SCHEDA
La recente crisi economica greca ha riportato l’attenzione sul pericolo che una nazione dichiari "fallimento". Ma spesso è difficile capire gli effetti concreti per i cittadini. Con l'aiuto di un esperto abbiamo cercato di capire cosa succede a risparmi e servizi pubblici
Cosa significa fallimento per uno stato? E chi lo dichiara?
Il fallimento di uno stato indica che quel paese non è più in grado di far fronte ai debiti e agli interessi che maturano su questi. A dichiarare questa insolvenza può essere il governo o vari indicatori internazionali. Uno dei più riconosciuti è quello di Standard & Poor.
Cosa fa lo stato quando fallisce?
A differenza del fallimento di una banca o di un’azienda, non esiste un tribunale che può costringere uno stato a pagare i suoi debiti e le istituzioni internazionali non possono comunque violare la sovranità di un paese. E’ importante però capire che un “default” (termine con cui si indica un fallimento) non è mai totale, ma ci sono diversi livelli. Per semplificare, un paese punta sempre a “ristrutturare” un debito, ovvero cerca di raggiungere un accordo per cui invece di restituire la cifra pattuita, restituisce una cifra inferiore o spalmata su più anni.
Quali sono gli effetti sui dipendenti pubblici? E sulle tasse?
Se uno stato non ha più soldi con cui pagare i debiti, deve agire necessariamente sui suoi conti. Questo può avvenire in due modi: aumentare le entrate (alzando le tasse) o tagliare le spese. Nel secondo caso le voci più importanti sono tre: salari dei dipendenti pubblici, pensioni e sanità. E’ quindi inevitabile che il governo agirà con forza su queste tre voci. Tanto per riferirsi all’esempio greco, gli stipendi dei dipendenti pubblici sono stati tagliati di oltre il 20% e l’Iva alzata di 2 punti (e forse salirà ancora).
E sui servizi pubblici?
Il discorso fatto per le persone vale anche per i servizi. Se lo stato deve tagliare le spese, agirà con riduzioni dei salari e degli organici dell’amministrazione, influendo negativamente su tutti i servizi erogati. Sanità e pensioni sono due delle voci più “costose” del bilancio statale ed è assai probabile che finiscano per essere ridimensionate.
Che succede a chi ha dei titoli di stato, bot ecc?
Innanzitutto la cedola, che permette di incassare ogni anno una certa quota di interessi, non viene corrisposta, del tutto o in parte. Al momento della scadenza del titolo inoltre non si potrà più tornare in possesso del proprio investimento. A questo punto però è probabile che lo stato agisca invitando a una ristrutturazione del titolo. In poche parole: ti ridò qualcosa domani perché oggi non mi è possibile. In ogni caso un evento del genere porta al crollo o all’azzeramento del valore del titolo, con possibilità pressoché nulle di rivenderlo.
C’è un pericolo per i conti correnti? Sono garantiti?
La situazione è piuttosto complessa. Se lo stato non può pagare le banche con cui ha contratto un debito (perché magari hanno comprato titoli di stato), queste inevitabilmente si trovano senza liquidità e rischiano di fallire a loro volta. A tutto questo si deve aggiungere il piano psicologico dei mercati: se c’è il sentore di un fallimento, parte l’assalto agli sportelli e non c’è istituto che possa resistere al prelievo contemporaneo di buona parte dei suoi clienti. La copertura di garanzia dei conti correnti, decisa dalla banche centrali, non è mai totale e in caso di una crisi delle proporzioni di un fallimento di uno stato, non è detto che si trovino davvero le risorse per sostenerle.
E per i mutui? Anche qui dipende dalla banca. L'immobile resta di proprietà di chi ha acceso il mutuo, ma se l’istituto dichiara bancarotta, verrà nominato un liquidatore e le rate dovranno essere corrisposte ai creditori della banca insolvente. E’ anche vero che, come dimostrato dall’esempio americano, in caso di crisi generale il valore del mercato immobiliare potrebbe crollare tanto da rendere non conveniente continuare a pagare il mutuo con i prezzi fissati in periodo di stabilità. Se ad essere insolvente è invece chi ha acceso il mutuo, è l'istituto bancario che può vendere l'immobile per rifarsi dei crediti non riscossi.
(2 Maggio 2010)
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