I profeti prevedevano il futuro, l'economista italiano prevede il presente. Vive il momento. Coglie l'attimo. Liberista, ma se necessario statalista. Più Stato e meno mercato in tempo di crisi, ma più mercato (con la sua mano invisibile ai più e chiarissima per lui e per le banche) e meno Stato se l'indice di Borsa si impenna. Gli astrologi potrebbero fare tranquillamente gli economisti, gli economisti non potrebbero invece fare gli astrologi. Questione di reputazione. Infatti, maghi, fattucchiere, indovini e negromanti sono più attendibili di qualunque economista italico. Loro, ogni tanto, ci prendono. Parmalat, Seat, Telecom, derivati, junk bond, esplosione del debito pubblico, bolle speculative sono stati eventi imprevedibili per l'economista. Conosciuti, ma imprevedibili. Se un comune cittadino, con il buon senso del padre di famiglia, avverte di una bancarotta in arrivo è un allarmista che non capisce i fondamentali. Con l'economista ti rimane sempre un dubbio, un tarlo, un rovello: se ci fa o se ci è. Se, pur a piena conoscenza di come si svolgeranno i fatti, tace per ordini superiori, per la pagnotta, o se non capisce mai una beata fava. Io propendo per l'ipotesi pagnottista. Gli economisti di successo diventano ministri dell'Economia, opinionisti televisivi, giornalisti economici, persino leader politici. Dopo un decennio, sull'orlo della catastrofe, ci spiegano perché siamo in fallimento. Non si arrogano nessun merito per il default dell'Italia, ma, va detto a loro onore, anche nessuna colpa. Sono sacerdoti del nulla, creatori di teorie economiche che durano il tempo di un peto nello spazio. Come i nobili di un tempo, gli economisti discutono solo con i loro pari e non con la plebe, non si abbassano. Gli altri non possono capire la complessità dell'economia e la profondità dello spread. L'economista di lotta e di governo, soprattutto di governo, è un ottimista per natura. Il PIL crescerà nel 2013, la disoccupazione diminuirà e anche le tasse. Il Paese è già pronto a ripartire. L'economista italico con quella bocca può dire quello che vuole il suo padrone.
ECCO UN ALTRO PUPAZZO DI PSEUDOECONOMISTA MANOVRATO DAI POTENTI.
La triste parabola dell’economista Michele Boldrin
L’economista italiano emigrato in America Michele Boldrin interviene sempre più spesso sulle televisioni italiane (da ultimo a Ballarò di Giovanni Floris), parla di tutto, in particolare di tasse dicendosi a favore di un aumento della tassazione indiretta. Esattamente come Monti.
Chi scrive ha sempre sostenuto che gli economisti tout court non esistono. Esistono quelli specializzati sul mercato del lavoro, quelli in microeconomia, quelli di macro economia, o in economia industriale, ecc. Un Nobel per l’economia alcuni anni fa ad una domanda su come andassero le cose in generale nell’economia rispose che «la macro economia per lui era né più né meno che una materia sconosciuta, al pari della fisica». Lui aveva preso il Nobel per alcune formule relative ai mercati finanziari.
Michele Boldrin, che imperversa ultimamente sulle televisioni italiane, è un veneto trapiantato in America, sicuramente una persona intelligente, basta leggere qualche suo Paper, ma appunto è uno specialista di economia matematica, esattamente chiamata anche econometria.
Da qui a capire di economia in generale ce ne corre naturalmente, come ce ne corre tra l’attività di un ciabattino e quella di un fabbro. Insieme ad altri italiani, diventati economisti negli Stati Uniti, si è messo assieme in un blog, noisefromamerika.org (nFA, con Sandro Brusco, Alberto Bisin e altri), e ha fatto massa critica quanto a peso nel dibattito (si fa per dire) delle idee italiane. Lo abbiamo detto altre volte, e lo ripeto anche qui, gli economisti che intendono fare solo gli economisti, soprattutto se americani, non fanno blog collettivi, ma solo individuali (Mankiw, ecc.), con l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico più largo che non quello degli specialisti. Se tu fai un blog collettivo lo fai invece perché vuoi contare di più a livello politico. E nel nostro caso ciò avviene non nel paese dove tu stai lavorando, ma in quello di nascita.
Si sa poi come vanno le cose in questo paese: se incidi minimamente sull’opinione generale, c’è subito qualcuno che corre dalle tue parti e ti offre un posto in Parlamento, che come sappiamo è quella cosa che si fa perché si vogliono “gli interessi generali”, facendo violenza sui propri interessi individuali. Poi ci può scappare una bella pensione e tutto il resto, ma sono cose che oltretutto non puoi rifiutare, perché non è previsto e allora le subisci, certo con grande rammarico. Almeno una volta si diceva pubblicamente così, oggi non si salvano più neanche le apparenze.
Il Michele Boldrin, da giovane militante del Pci (e grande ammiratore di Berlinguer), aspira ad accedere alla casta politica, e dico questo non per malevolenza, perché anzi il soggetto è pure simpatico e come i simpatici può combinarne di tutti i colori (vedi Clinton), rischiando al massimo di aumentare solo la benevolenza del proprio pubblico verso se stessi; dicevo dunque che aspira a salire nell’empireo della casta, e per accertarsene basterebbe riguardarsi qualche trasmissione alla quale ha partecipato, dove tratta alla pari i politici presenti. Verrebbe da dirgli, “tu vieni dagli Stati Uniti e dovresti sapere che i politici se vogliono andare in televisione se la devono pagare, mentre gli specialisti parlano da specialisti, quando intervistati e poi finisce lì”. Qualcosa del genere gli dissi una volta su nFA, prendendola alla lontana (parlai di un mio professore dei tempi dell’università che aveva trascorso un periodo in una università americana e che era tornato completamente trasformato, a cominciare dalla pettinatura), lui subodorò immediatamente la trappola, e disse che le esperienze non sono tutte uguali.
Il Boldrin, forse perché consapevole che un economista non può sapere tutto, parla così ormai sempre più spesso di politica piuttosto che di economia. Ma qualche eccezione la fa, come nel dibattito su MicroMega dove si confronta con un un altro economista con la smania del protagonismo, tale Emiliano Brancaccio (una volta lessi – ma non so se sia effettivamente così – che quest’ultimo era stato lanciato da Giannino, e anche Boldrin è sicuramente nelle grazie di questo collega, tanto che in un recente dibattito di economia in un’auletta annessa al Senato, promossa da nFA ed altri, a gestire il tutto c’era proprio lui, Giannino). Ebbene, il Boldrin a un certo punto del dibattito con Brancaccio parla di tasse, e che fa? naturalmente premette che il sistema va semplificato e che va “ridotta la pressione fiscale”. Dice che bisogna combattere l’evasione fiscale, ma che ragionevolmente bisogna supporre che è impossibile debellarla del tutto, e poi attacca a testa bassa «il meglio che possiamo aspettarci di ricavare da un perseguimento appropriato dell’evasione fiscale in Italia, in termini di cifre, non sono i fantomatici 60 miliardi all’anno – con i quali tutti continuano a riempirsi la bocca, incluso il Pd – ma sono circa 10, 12 miliardi. Se riuscissimo ad avere un’amministrazione fiscale dello Stato efficiente come quella svedese – e già questo mi sembra un obiettivo ambizioso – la cifra che potremmo recuperare è di quell’ordine lì. Quanto poi al merito delle proposte sul fisco, io sono per una tassazione del reddito molto più bassa, e una tassazione dei consumi e dei patrimoni molto più alta. Bisogna spostare il carico dalle imposte dirette a quelle indirette e sul patrimonio. E naturalmente diminuire sostanzialmente questo carico».
Dunque il nostro economista a 360 gradi, che una volta si diceva liberale -ma poi, si sa come vanno queste cose- ha affermato, se non ricordo male, che il termine non gli interessava più di tanto (la giustificazione si può sempre trovare), ed aveva ragione perche’ ha finito per dichiararsi a favore di un aumento della tassazione indiretta. Esattamente come Mario Monti.
Forse è il caso di ricordargli che nella mitica America, che lui dovrebbe conoscere meglio di me (che la conosco da turista e dai miei studi sui sistemi politici), ma che invece sembra non gli abbia insegnato molto, le imposte indirette sono praticamente inesistenti. Tanto per essere chiari, l’Iva non esiste (tranne che, se non ricordo male, in un solo Stato, al 9%, ma non saprei dire su quali prodotti).
E forse è anche il caso di ricordargli che se si facesse in America quello che si sta facendo in Italia, e cioè l’esproprio dei proprietari, da quelle parti ci sarebbe all’istante un’altra rivoluzione, come quella che l’ha fondata, una rivoluzione che farebbe piazza pulita di tutta quella gente che in un modo o nell’altro alla fine finisce sempre per parlare di tasse, ovviamente da aumentare.
Luciano Priori Friggi (redazione@borsaplus.com)
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Chi scrive ha sempre sostenuto che gli economisti tout court non esistono. Esistono quelli specializzati sul mercato del lavoro, quelli in microeconomia, quelli di macro economia, o in economia industriale, ecc. Un Nobel per l’economia alcuni anni fa ad una domanda su come andassero le cose in generale nell’economia rispose che «la macro economia per lui era né più né meno che una materia sconosciuta, al pari della fisica». Lui aveva preso il Nobel per alcune formule relative ai mercati finanziari.
Michele Boldrin, che imperversa ultimamente sulle televisioni italiane, è un veneto trapiantato in America, sicuramente una persona intelligente, basta leggere qualche suo Paper, ma appunto è uno specialista di economia matematica, esattamente chiamata anche econometria.
Da qui a capire di economia in generale ce ne corre naturalmente, come ce ne corre tra l’attività di un ciabattino e quella di un fabbro. Insieme ad altri italiani, diventati economisti negli Stati Uniti, si è messo assieme in un blog, noisefromamerika.org (nFA, con Sandro Brusco, Alberto Bisin e altri), e ha fatto massa critica quanto a peso nel dibattito (si fa per dire) delle idee italiane. Lo abbiamo detto altre volte, e lo ripeto anche qui, gli economisti che intendono fare solo gli economisti, soprattutto se americani, non fanno blog collettivi, ma solo individuali (Mankiw, ecc.), con l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico più largo che non quello degli specialisti. Se tu fai un blog collettivo lo fai invece perché vuoi contare di più a livello politico. E nel nostro caso ciò avviene non nel paese dove tu stai lavorando, ma in quello di nascita.
Si sa poi come vanno le cose in questo paese: se incidi minimamente sull’opinione generale, c’è subito qualcuno che corre dalle tue parti e ti offre un posto in Parlamento, che come sappiamo è quella cosa che si fa perché si vogliono “gli interessi generali”, facendo violenza sui propri interessi individuali. Poi ci può scappare una bella pensione e tutto il resto, ma sono cose che oltretutto non puoi rifiutare, perché non è previsto e allora le subisci, certo con grande rammarico. Almeno una volta si diceva pubblicamente così, oggi non si salvano più neanche le apparenze.
Il Michele Boldrin, da giovane militante del Pci (e grande ammiratore di Berlinguer), aspira ad accedere alla casta politica, e dico questo non per malevolenza, perché anzi il soggetto è pure simpatico e come i simpatici può combinarne di tutti i colori (vedi Clinton), rischiando al massimo di aumentare solo la benevolenza del proprio pubblico verso se stessi; dicevo dunque che aspira a salire nell’empireo della casta, e per accertarsene basterebbe riguardarsi qualche trasmissione alla quale ha partecipato, dove tratta alla pari i politici presenti. Verrebbe da dirgli, “tu vieni dagli Stati Uniti e dovresti sapere che i politici se vogliono andare in televisione se la devono pagare, mentre gli specialisti parlano da specialisti, quando intervistati e poi finisce lì”. Qualcosa del genere gli dissi una volta su nFA, prendendola alla lontana (parlai di un mio professore dei tempi dell’università che aveva trascorso un periodo in una università americana e che era tornato completamente trasformato, a cominciare dalla pettinatura), lui subodorò immediatamente la trappola, e disse che le esperienze non sono tutte uguali.
Il Boldrin, forse perché consapevole che un economista non può sapere tutto, parla così ormai sempre più spesso di politica piuttosto che di economia. Ma qualche eccezione la fa, come nel dibattito su MicroMega dove si confronta con un un altro economista con la smania del protagonismo, tale Emiliano Brancaccio (una volta lessi – ma non so se sia effettivamente così – che quest’ultimo era stato lanciato da Giannino, e anche Boldrin è sicuramente nelle grazie di questo collega, tanto che in un recente dibattito di economia in un’auletta annessa al Senato, promossa da nFA ed altri, a gestire il tutto c’era proprio lui, Giannino). Ebbene, il Boldrin a un certo punto del dibattito con Brancaccio parla di tasse, e che fa? naturalmente premette che il sistema va semplificato e che va “ridotta la pressione fiscale”. Dice che bisogna combattere l’evasione fiscale, ma che ragionevolmente bisogna supporre che è impossibile debellarla del tutto, e poi attacca a testa bassa «il meglio che possiamo aspettarci di ricavare da un perseguimento appropriato dell’evasione fiscale in Italia, in termini di cifre, non sono i fantomatici 60 miliardi all’anno – con i quali tutti continuano a riempirsi la bocca, incluso il Pd – ma sono circa 10, 12 miliardi. Se riuscissimo ad avere un’amministrazione fiscale dello Stato efficiente come quella svedese – e già questo mi sembra un obiettivo ambizioso – la cifra che potremmo recuperare è di quell’ordine lì. Quanto poi al merito delle proposte sul fisco, io sono per una tassazione del reddito molto più bassa, e una tassazione dei consumi e dei patrimoni molto più alta. Bisogna spostare il carico dalle imposte dirette a quelle indirette e sul patrimonio. E naturalmente diminuire sostanzialmente questo carico».
Dunque il nostro economista a 360 gradi, che una volta si diceva liberale -ma poi, si sa come vanno queste cose- ha affermato, se non ricordo male, che il termine non gli interessava più di tanto (la giustificazione si può sempre trovare), ed aveva ragione perche’ ha finito per dichiararsi a favore di un aumento della tassazione indiretta. Esattamente come Mario Monti.
Forse è il caso di ricordargli che nella mitica America, che lui dovrebbe conoscere meglio di me (che la conosco da turista e dai miei studi sui sistemi politici), ma che invece sembra non gli abbia insegnato molto, le imposte indirette sono praticamente inesistenti. Tanto per essere chiari, l’Iva non esiste (tranne che, se non ricordo male, in un solo Stato, al 9%, ma non saprei dire su quali prodotti).
E forse è anche il caso di ricordargli che se si facesse in America quello che si sta facendo in Italia, e cioè l’esproprio dei proprietari, da quelle parti ci sarebbe all’istante un’altra rivoluzione, come quella che l’ha fondata, una rivoluzione che farebbe piazza pulita di tutta quella gente che in un modo o nell’altro alla fine finisce sempre per parlare di tasse, ovviamente da aumentare.
Luciano Priori Friggi (redazione@borsaplus.com)
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