Chi ci guadagna ad essere Fratelli d’Italia ?
«Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani». A 150 anni dalle parole di Massimo d’Azelio, possiamo ritenere concluso quel processo di unificazione che avrebbe dovuto compattare il popolo della penisola sotto un’unica nazione ? Se ancora discutiamo sui vantaggi dell’essere settentrionale o della ragion d’esser del meridionale, significa che la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli.
Senza girarci intorno, gli ultimi trent’anni della storia italiana sono stati caratterizzati da sprechi in ogni settore. Partendo dall’istruzione con la smodata proliferazione di facoltà, sedi distaccate e nuovi atenei, sulla base di interessi clientelari dei politici locali, complice una totale mancanza di trasparenza e controllo, i “baroni” hanno potuto far ciò che volevano arricchendo loro e la loro cerchia privilegiata. Passando per le strutture che garantiscono il welfare state, sino a toccare le imprese private immischiate negli appalti per la costruzione delle grandi opere pubbliche.
Una Repubblica sempre più gerontocratica come quella italiana, mal riesce a cogliere la necessità di riformare lo Stato dal basso, nessuno vuole far demagogia, ma è inconcepibile sentir parlare di “conoscenze importanti” per poter entrare a far parte della pubblica amministrazione, delle forze dell’ordine o in qualsiasi altro ambito lavorativo, e di conseguenza le conoscenze maturate durante un lungo iter scolastico prima e universitario poi siano vanificate dal primo raccomandato di turno.
Questa triste verità italiana trova riscontro tanto al sud quanto al nord, i soliti discorsi qualunquisti dunque su un sud arretrato ma ricco di risorse ed un nord ricco che ha saputo esprimere al meglio le sue potenzialità, lasciano spazio ad una riflessione ben più acuta. La questione è che il divario ostinato e inossidabile fra le due parti del Paese il cosiddetto «dualismo», al di là dell’ipocrisia e della retorica conviene purtroppo, oltre che al Nord, anche al peggior Sud. Divario significa anzitutto questo: che finché c’è un’altra Italia, un’Italia dove continueranno ad arrivare i soldi per una ripresa economica, soldi che poi andranno principalmente al Nord, la storia della Cassa del Mezzogiorno insegna, o verranno spartiti tra i "signorotti’ locali", fa capire quanto dietro ad un velo di ostinato “secessionismo” nei fatti la situazione vada fin troppo bene per l’intera elite politica nostrana.
Se lo Stato non interverrà in maniera tempestiva, bipartisan e decisa con forti investimenti accompagnati da un rinnovo della classe politica locale, tanto al nord quanto al sud, dove purtroppo la piaga della criminalità organizzata rappresenta l’aspetto più annoso da fronteggiare, sarà difficile, se non impossibile, risollevarsi da una condizione che diventa giorno dopo giorno più critica. Più fatti e meno parole quindi da parte di politici, prime donne e “comici”, che sembrerebbero l’unica corrente in grado di proporre un vero cambiamento ai vertici delle “poltrone importanti”, un’Italia in mano ai comici dunque per risalire la china.
La domanda di conseguenza sorge spontanea: "Come si fa a dire che gli italiani non fanno ridere?"
Benny Santoro
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