono verificati 122 eventi di cui 105 di magnitudo minore di 2.0; 14 di magnitudo tra 2.0 e 3.0; tre di magnitudo tra 3.0 e 4.0. L’evento più forte di questi ultimi giorni è il terremoto di magnitude locale 3.6 avvenuto il 1° Ottobre alle ore 22:28. L’area interessata da tale attività si estende a sud dell’Appennino meridionale e comprende la parte montuosa del Pollino, tra le province di Potenza e Cosenza, tra due zone ad alta sismicità caratterizzate da forti terremoti storici. A nord, il terremoto più rilevante fu quello del 1857 (Mw=7.0) che colpì la Val D’Agri. A sud i terremoti più importanti, con magnitudo superiore a 6.5, sono localizzati nella Sila. Per quest’area il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani riporta eventi con magnitudo momento inferiore a 6.0: il terremoto del 1693 di magnitudo pari a 5.7, quello del 1708 con magnitudo stimata 5.5 e l’evento del 1998 di magnitudo pari a 5.6. Questi sismi non hanno prodotto intensità macrosismiche superiori al grado VIII-IX della Scala Mercalli, come evidenziato dalle storie sismiche di Mormanno, Viggianello e Castrovillari. Tutte le conoscenze scientifiche al momento disponibili sono riassunte nella Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale dalla quale si rileva che l’area in oggetto è ad alta pericolosità. Il fatto che la sismicità storica sia relativamente inferiore a quella di altre zone con la medesima pericolosità sismica costituisce una contraddizione soltanto apparente secondo gli scienziati. La pericolosità sismica viene determinata considerando un numero elevato di fattori. Quello storico è soltanto uno fra i tanti. La mappa di pericolosità sismica che individua le aree dove ci si possono attendere scuotimenti sismici di diversa forza, in qualsiasi momento e quindi anche in assenza di sequenze sismiche, è tuttora lo strumento più efficace che la comunità scientifica mette a disposizione per le politiche di prevenzione. La prevenzione, che si realizza principalmente attraverso la riduzione della vulnerabilità sismica delle costruzioni, ovvero il rafforzamento delle costruzioni meno resistenti al sisma, resta la migliore difesa dai terremoti e l’unico modo per ridurne le conseguenze immediate. Che tipo di prevenzione sismica si sta facendo nei Comuni italiani? L’Ingv, in collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, ha potenziato la rete sismica di monitoraggio nel Pollino per migliorare le localizzazioni anche dei piccoli terremoti. È stata installata una nuova stazione permanente della Rete Sismica Nazionale a Cetraro (CS) e tre stazioni temporanee collegate in tempo reale alla Sala di Monitoraggio dell’Ingv di Roma. Alla fine di Maggio 2012, a seguito del terremoto di magnitudo locale 4.3, queste stazioni temporanee erano state integrate con altre due tuttora funzionanti.
Queste centraline temporanee, insieme a quelle permanenti della Rete Sismica Nazionale, sono sufficienti per localizzare terremoti anche estremamente piccoli, cioè di magnitudo inferiore a 1.0, pertanto le altre tre temporanee sono state disattivate a fine Agosto. Per avere un quadro completo della situazione, però, non basta registrare i terremoti grandi e piccoli: è necessario conoscere anche il processo di deformazione della superficie terrestre. Per questo motivo, nel corso degli ultimi due anni, è stata resa più efficiente la Rete Geodetica (Ring) con l’installazione di nuove stazioni Gps che misurano la deformazione continua della superficie terrestre. I dati registrati in questi ultimi due anni e, in particolare, quelli ottenuti anche grazie all’implementazione della rete di monitoraggio sono stati analizzati con procedure di localizzazione più raffinate e complesse di quelle che vengono utilizzate normalmente per il servizio di sorveglianza. Alcuni ipocentri dei terremoti italiani sono ottenuti dai sismologi con i dati analizzati nella Sala di Monitoraggio dell’Ingv a partire dai tempi di arrivo delle onde sismiche. Più è distante l’ipocentro di un terremoto più tempo ci metterà ad arrivare alla stazione sismica dove viene registrato. Gli ipocentri, determinati con ottima precisione, risultano essere localizzati principalmente tra 2 e 10 km di profondità e formano due raggruppamenti distinti di sismicità. Quello occidentale, dov’è avvenuta la maggior parte delle scosse, delinea una faglia in direzione Nord-Nord-Ovest/Sud-Sud-Est che si immerge verso il mar Tirreno. Il raggruppamento di sismicità orientale non identifica chiaramente una faglia né sulla mappa né in sezione trasversale. Malgrado ciò l’evento di magnitudo locale 4.3, il più forte della sequenza calabra, si trova proprio in questo gruppo orientale. Il suo meccanismo focale, che fornisce indicazioni precise su come è orientata la frattura e come si è mossa, individual, secondo i ricercatori Ingv, una faglia compatibile con quella presente più a ovest. Il meccanismo focale del terremoto del 28 Maggio 2012, di magnitudo 4.3, indica che la crosta terrestre si è estesa in direzione Nord-Est/Sud Ovest, perpendicolarmente alla catena montuosa. Dal punto di vista storico, grazie al Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, gli scienziati sanno che il Pollino e l’intera zona di confine tra Calabria e Basilicata nel passato non hanno avuto terremoti distruttivi con magnitudo momento superiore a 6.0. Per quest’area ci sono notizie relative a terremoti di energia moderata. Di contro, studi paleosismologici, che studiano i terremoti molto antichi, hanno trovato prove significative dell’esistenza di importanti faglie sismogenetiche nella zona e in tutta la penisola italiana, compresi i fondali marini italiani e del Mediterraneo. E “sismogenetiche” vuol dire che possono generare terremoti anche distruttivi.
La sismicità più recente nella regione è caratterizzata dalla presenza di sequenze sismiche. Una delle più significative negli ultimi decenni è quella della Valle del Mercure, caratterizzata dall’evento sismico di magnitudo momento 5.6 avvenuto il 9 Settembre 1998. Ma per la Scienza tutto ciò non basta. L’Ingv ha pianificato ulteriori attività e progetti di ricerca per il miglioramento delle conoscenze del potenziale sismogenetico del confine Calabro-Lucano anche in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile nazionale (DPC) e le università italiane ed estere. La zona, proprio per la sua peculiarità di trovarsi al passaggio tra due aree fortemente sismiche come l’Appennino meridionale e la Calabria, è stata proposta al DPC come area di studio dei progetti da sviluppare nel 2012-2013 e negli anni futuri. I progetti, già avviati da alcuni mesi, cercheranno di fornire criteri migliori per l’identificazione delle faglie attive nella regione attraverso studi sismologici, geodetici e geochimici. I progetti in corso prevedono lo studio del campo di stress attivo attraverso l’analisi di dati di pozzo e meccanismi focali. La conoscenza dettagliata dell’orientazione e grandezza degli sforzi esistenti nella crosta terrestre permette di valutare quali faglie o strutture attive sono più predisposte a muoversi e quali sono le orientazioni di eventuali nuove faglie, rappresentando un contributo fondamentale nella definizione della pericolosità sismica dell’area. Lo studio della deformazione della superficie terrestre e del potenziale sismico delle faglie presenti nell’area dall’analisi dei dati geodetici grazie alla rete Gps installata dall’Ingv che ha stazioni operanti nell’area già da due anni. La caratterizzazione delle faglie attive e degli effetti cosismici di terremoti passati attraverso: il riconoscimento dell’espressione in superficie a scala locale e regionale dei lineamenti attivi attraverso indagini geomorfologiche; la definizione dei parametri geometrici delle faglie e della scansione temporale dell’attività a medio e lungo termine dando un vincolo cronologico ai “paleo-terremoti” con datazioni assolute dei suoli interessati da fagliazione. L’analisi della storia sismica con approccio archeo-sismologico per individuare effetti di intenso scuotimento nell’area. Lo studio delle caratteristiche della propagazione delle onde sismiche nella crosta superiore attraverso analisi del rumore sismico, dei rapporti di velocità tra le onde di volume e di taglio e dell’anisotropia sismica per caratterizzare lo stato di fratturazione della crosta e la presenza dei fluidi che possono essere importanti nella sismogenesi. Queste analisi sono possibili grazie al miglioramento della rete sismica di monitoraggio sviluppata dall’Ingv. La misura della deformazione del terreno con dati telerilevati dallo spazio con elevata accuratezza grazie agli sviluppi avvenuti, in particolare nell’ultimo decennio, nel campo della geodesia spaziale. L’applicazione della tecnica interferometrica ai dati radar da satellite acquisiti periodicamente nell’area permette di ottenere importanti informazioni per lo studio di tutti quei processi e fenomeni relativi all’accumulo e al rilascio della deformazione crostale alla quale la sismicità è collegata. La conoscenza dei terremoti, infatti, è indispensabile ma non basta da sola a mitigare il rischio correlato.
Anche il monitoraggio preciso, accurato e costante serve a vigilare sull’andamento del fenomeno, ma non significa in nessun modo essere in grado di influire sul fenomeno stesso, modificarne l’evoluzione, interromperlo o anche solo mitigarlo o posticiparlo. Per questo è indispensabile adottare misure di prevenzione, di informazione ed educazione in cui istituzioni scientifiche, Protezione Civile, amministrazioni locali devono svolgere un ruolo coordinato, con la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini in prima persona. In questo ambito, nel Novembre 2011 il DPC ha deciso di estendere all’area della Basilicata interessata dalla sequenza sismica, un lavoro di informazione sistematica delle amministrazioni locali e della popolazione, oltre che di verifica puntuale dei piani comunali di protezione civile, già avviato in Calabria in preparazione ad una esercitazione di Protezione Civile, realizzata alla fine del 2011. Un progetto simile è attualmente in corso in Basilicata e terminerà con una esercitazione di Protezione Civile alla fine del 2012. Un’esperienza da estendere a tutte le Regioni italiane. E così, fra la fine di Novembre e la prima metà di Dicembre dello scorso anno, è stata realizzata nell’area del Pollino un’iniziativa ad hoc, che è consistita in una serie di incontri con gli amministratori dei Comuni per la verifica e l’aggiornamento dei Piani di Protezione Civile, in una serie di incontri informativi con insegnanti e studenti nelle località direttamente interessate dalla sequenza. È stata realizzata una diramazione locale della Campagna informativa “Terremoto io non rischio” attraverso una giornata di formazione rivolta ai volontari di associazioni lucane di protezione civile affinché potessero contribuire a iniziative di informazione alla popolazione anche grazie alla disponibilità dei materiali informativi realizzati per la Campagna. Al progetto hanno contribuito, oltre a DPC e Ingv, l’Università della Basilicata, ReLUIS, ANPAS, la Protezione Civile regionale della Basilicata e quella della Calabria, gli Uffici Scolastici Regionali e le scuole coinvolte. Chi non ricorda l’altro terremoto di magnitudo 4,1 con epicentro questa volta appena a sud delle isole Eolie, al largo della Sicilia, di qualche settimana fa? Il suo epicentro era risultato molto profondo: 256,1 Km e l’energia giunta in superficie è stata assai modesta. L’evento rientra in un’area ritenuta a medio pericolo. Il terremoto così profondo è avvenuto là dove la placca africana si incunea sotto quella euroasiatica, secondo il processo fisico della subduzione. La terra sotto l’Italia e nel mondo continua a tremare. Il terremoto che ha colpito la zona di Benevento è stato localizzato a 11,4 km di profondità. Nelle ore che sono succedute all’evento primario, altre scosse si sono succedute con intensità massima di magnitudo fino a 3.7. Un evento che ricade in una fascia ritenuta ad alto rischio sismico: l’area è fortemente compressa e ricca di faglie che scaricano l’energia accumulata nel tempo. Dopo il terremoto dell’Emilia Romagna del mese di Maggio e le numerose scosse anche superiori a magnitudo 4.0, cosa sta succedendo sotto la nostra penisola? Il numero di terremoti che si sono verificati da allora sono migliaia. Solo nella prima metà di Settembre 2012 ve ne sono stati 627 di magnitudo superiore a 2.0, ma tutti rientrano nella normale attività sismica della nostra penisola. Il fatto che siano pochi I terremoti con scosse superiori a 4.0, non significa che possiamo dormire sugli allori. Il 9 Giugno ad esempio, tra le province di Belluno e Pordenone vi è stato un evento di magnitudo 4.5 a soli 7,1 km di profondità.
L’11 Giugno un terremoto profondo, a 68 km dalla superficie, scuote la Toscana con un’energia di magnitudo 3,7. Nel Mar Mediterraneo, il 19 Giugno, si registra un evento di magnitudo 4.5. Poi un sisma colpisce il Mar Ionio, il 4 Luglio, con magnitudo 4.7. Alle Isole Lipari il suolo trema con una magnitudo di 4.1 lo stesso giorno. La profondità stavolta è di 178 Km. Il 9 Luglio tremano i Colli Albani con una magnitudo 3.5. Poi l’isola di Capri, il 12 Luglio, si scuote con una magnitudo 4.0 alla profondità di quasi 500 Km dalla superficie. Il 12 Agosto è la volta del Gargano scosso da un sisma di magnitudo 4.1 con l’ipocentro a 8,4 Km di profondità. Il 29 Agosto un terremoto a 45.5 km di profondità fa tremare lo stretto di Messina con una magnitudo 4.6. Nella prima metà di Settembre, nella sola penisola italiana, si sono registrati ogni giorno circa 40 terremoti e nell’ultimo periodo quelli di maggiore intensità hanno interessato il Canale di Sicilia, ma sono sempre stati con un’intensità inferiore a 3.9 di magnitudo. Che coca sta succedendo? È tutto normale? Quando si analizzano i due terremoti di magnitudo 8.6 e 8.2 che l’11 Aprile del 2012 fecero tremare per l’ennesima volta le isole attorno a Sumatra, molto distanti dal Mediterraneo e dall’Italia, e per fortuna senza conseguenze per le persone, a differenza del mega-tsunami del 27 dicembre 2004 che provocò oltre 250mila vittime, gli scienziati sono in grado di comprendere che nella crosta terrestre ogni singolo evento sismico può lasciare un’impronta indelebile. I due terremoti hanno creato un nuovo punto di contatto tra due placche terrestri. Per sei giorni consecutivi scosse di una certa violenza si sono fatte sentire non solo in prossimità dell’isola ma anche in tutto il mondo. Da oltre 20 anni i sismologi sospettano che la placca indo-australiana, prima o poi, si sarebbe potuta spaccare e “l’11 di Aprile quel timore è diventato realtà, dandoci l’esempio più evidente della nascita di un nuovo confine tra due placche” – rivela nei suoi studi Matthias Delescluse, un geofisico dell’Ecole Normale Superieure di Parigi. La placca indo-australiana prese forma circa 10 milioni di anni fa. Da allora si è mossa verso Nord-Nord-Est. L’area più vicina all’India si scontrò contro la placca euroasiatica facendo sorgere l’Himalaya e questo determinò un rallentamento della porzione occidentale della placca stessa. La parte orientale, quella verso l’Australia, continuò la sua corsa in avanti determinando delle tensioni all’interno della placca. Delescluse ha così studiato gli stress che si sono venuti a creare soprattutto in seguito ai due terremoti del 2004, che raggiunse magnitudo 9.1 di magnitudo e del 2005 di magnitudo 8. Secondo il modello le sollecitazioni hanno concentrato energia nel cuore della placca e questo ha determinato il terremoto del 2012 che ha provocato la fratturazione della placca. Generalmente i grandi terremoti si verificano là dove due placche si scontrano e una finisce sotto l’altra, mentre sono meno intensi quelli che si producono dove due placche scivolano l’una rispetto all’altra. Il terremoto del 2012 ha dimostrato che forti sismi lungo faglie di tipo trascorrente, ossia dove due placche scivolano l’una rispetto all’altra, possono essere anche molto violenti.
Un’altra ricerca parallela apparsa su “Nature” ha dimostrato che, a differenza della maggior parte dei terremoti che si verificano a causa del movimento di una faglia, il sisma dell’11 Aprile ha visto il movimento di ben quattro faglie con uno scivolamento di circa 25 metri. Un evento che butterebbe a terra l’intera Europa. Un altro studio pubblicato su “Nature” ha evidenziato che per sei giorni dopo l’evento i terremoti di magnitudo 5.5 di tutto il mondo sono aumentati di almeno cinque volte rispetto ai valori normali. “Scosse di assestamento sono limitate normalmente in aree vicino al sisma principale, ma il terremoto del 2012 deve far cambiare l’idea che abbiamo sugli assestamenti – ha spiegato Fred Pollitz, un geofisico dell’US Geological Survey di Menlo Park, in California. Questi risultati potrebbero confermare scientificamente che violenti terremoti possono dare vita ad altri sismi in altre parti del pianeta. Con scenari imprevedibili. Se le ricerche apparse su “Nature” verranno confermate potremmo letteralmente aver assistito alla nascita di una nuova famiglia di fratture che porteranno presto o tardi alla formazione di due nuove grosse placche. Che inizieranno a scivolare le une rispetto alle altre. Da Sumatra al Messico, dagli Stati Uniti all’Italia: possibile che così forti terremoti non siano collegati tra loro? Non esattamente. Gli scienziati sanno che di solito un sisma molto forte può causare un altro sisma di minore intensità in prossimità del primo evento. È assai difficile che un terremoto molto forte ne possa causare un altro a distanza di migliaia di chilometri altrettanto forte. A meno che quest’ultimo fosse prossimo a verificarsi e una debole perturbazione nella crosta terrestre sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Ma in Natura i fenomeni sono sempre molto complessi e una conclusione semplice non sempre è quella giusta. A volte la Terra sembra svegliarsi da un sonno profondo, durante le stagioni e i suoi vari moti che sono sincronizzati a quelli della Luna. A volte la Terra sembra scossa da tremori che rimbalzano da una parte all’altra del pianeta. Il 29 Settembre 2009, alle 19:48 ora italiana, un terremoto di magnitudo 8.1 ha scosso le isole Samoa, nell’oceano Pacifico, causando decine di vittime e generando un violento tsunami che ha attraversato tutto l’Oceano. Sedici ore dopo, un altro violento sisma di magnitudo 7.6 ha colpito l’area meridionale di Sumatra, a circa 10mila Km di distanza, provocando centinaia di morti. Poi le isole Vanuatu, a 2mila Km da Samoa nella stessa direzione di Sumatra, furono colpite da un sisma di magnitudo 6.3, simile a quello aquilano. Abbastanza simile è il caso del terremoto a Sumatra dell’11 Aprile 2011 seguito due giorni dopo da un piccolo sisma a Palermo. Esiste un “filo rosso” tettonico in questa sorprendente sequenza di eventi ovvero è solo una pura coincidenza? È possibile che un sisma in Turchia e in Grecia possa provocarne uno in Italia? Fino a una decina di anni fa, la risposta dei geologi a queste domande era una sola: assolutamente no. Non c’è alcun nesso tra terremoti che si verificano in luoghi così diversi, perché ogni sisma è un evento a sé, scollegato da ogni altro. Più precisamente non ci sono connessioni tra terremoti che avvengono su faglie diverse. I terremoti, infatti, si formano perché la crosta terrestre è divisa in grandi zattere, le “placche tettoniche”, che si spostano lentamente nel corso dei millenni generando tensioni nelle zone di contatto: sono queste tensioni a causare i terremoti. Le placche maggiori sono: Placca antartica, Placca sudamericana, Placca africana, Placca indo-australiana, Placca pacifica, Placca nordamericana e Placca euroasiatica.
Le placche minori principali sono: Placca di Nazca, Placca di Cocos, Placca caraibica, Placca Scotia, Placca Araba o Arabica, Placca indiana, Placca delle Filippine e Placca Juan de Fuca. Già da tempo si sa che i sismi intensi generano repliche di minore intensità lungo la stessa faglia. Fino a una decina di anni fa si riteneva impossibile che faglie diverse “dialogassero”, ossia che un terremoto avvenuto su una faglia potesse provocarne un altro in un’altra faglia. Ora, invece, alcuni scienziati sospettano che ciò possa accadere. Per l’Italia una delle aree più interessanti e delicate del pianeta è la Faglia nord-anatolica, in Turchia. Questa lunga frattura che si estende per circa 1.200 km dal Caucaso al Mar Egeo, è composta da molte faglie che, secondo le teorie tradizionali, non dovrebbero “comunicare” tra loro, come dimostrazioni studi ed analisi di più illustri colleghi. I terremoti in questa zona dovrebbero avvenire in modo del tutto casuale, come se l’epicentro di ogni scossa fosse deciso casualmente con un lancio di dadi. Invece i nove terremoti di magnitudo superiore a 7.0 che si sono susseguiti nell’area dal 1939 al 1999, si sono spostati con regolarità nel tempo da Oriente verso Occidente. È forse il segno che non avvenivano a caso, ma che erano collegati tra loro? Come? Le recenti scoperte mostrano che i terremoti possono, in alcuni casi, indurre altri terremoti. Sappiamo che la crosta terrestre prodotta nel fondale oceanico dalla grande spaccatura del Pacifico viene fagocitata (con immense quantità d’acqua marina) dalla Fossa delle Marianne, al di sotto degli 11 Km di profondità dalla superficie, a ritmi parossistici di diversi centimetri l’anno, senza produrre terremoti. Il grande esploratore James Cameron in situ sta realizzando osservazioni preziosissime per la comunità scientifica internazionale, che il National Geographic segue con la massima attenzione. Ma possono i sismi stimolare eruzioni vulcaniche? L’imponente eruzione del monte Pinatubo nelle Filippine del 1991 sembrerebbe essere stata innescata da un sisma di magnitudo 7.7 avvenuto il 16 luglio del 1990. “L’energia rilasciata dal sisma potrebbe aver agito sul serbatoio magmatico con una pressione di circa un’atmosfera, sufficiente per miscelare due tipi di magmi diversi il cui risultato ha portato all’esplosione” – rivela Bartolome Bautista dell’Istituto filippino di vulcanologia e sismologia. Il sisma del 1975 a Big Island sulle Hawaii, di magnitudo 7.2, avrebbe innescato l’eruzione del vulcano Kilauea dopo meno di un’ora. E, nel 1995, un sisma di magnitudo 5.6 nella penisola della Kamchatka in Russia sarebbe forse responsabile dell’innesco dell’eruzione del vulcano Karymsky e della caldera Akademia Nauk, fino ad allora considerata estinta. Le previsioni sono ardue ma, anche se è difficile accostare le tremende forze tettoniche in azione nell’Anello di Fuoco del Pacifico con le vicende apparentemente più tranquille del Mediterraneo, i terremoti nel Tirreno, un antico oceano che conserva intatta la sua schiera di vulcani sottomarini potenzialmente distruttivi come Santorini (l’Antica Atlantide proiettata nella stratosfera nel 1300 Avanti Cristo), lanciano un forte campanello di pre-allerta. Sebbene secondo gli esperti sia per ora altamente improbabile un evento vulcanico distruttivo. Secondo Ross Stein, geologo dell’Usgs, il Servizio geologico americano, e pioniere di questi studi, l’energia prodotta da un sisma nella penisola della Kamchatka si riversa via via più a Ovest, aumentando lo stress nelle faglie vicine che successivamente provocano altri terremoti. “Di solito, quando una faglia si muove producendo un sisma, riduce lo stress che si è accumulato al suo interno, ma lo aumenta in un altro luogo” – spiega Stein nei suoi studi. Se fosse vero, i sismologi avrebbero un mezzo per calcolare il rischio sismico: un terremoto in una zona potrebbe in alcuni casi far aumentare il rischio che un altro sisma avvenga in una zona adiacente. Secondo lo scienziato, alcune faglie possono mettersi in movimento se sono colpite da pressioni non superiori a quella di uno pneumatico.
Ma non tutte le faglie sono eguali, cioè costituite dalla stessa roccia e con lo stesso comportamento. Uno dei terremoti più studiati è quello avvenuto a Landers, in California, del 28 giugno 1992. Fu di magnitudo 7.3. Tre ore dopo si verificò un sisma di magnitudo 6.5 a Big Bear, a 45 km di distanza! Non si trattò di una semplice scossa di assestamento perché Big Bear, anche se è vicino a Landers, si trova su una faglia diversa. Secondo le vecchie teorie, tra i due terremoti non poteva esserci alcun legame. E invece i calcoli al computer confermarono le teorie di Stein: il primo terremoto avrebbe fatto aumentare lo stress delle rocce proprio nell’area di Big Bear.
Approfondendo questa ipotesi, Tom Parson (Usgs) ha calcolato che un centinaio di terremoti con magnitudo superiore a 7.0, succedutisi in un arco di tempo di 25 anni, avrebbero innescato circa 1.200 terremoti più leggeri di magnitudo superiore a 5.0, nel raggio di 250 km dall’evento principale. Queste scosse, secondo lo scienziato, non si possono considerare semplicemente di assestamento ma piuttosto, secondo il modello di Stein, una conseguenza dello spostamento degli stress delle rocce da un luogo all’altro. “L’energia rilasciata da un sisma può propagarsi anche per migliaia di chilometri – fa notare Thomas Henyey, geologo all’Università della Southern California di Los Angeles – il terremoto del 2002 di magnitudo 7.8 che colpì la faglia Denali in Alaska, per esempio, fece sussultare la faglia Wasatch nello Utah, così come alcune faglie di Yellowstone”. La più grande caldera del pianeta Terra incastonata negli Stati Uniti continentali, la più potente bomba termonucleare innescata e pronta a saltare in aria da 650mila anni per un evento estintivo di massa. A confermare le teorie di Stein ci sarebbero anche gli studi di Taka’aki Taira dell’Università della California a Berkeley, il quale da anni concentra le sue ricerche lungo la faglia di San Andreas. Questa complessa frattura degli Stati Uniti è la più studiata e controllata del pianeta: numerosi sismometri ne seguono ogni più piccolo tremore anche a migliaia di metri sotto la superficie terrestre, grazie anche a speciali trivellazioni scientifiche in situ. “Le ricerche degli ultimi anni – rivela Taira – avevano messo in luce che i terremoti all’interno della faglia avvengono con frequenze ben definite, ma dopo il sisma di Sumatra del 2004 abbiamo notato che la frequenza dei sismi è aumentata, anche se è diminuita la loro magnitudo”. Secondo lo scienziato le onde sismiche provenienti da Sumatra avrebbero scosso le falde acquifere della zona, facendo confluire acqua all’interno delle fratture sotterranee della faglia di San Andreas, con l’effetto di lubrificarle: per questo gli stress accumulati nella faglia sarebbero poi stati rilasciati più frequentemente con sismi a bassa intensità.
“Le prove che, almeno a livello locale, vi sia una relazione tra sismi sono così ampie che l’idea è sempre più accettata dalla comunità scientifica – spiega Antonio Piersanti, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – ora si sta cercando di capire come avviene tale relazione”. Una possibilità, secondo l’Ingv, è che ci sia semplicemente un trasferimento di energia secondo lo schema originario di Stein come sembra che stia avvenendo in Turchia. Un’altra possibilità è che, in alcuni casi, sia importante il ruolo giocato dalle acque nelle faglie, come suggeriscono gli studi di Taira in California. Bisogna però considerare anche come le rocce si modificano quando sono attraversate da onde sismiche. “Tutto questo, però, è assai difficile da trasformare in modelli matematici” – avverte Piersanti. Dunque è ancora prematuro sfruttare queste conoscenze per poter prevedere i terremoti. In Italia, secondo l’Ingv, non vi sarebbero prove dirette di relazioni tra terremoti in faglie diverse. “Ma questo, forse, non tanto perché non esistono, ma – rivela Piersanti – perché è assai difficile rilevare queste interazioni in modo scientifico. Relazioni lungo la stessa faglia per riversamento di energia, invece, sono state rilevate, perché più semplici da mettere in evidenza. Il terremoto dell’Irpinia, per esempio, viene oggi spiegato come un fenomeno legato a una faglia che si ruppe in due o tre punti diversi a breve distanza di tempo”. Per tutto il resto mancherebbero coincidenze sismiche interessanti e studi approfonditi. Ma allora la recente e impressionante sequenza di terremoti a Samoa, Sumatra e isole Vanuatu, che cosa ci insegna? È probabile, secondo alcuni scienziati, che una connessione effettivamente ci sia, anche se finora nessuno è stato in grado di dimostrarlo per applicarlo nella protezione civile. Perché l’analisi di questi fenomeni dura molti mesi. E non c’è da stupirsi: lo studio di come i terremoti “parlano” tra loro è appena cominciato. Se le promesse fatte dai leader mondiali al G8 di L’Aquila nel Luglio 2009, quando arrivò anche Gheddafi, non sono state tutte mantenute, bisogna anche capirne le reali motivazioni che sono direttamente collegate alla qualità della nostra classe politica e dirigente. Meglio imparare a proteggersi da soli. Che cosa fare in caso di terremoto? È molto utile la Guida della Protezione Civile nazionale con i consigli da seguire, prima, durante e dopo una scossa sismica. Dove sono i Manifesti pubblici anti-terremoto da affiggere un po’ ovunque come fanno da decenni in California, Nuova Zelanda e Giappone? Prima di tutto occorre identificare posti sicuri all’interno ed all’esterno della propria abitazione o ufficio: sotto mobili robusti, come per esempio una pesante scrivania o un tavolo; contro un muro interno; lontano da dove vetri potrebbero frantumarsi (come nei pressi di finestre, specchi, quadri) o da dove librerie pesanti o altri mobili pesanti potrebbero cadere; all’esterno, lontano da edifici, alberi, linee telefoniche ed elettriche, cavalcavia o autostrade sopraelevate. Se ci si trova in luogo chiuso bisogna cercare riparo nel vano di una porta inserita in un muro portante (quelli più spessi) o sotto una trave. Per proteggersi da eventuali crolli è meglio trovare riparo sotto un tavolo pesante.
È pericoloso stare vicino ai mobili, oggetti pesanti e vetri che potrebbero cadere addosso. Non precipitarsi verso le scale e non usare l’ascensore. Talvolta le scale sono la parte più debole dell’edificio e l’ascensore può bloccarsi e impedire di uscire. Se ci trova in auto, non sostare in prossimità di ponti, di terreni franosi e di spiagge. Potrebbero lesionarsi o crollare o essere investiti da onde di tsunami. Se si è all’aperto, allontanarsi da costruzioni e linee elettriche. Potrebbero crollare. Rimanere lontano da impianti industriali e linee elettriche. È possibile che si verifichino incidenti. Stare lontani dai bordi dei laghi e dalle spiagge marine. Si possono verificare onde di tsunami. Evitare di andare in giro a curiosare. Raggiungere le aree di attesa individuate dal Piano di Emergenza Comunale. Verificatene l’esistenza prima delle catastrofi. Bisogna evitare di avvicinarsi ai pericoli e di usare il telefono e l’automobile. È necessario lasciare le linee telefoniche e le strade libere per non intralciare i soccorsi. Esiste anche un’ottima pubbblicazione sempre a cura della Protezione Civile, che andrebbe divulgata capillarmente prima delle tragedie. Ma come si muove la Faglia della Pernicana, la più attiva struttura tettonica del Monte Etna, che costituisce anche il confine tra il settore settentrionale più stabile del vulcano e quello sudorientale instabile, digradante verso il Mare Ionio?
Grazie all’applicazione di metodi di monitoraggio con radar ad apertura sintetica dallo spazio ed all’elaborazione di modelli che ricostruiscono la dinamica della faglia, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania, in collaborazione con l’IREA-CNR di Napoli, è riuscito a discriminare la natura di alcuni sismi che scuotono l’Etna. Nella ricerca “Modeling of ALOS and COSMO-SkyMed satellite data at Mt Etna: Implications on relation between seismic activation of the Pernicana fault system and volcanic unrest”, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Remote Sensing of Environment”(RSE), sono state studiate le deformazioni del suolo ottenute dall’analisi delle immagini radar dei satelliti COSMO-SkyMed e ALOS durante lo sciame sismico del 2-3 Aprile 2010 lungo la Pernicana. L’inversione delle mappe di deformazione attraverso un modello numerico ad alta risoluzione ha permesso di individuare i movimenti della Pernicana durante lo sciame. I movimenti della faglia indicano che lo sciame è attribuibile ad assestamenti della porzione orientale dell’edificio vulcanico piuttosto che ad una possibile intrusione magmatica nel settore settentrionale del vulcano, come invece accaduto per il terremoto di magnitudo 3.7 del 22 Settembre 2002. “Il nostro lavoro – rivela la ricercatrice Gilda Currenti, co-autore dell’articolo scientifico – mette in chiaro i principali meccanismi responsabili dell’attività sismica lungo il sistema di faglie della Pernicana. Gli eventi sismici del 2002 e del 2010 sono rappresentativi delle due principali cause che innescano la sismicità della faglia. Infatti, gli sciami sismici possono essere prodotti o da intrusioni magmatiche nel settore settentrionale del vulcano o dallo scivolamento del fianco orientale del Monte Etna. Sotto l’azione di intrusioni magmatiche, il movimento della faglia mostra una componente in estensione in area sommitale in corrispondenza dell’intrusione; ciò induce sul piano di faglia un movimento di trascorrenza sinistro a quote più basse. Invece, nel caso in cui lo sciame sismico sia il risultato della trazione del fianco in scivolamento, il movimento della struttura non mostra significative componenti in estensione e lo sciame tende a propagarsi dalle quote basse verso le zone sommitali.
”Questo risultato potrebbe essere utile per migliorare la previsione delle future eruzioni. “Nel corso degli ultimi decenni l’attivazione sismica del sistema di faglie della Pernicana – fa notare la scienziata – ha mostrato un rapporto controverso con la ripresa dell’attività vulcanica. Alcune volte il rilascio di energia sismica ha anticipato l’inizio di eruzioni nel fianco settentrionale dell’Etna, come nel caso del terremoto del 22 settembre 2002, che ha preceduto di quasi un mese l’inizio della violenta eruzione laterale del 2002-2003. Tuttavia, in altre occasioni, gli eventi sismici non sono stati seguiti da alcuna attività eruttiva, come nel caso dello sciame del 2-3 Aprile 2010. Nel nostro lavoro dimostriamo che l’analisi e l’interpretazione quantitativa di dati satellitari ad alta risoluzione permette di distinguere tra questi due possibili scenari e, quindi, l’uso di questo approccio potrebbe contribuire alla previsione di future eruzioni laterali nel fianco settentrionale”. Questi dati potrebbero contribuire alla valutazione della pericolosità associata ai movimenti del versante sudorientale del vulcano. “Questo lavoro mostra che l’integrazione di serie di dati satellitari InSAR ad elevata risoluzione spaziale, dati geofisici acquisiti dalle reti di monitoraggio a terra, e tecniche avanzate di modellazione numerica, offre l’opportunità di costruire modelli più realistici dei processi di instabilità di fianco e di ottenere una valutazione quantitativa dell’hazard vulcanico e sismico. I dati provenienti dai sensori SAR di nuova generazione a bordo della costellazione Cosmo-SkyMed della Agenzia Spaziale Italiana permettono di applicare la tecnica a scale temporali brevi fornendo nuovi e significativi vincoli osservativi su processi deformativi transitori associati ad instabilità di fianco”. Allarmi sismici dallo spazio? Se ne parlerà all’“11th Seminar: Earthquakes Early Warning From Space” in programma ad Erice, in Sicilia, dal 21 al 24 Ottobre 2012. Un seminario scientifico internazionale promosso dalla “Ettore Majorana Ffoundation and Centre for Scientific Culture”, istituzione fondata dal fisico Antonino Zichichi. Ecco i temi che verranno affrontati: The DEMETER micro-satellite: objectives and results - M. PARROT, LPC2E/CNRS, Orléans, FR - Recent Advances in earthquakes prone areas Monitoring by Satellite TIR surveys; Valerio TRAMUTOLI, DIFA, University of Basilicata, Potenza, IT - Seismo-ionospheric precursors and disturbances; Jann-Yenq LIU, NCU, Jhongli City, TW - Ionospheric precursors of earthquakes - existence and lithosphere-ionosphere coupling mechanism; Valery KOREPANOV, National Space Agency, Lviv., UA - Lithosphere-ionosphere-atmosphere coupling associated with earthquake; M. KAMOGAWA, Gakugei University, Tokyo, JP - Seismo-magnetospheric connection and prediction of earthquakes from space; A. GALPER, Mephi, Moscow, RU - Magnetosphere-litosphere correlations using NOAA electron data; R. BATTISTON, University of Perugia, IT - Instrumentation and analysis strategies to search for particle precipitation from space; L. CONTI, Uninettuno, Rome, IT - Earthquake precursor: a model for the stressed rock-earth surface chargeatmosphere-ionosphere coupling; L. LEE, NCU, Jhongli City, TW - Geosystemics, entropy and focalization of earthquakes; A. DE SANTIS, INGV, Rome, IT - Application of LAIC model approach in space technologies integration within the framework of IGMASS project; S. PULINETS, Space Research Institute, Moscow, RU - From multi-parameter observations towards interdisciplinary framework for earthquake early warnings. A sensor Web approach; D. OUZOUNOV, Chapman University, Orange, CA, US - A review of seismo-electromagnetic satellite missions - recent results and prospects; T. KODAMA, JAXA, Tokyo, JP - Remote sensing application in earthquake monitoring and earthquakerelated space missions in China; S. XUHUI, CEA, Beijing, CN - Earthquake Anomaly Recognition with DTS Criterions and GEOSS-bassed Multiple Parameters Refering to LCA coupling; L. WU, Normal School, Beijing, CN. Sempre ad Erice, al Centro Studi “Ettore Majorana”, si è concluso il corso internazionale di Geotermia con una tavola rotonda dal titolo:“La comprensione dei sistemi geologici per l’energia geotermica”, organizzato da INGV, CNR e GFZ, con il patrocinio dal Ministero dello Sviluppo Economico, di Ispra, Enea, Infn, Assocarboni e Fondazione Sviluppo Sostenibile. Il corso è stato diretto da Fedora Quattrocchi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Hanno preso parte all’evento, scienziati e studenti provenienti da molti paesi del mondo, che hanno presentato poster e pubblicazioni al riguardo (Nuova Zelanda, USA, UK, Francia, Germania, Olanda, Svizzera, Spagna, Portogallo, Iran, Marocco). Lo scopo della tavola rotonda è stato quello di discutere con istituzioni internazionali e nazionali, ricerca, industria, le problematiche più attuali e critiche relative all’esplorazione e allo sviluppo della geotermia in Italia, con riferimento alle iniziative estere. Tra i temi principali del simposio scientifico, le filiere energetiche di uso del sottosuolo affichè lavorino in sinergia e non in competizione. Durante la tavola rotonda, in linea con quanto emerso dal corso, la componente più strettamente scientifica ha sollecitato l’unione di intenti con le industrie appartenenti a filiere energetiche complementari (stoccaggi, idrocarburi, materie prime dal sottosuolo) per mantenere livelli di ricerca che singolarmente non sarebbero sostenibili. Si è parlato anche dell’aspetto economico delle filiere energetiche in sinergia con la geotermia. Fedora Quattrocchi ha espresso il concetto della possibile riconversione delle miniere di carbone del Sulcis in Sardegna. “Nel caso del Sulcis – ha dichiato la scienziata – si potrebbe unire sia la geotermia, che la produzione di metano da carbone, e successivamente integrarsi con la filiera completa di CO2 Capture & Storage, qualora la produzione metanifera si dimostri interessante. Non si esclude – ha sottolineato la Quattrocchi – uno sviluppo turistico anche attraverso lo sfruttamento delle terme nella zona di Sant’Antioco, in provincia di Carbonia Iglesias”. Sono stati forniti i dati sul potenziale geotermico nazionale nelle sue varie categorie di utilizzo. Molto interessante è stato il caso dello studio di catalogazione, da parte dell’Ingv, delle risorse su piattaforma “GIS – Geographic Information System”(Sistema Informativo Territoriale), focalizzato sulla Sicilia “in-land”, con una modellizzazione congiunta ed integrata dei fattori predisponenti ed i fattori di rischio.
A proposito dei temi riguardanti la sicurezza, gli scienziati hanno preso in considerazione problematiche come la fratturazione idraulica, nota anche come “fraking” con, eventualmente, casi sporadici di degassamento diffuso e sismicità indotta. Quello che è emerso chiaramente nel corso dell’International School di Erice, è la grande potenzialità che porta con sé la risorsa geotermica per il settore produttivo nazionale. Di riflesso, per l’economia e la società italiana. Produzione di energia elettrica, raffrescamento e riscaldamento, uso dell’energia termica nei processi industriali, sono solo le più note applicazioni di un settore potenzialmente capace di contribuire anche all’industria del benessere, e quindi del turismo. È l’ora dei fatti. “L’Ingv ritiene molto importante, per i prossimi anni muoversi nel settore delle ricerche in ambito geotermico, oltre che agli altri settori che sono di più usuale competenza dell’Ente. Il fine è quello di coordinarsi, in un confronto tra il mondo della ricerca e quello industriale-produttivo, con istituzioni chiamate sia a livello europeo, nazionale e regionale ad indicare quella strategia energetica per il territorio che tanto anima la discussione di settore in quest’ultimo periodo”. È quanto auspicato, a margine dell’incontro, il Presidente dell’Ingv, il professor Stefano Gresta. Per questo l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con Geoitalia Federazione di Scienza della Terra, Onlus promuove l’iniziativa “La settimana del Pianeta Terra”. Nella settimana compresa tra il 14 e il 21 Ottobre 2012 sono previste una serie di attività, denominate “GeoEventi”, orientate dalla volontà di diffondere ed incentivare la conoscenza delle scienze naturali nel grande pubblico, con un’attenzione particolare ai giovani studenti. Dopo la canzone della Terra captata dalle sonde della Nasa nelle fasce di Van Allen, possiamo sentire anche il suono dei terremoti che viene però dalle profondità della crosta terrestre. L’idea di trasformare le vibrazioni elastiche generate dal sisma in una melodia riproducibile è stata per i ricercatori dell’Ingv uno spunto per legare i terremoti alla musica. Tutto ciò si può seguire durante l’evento–concerto di Sabato 20 Ottobre 2012, alle ore 21.30, presso il Centro Culturale Elsa Morante a Roma, “Onde Simpatia E Musica” di Marsili, Hunstad, Casale, Vallocchia, Benedetti, Burrato, D’Addezio. Nel frattempo la liberalizzazione dell’impresa spaziale privata americana segna l’ulteriore tappa con la seconda missione della navetta Falcon 9/Dragon della compagnia SpaceX (la prima ufficiale, delle 12 in programma, per il rifornimento degli astronauti in orbita a 400 Km di quota, www.nasa.gov) in partenza da Cape Canaveral (Florida) per la Stazione Spaziale Internazionale. Mentre il primo skydiver europeo, l’austriaco Felix Baumgartner (www.lifeslittlemysteries.com/2969-physics-supersonic-skydive.html) si appresta ad affettuare il suo storico lancio da 36mila metri d’altezza, quota raggiunta con la sua capsula stratosferica sollevata da un pallone riempito di Elio.
fonte: piazza grande quotidiano
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