4 ottobre 2012
Il gioco delle tre carte e l’epitaffio del Pd
Da Veltroni ne abbiamo sentite tante: l’eterno
politico, finito per diventare il nostalgico cantore dell’evasione fiscale anni
’60, non ci ha risparmiato discorsi, lettere ai giornali e “ma anche”. E adesso,
in questo scorcio di nulla, ogni tanto interviene a dire la sua, rivelando di
quale tempra sia fatto uno di quelli che si contendevano l’eredità del Pci e che
alla fine ci ha regalato il Pd. Il Walter si è abbarbicato al telefono e ha
confessato all’Unità il suoi timori: che il Pd si sfasci a seguito della
battaglia regolamentare per le primarie.
Ma fin qui non si esce dall’ovvio. Il fatto è che Veltroni ha riassunto la situazione con una frase che di per sé è una sorta di epitaffio sul partito: il Pd secondo il suo ex segretario è messo in pericolo da “tensioni identitarie”. A questo punto però delle due l’una: o si è immaginata e creata una fusione che non avesse alcuna identità e dunque anche nessun programma, idea o progetto se non la gestione di un elettorato e di un potere, oppure le nozze non sono riuscite e tanto vale prenderne atto.
Chiaro che gli apparati del partito, intenti a conservare posti, posizioni e privilegi resistono eroicamente a questa evidenza mettendo così in luce una terza ipotesi: che la fusione sia stata fatta nella convinzione che le idee politiche si fossero estinte dentro un pensiero unicheggiante quanto debole e che dunque la fusione non sarebbe stata altro che una spartizione di potere tenuta assieme dall’antiberlusconismo. Purtroppo per il partito la disgregazione e putrefazione del blocco messo in piedi dal Cavaliere, ha forato il rivestimento di cellophane politico con cui si era cercato di dare al Pd un’immagine di solidità.
Tuttavia se la creazione del partito ha avuto come suo primo vagito la caduta del governo Prodi, la sua permanenza oltre ogni evidenza di coesione, costituisce un formidabile ostacolo e una comoda cortina, proprio quando la situazione drammatica del Paese esigerebbe la massima chiarezza. Un ostacolo alla formazione di una nuova sinistra e una cortina dietro la quale personaggi di ogni risma possono fingere con l’elettorato meno accorto di non essere di destra e di appartenere a quell’entità chimerica del moderatismo. Così reazionari di conio purissimo, integralisti cattolici, iperliberisti con la fetta di costoso prosciutto sugli occhi, possono sempre dire di far parte di un partito “riformista”, ancorché non si sappia quali riforme si vogliano fare, se non quelle destinate ad umiliare il lavoro.
Le “tensioni identitarie” veltroniane nascono proprio dal fatto che il Pd non è stato affatto l’inizio di qualcosa di nuovo, ma il contenitore dove un vecchio mondo incapace ormai di sognare di progettare, si è accomodato come su un divano dove bastava essere contro qualcosa senza più aspirare ad essere per qualcosa. Un lussuoso cimitero di elefanti che ha poco a che fare con l’età anagrafica, ma molto con la resa di qualcuno, la rampante ignoranza di altri, la perdita di senso di altri ancora e la rendita, lo scambio di piccolo e grande potere per tutti. Però sarebbe un errore pensare che questo processo di desensibilizzazione politica abbia riguardato solo i vertici, ha invece coinvolto i quadri e parte dell’elettorato. Le recenti performances berlusconiane di Renzi sono applaudite dai feroci antiberlusconiani di qualche mese fa, difensori a tutta prova della 194 contro l’intrusione dei teocon, ora teoconeggiano e delibano anche le più fetide bugie, gente che gridava alla rivolta se si fosse toccato l’articolo 18 ora si consola facendo finta che il suo massacro sia stato una necessità. Quasi quasi si direbbe che si teme l’astinenza da menzogna.
Non si tratta di voltafaccia, ma semplicemente del fatto che una volta dissociato tutto questo da un “nemico”di comodo, appaiono sotto una luce diversa, ci si accorge che ormai erano un elemento rituale e non un lievito dell’azione politica. E allora benvenute le “tensioni identitarie” se servono a ricreare politica e responsabilità dove non c’è più nulla e il gioco delle tre carte serve a passare la giornata.
Ma fin qui non si esce dall’ovvio. Il fatto è che Veltroni ha riassunto la situazione con una frase che di per sé è una sorta di epitaffio sul partito: il Pd secondo il suo ex segretario è messo in pericolo da “tensioni identitarie”. A questo punto però delle due l’una: o si è immaginata e creata una fusione che non avesse alcuna identità e dunque anche nessun programma, idea o progetto se non la gestione di un elettorato e di un potere, oppure le nozze non sono riuscite e tanto vale prenderne atto.
Chiaro che gli apparati del partito, intenti a conservare posti, posizioni e privilegi resistono eroicamente a questa evidenza mettendo così in luce una terza ipotesi: che la fusione sia stata fatta nella convinzione che le idee politiche si fossero estinte dentro un pensiero unicheggiante quanto debole e che dunque la fusione non sarebbe stata altro che una spartizione di potere tenuta assieme dall’antiberlusconismo. Purtroppo per il partito la disgregazione e putrefazione del blocco messo in piedi dal Cavaliere, ha forato il rivestimento di cellophane politico con cui si era cercato di dare al Pd un’immagine di solidità.
Tuttavia se la creazione del partito ha avuto come suo primo vagito la caduta del governo Prodi, la sua permanenza oltre ogni evidenza di coesione, costituisce un formidabile ostacolo e una comoda cortina, proprio quando la situazione drammatica del Paese esigerebbe la massima chiarezza. Un ostacolo alla formazione di una nuova sinistra e una cortina dietro la quale personaggi di ogni risma possono fingere con l’elettorato meno accorto di non essere di destra e di appartenere a quell’entità chimerica del moderatismo. Così reazionari di conio purissimo, integralisti cattolici, iperliberisti con la fetta di costoso prosciutto sugli occhi, possono sempre dire di far parte di un partito “riformista”, ancorché non si sappia quali riforme si vogliano fare, se non quelle destinate ad umiliare il lavoro.
Le “tensioni identitarie” veltroniane nascono proprio dal fatto che il Pd non è stato affatto l’inizio di qualcosa di nuovo, ma il contenitore dove un vecchio mondo incapace ormai di sognare di progettare, si è accomodato come su un divano dove bastava essere contro qualcosa senza più aspirare ad essere per qualcosa. Un lussuoso cimitero di elefanti che ha poco a che fare con l’età anagrafica, ma molto con la resa di qualcuno, la rampante ignoranza di altri, la perdita di senso di altri ancora e la rendita, lo scambio di piccolo e grande potere per tutti. Però sarebbe un errore pensare che questo processo di desensibilizzazione politica abbia riguardato solo i vertici, ha invece coinvolto i quadri e parte dell’elettorato. Le recenti performances berlusconiane di Renzi sono applaudite dai feroci antiberlusconiani di qualche mese fa, difensori a tutta prova della 194 contro l’intrusione dei teocon, ora teoconeggiano e delibano anche le più fetide bugie, gente che gridava alla rivolta se si fosse toccato l’articolo 18 ora si consola facendo finta che il suo massacro sia stato una necessità. Quasi quasi si direbbe che si teme l’astinenza da menzogna.
Non si tratta di voltafaccia, ma semplicemente del fatto che una volta dissociato tutto questo da un “nemico”di comodo, appaiono sotto una luce diversa, ci si accorge che ormai erano un elemento rituale e non un lievito dell’azione politica. E allora benvenute le “tensioni identitarie” se servono a ricreare politica e responsabilità dove non c’è più nulla e il gioco delle tre carte serve a passare la giornata.
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