Cecilia Zecchinelli per il "Corriere della Sera"
EMULAZIONE DI DANA BAKDOUNIS jpeg
La questione del velo, ripetono da anni le donne e molte femministe del mondo islamico, è «un falso problema». O almeno un tema esagerato dall'Occidente, che ignora le vere sfide delle musulmane, dal diritto di famiglia al più ampio sistema di tradizioni machiste. Ma in questi giorni l'hijab è diventato oggetto di una battaglia in Medio Oriente. Resa ancora più accesa, a sorpresa, dagli amministratori di Facebook.
Tutto inizia il 21 ottobre quando Dana Bakdounis, 21enne siriana cresciuta in Arabia Saudita e tornata in patria, decide di dare un valore politico alla decisione di essersi tolta il velo da un anno. Si fotografa a testa nuda, capelli corti, occhi truccati e braccia scoperte, mentre tiene tra le mani il passaporto con la foto da velata. «Sostengo "l'Intifada delle donne nel mondo arabo" perché per 20 anni non mi hanno permesso di sentire il vento sui capelli e sul corpo», scrive sotto al passaporto.
DANA BAKDOUNIS SULLA SUA PAGINA FACEBOOK
E pubblica appunto l'immagine sulla pagina Facebook dell'«Intifada delle donne», un forum che sostiene i loro diritti nella regione post-primavera, ospita dibattiti e pareri, oltre a una galleria con centinaia di foto dei sostenitori. Ognuna mostra un ritratto, con scritto il motivo dell'adesione alla campagna di «sollevazione» femminile.
Donne velate in viso, altre seminude, giovani,
anziane, anonime o celebri come la femminista egiziana Nawal Saadawi, qualche
uomo e un paio di bambini. C'è di tutto nella galleria. Ma quella foto di Dana
non c'è. Perché dopo aver suscitato molte reazioni, gli amministratori di
Facebook hanno deciso di toglierla. Creando un clamore ancora più
vasto.
BURQA
La scritta di Dana (più che i suoi capelli al vento: moltissime donne sono senza velo) aveva suscitato centinaia di adesioni, anche da donne che l'hijab lo portano ma rispettose della libertà di scelta. Aveva causato però anche prese di distanza, critiche, insulti, perfino minacce. Ma il 25 ottobre, l'immagine era sparita, l'account di Dana su Facebook veniva bloccato insieme a quello delle quattro fondatrici: due libanesi, una palestinese e una egiziana. Senza spiegazioni da parte del social network, diventato oggetto delle fortissime e pubbliche proteste delle amministratrici dell'«Intifada» che intanto davano il via a una campagna su Twitter in favore di Dana (#windtodana).
BURQA
Più volte quella foto è ricomparsa sulla pagina, per essere poi rimossa. Il braccio di ferro tra Facebook e le quattro attiviste (a cui si è aggiunta una saudita), è costata la sparizione della pagina «Intifada» dalla Rete per oltre una settimana. Ha dato nuovo vigore allo scontro tra integralisti pro-velo e liberali contrari. E ha creato molta antipatia, per non dire peggio, verso il social network che ha svolto un ruolo importante nelle primavere arabe.
«Abbiamo compiuto molteplici errori, ci scusiamo», ha finalmente reagito Facebook dopo lunghi giorni di silenzio (e censure), adducendo vaghi motivi per l'accanimento contro Dana, che non hanno però convinto le donne dell'Intifada. «Hanno detto che un commento alla foto era contro le loro regole, che sul passaporto si leggeva nome e cognome di Dana... Assurdo: tra loro ci deve essere qualcuno davvero irritato per le nostre foto», ha commentato Diana Haidar, una delle fondatrici. Che continua ovviamente ad usare il network, come milioni di arabi, ma con molto meno entusiasmo.
fonte: Dagospia
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