Miglioratori del pane, poco necessari ma molto utili
Se pensate che per fare il pane siano necessari solo farina, acqua e lievito vi sbagliate. Il “tecno-cibo”, così come descritto da Paolo C. Conti ne “La leggenda del buon cibo italiano” esiste veramente. Lecitina di soia, estratti di malto, amidi, acido ascorbico, proteasi. Lunga la lista degli ingredienti utili a produrre un pane buono, gustoso, croccante al punto giusto e che possibilmente si mantenga a lungo nel tempo.
L’impiego nel processo di produzione del pane dei cd “miglioratori” non è una novità. Almeno per i panificatori, visto che per un consumatore è pressoché impossibile saperlo. Per molti miglioratori non vige l’obbligo di indicazione in etichetta, nell’elenco degli ingredienti. E’ vero, si tratta di sostanze autorizzate dalla legge e dichiarate non nocive per la salute, ma il dubbio che il loro impiego sia correlato a un scarsa qualità del prodotto c’è. E allora perché non indicarli? Qualcosa si sta muovendo in seno al Ministero della Salute, dove è stato avviato un tavolo di lavoro sul tema proprio con i panificatori.
Miglioratori…diamogli un nome e cognome
Andando ad esaminare la normativa relativa a questo storico prodotto, notiamo come la definizione “miglioratore” non esiste. “Il termine ‘miglioratori del pane’, comunemente utilizzato, è piuttosto generico e si riferisce a tutti gli ingredienti e gli additivi che ne possono ‘migliorare’ il processo produttivo, le caratteristiche sensoriali o la conservabilità”, spiega a Help Consumatori Giampiero Sacchetti, tecnologo alimentare del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Teramo.
Nella lista dei miglioratori rientrano sia ingredienti veri e propri che additivi chimici o naturali. Nel primo caso troviamo prodotti come zuccheri, farine di cereali maltati, olio, strutto, latte che possono essere utilizzati per produrre pane o ‘pani speciali’. Pensiamo alla “Coppia ferrarese Igp” (pane tipico della provincia Ferrara), il cui disciplinare di produzione ne sancisce rigorosamente gli ingredienti, “strutto di puro suino” compreso.
“Oltre a questi ingredienti – continua Sacchetti – nella panificazione si possono usare sostanze chimiche, definite additivi, il cui utilizzo è regolamentato per legge”.
Pericolosi per la salute?
La premessa alla loro salubrità è che i miglioratori del pane sono leciti: “Si tratta di prodotti che per legge si possono usare”, precisa Mario Partigiani, Presidente di Assopanificatori. Anche Sacchetti è rassicurante: “Queste sostanze, entro i limiti d’impiego definiti, non costituiscono alcun rischio per la salute umana. Molti additivi utilizzati in panificazione sono assolutamente innocui e possono essere utilizzati senza limiti, alcuni hanno anche origine naturale (es. glutine, lecitina di soia, estratti di malto, amidi)”.
Così necessari?
Necessari no, ma utili sì. Come spiega Sacchetti “gli additivi servono essenzialmente a fini tecnologici (es. migliorare la facilità d’impastamento, velocizzare la lievitazione), ad ottenere caratteristiche desiderabili (mollica con alveolatura regolare, crosta fragrante) o ad aumentare la durata del pane (rallentare il raffermamento). Gli additivi sono utilizzati in alternativa ad ingredienti tradizionali (es. latte, farine maltate o grassi) perché permettono di migliorare il prodotto senza cambiarne drasticamente le caratteristiche sensoriali (gusto ed aroma) o senza aumentarne enormemente il contenuto calorico”.
Secondo l’esperto tecnologo “Nell’industria panificatoria i miglioratori sono utilizzati da lungo tempo ed alcuni di essi sono caratteristici di pani tipici della gastronomia italiana e non solo. Sebbene in alcuni casi gli additivi possano essere utilizzati per migliorare farine con caratteristiche qualitative non ottimali, il loro impiego è oggi anche legato all’esigenza di conservare il pane per tempi lunghi sugli scaffali dei punti vendita e per i pani parzialmente cotti”.
Help Consumatori ha incontrato alcuni panificatori di Roma, tutti artigianali. La risposta alla domanda: “Usate i miglioratori?” è stata unanime: un secco NO. Tutti hanno garantito che le farine acquistate non ne contenevano. Affermazione confermata da certificati degli stessi molini fornitori.
D’altra parte lo stesso Partigiani in un comunicato di qualche tempo fa aveva affermato: “Ci sentiamo di escludere l’uso generalizzato di tali miglioratori nella produzione della panificazione artigiana, ancorata a tradizionali metodologie di produzione, spesso pani tipici tutelati da denominazione di origine protetta e controllata e rientranti perciò in rigidi disciplinari di produzione e, nella totalità dei casi, in conformità alle norme di legge, all’interno di processi produttivi della filiera alimentare italiana”.
Spesso assenti in etichetta
“Alcuni miglioratori del pane (latte o strutto) ed alcuni enzimi utilizzati in panificazione (es. proteasi) sono stati messi sotto i riflettori perché hanno origine animale ed alcuni, in particolare, provengono da suini”, precisa Sacchetti. Non sono mancate infatti le polemiche di vegetariani e vegani per motivi etici o religiosi che hanno lamentato la presenza non segnalata di questi miglioratori di derivazione animale. Emblematico il caso delle proteasi, gran parte delle quali provengono dal pancreas del suino.
Il cuore del problema è proprio la non indicazione in etichetta di alcuni miglioratori. Quando si tratta di ingredienti veri e propri allora li troveremo indicati nella ricetta del prodotto, come nel caso della Coppia Ferrarese. Ma se la sostanza aggiunta si trasforma durante il processo di produzione non è dato saperne del suo impiego.
Partigiani ci porta l’esempio dell’acido ascorbico (un antiossidante) “L’artigiano può ordinare dal mugnaio la farina con l’acido ascorbico. Si tratta di un miglioratore, in questo caso, che sparisce durante la lavorazione. La presenza dell’additivo nella farina sarà indicato nell’etichetta del pacco di farina”. Ma non sull’etichetta del pane!
“Non si può affermare che un ingrediente ‘sparisca’ durante la lavorazione del pane. Le molecole presenti in alcuni ingredienti si modificano a seguito di reazioni chimiche e chimico-fisiche e non sono rilevabili in quanto tali nel pane, però i prodotti delle reazioni rimangono nel pane. Sia i miglioratori che gli additivi in molti casi si ritrovano in forma modificata nel prodotto finale ”, conclude Sacchetti.
Presto novità?
Quindi se il miglioratore nel prodotto finale non sparisce perché non indicarlo in etichetta? Qualcosa in questo senso si sta muovendo. Come ci è stato riferito da Partigiani, sono stati ben due gli incontri organizzati dal Ministero per trovare una soluzione che permetta al consumatore di avere una informazione trasparente e chiara. Alle riunioni hanno partecipato oltre ad Assopanificatori, anche Ascom (Associazione del commercio, del turismo, dei servizi) e Fippa (Federazione italiana panificatori)“più altri componenti di settore e tutti concordi di mettere la dicitura sul cartello degli ingredienti”.
A cura di Silvia Biasotto
L’impiego nel processo di produzione del pane dei cd “miglioratori” non è una novità. Almeno per i panificatori, visto che per un consumatore è pressoché impossibile saperlo. Per molti miglioratori non vige l’obbligo di indicazione in etichetta, nell’elenco degli ingredienti. E’ vero, si tratta di sostanze autorizzate dalla legge e dichiarate non nocive per la salute, ma il dubbio che il loro impiego sia correlato a un scarsa qualità del prodotto c’è. E allora perché non indicarli? Qualcosa si sta muovendo in seno al Ministero della Salute, dove è stato avviato un tavolo di lavoro sul tema proprio con i panificatori.
Miglioratori…diamogli un nome e cognome
Andando ad esaminare la normativa relativa a questo storico prodotto, notiamo come la definizione “miglioratore” non esiste. “Il termine ‘miglioratori del pane’, comunemente utilizzato, è piuttosto generico e si riferisce a tutti gli ingredienti e gli additivi che ne possono ‘migliorare’ il processo produttivo, le caratteristiche sensoriali o la conservabilità”, spiega a Help Consumatori Giampiero Sacchetti, tecnologo alimentare del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Teramo.
Nella lista dei miglioratori rientrano sia ingredienti veri e propri che additivi chimici o naturali. Nel primo caso troviamo prodotti come zuccheri, farine di cereali maltati, olio, strutto, latte che possono essere utilizzati per produrre pane o ‘pani speciali’. Pensiamo alla “Coppia ferrarese Igp” (pane tipico della provincia Ferrara), il cui disciplinare di produzione ne sancisce rigorosamente gli ingredienti, “strutto di puro suino” compreso.
“Oltre a questi ingredienti – continua Sacchetti – nella panificazione si possono usare sostanze chimiche, definite additivi, il cui utilizzo è regolamentato per legge”.
Pericolosi per la salute?
La premessa alla loro salubrità è che i miglioratori del pane sono leciti: “Si tratta di prodotti che per legge si possono usare”, precisa Mario Partigiani, Presidente di Assopanificatori. Anche Sacchetti è rassicurante: “Queste sostanze, entro i limiti d’impiego definiti, non costituiscono alcun rischio per la salute umana. Molti additivi utilizzati in panificazione sono assolutamente innocui e possono essere utilizzati senza limiti, alcuni hanno anche origine naturale (es. glutine, lecitina di soia, estratti di malto, amidi)”.
Così necessari?
Necessari no, ma utili sì. Come spiega Sacchetti “gli additivi servono essenzialmente a fini tecnologici (es. migliorare la facilità d’impastamento, velocizzare la lievitazione), ad ottenere caratteristiche desiderabili (mollica con alveolatura regolare, crosta fragrante) o ad aumentare la durata del pane (rallentare il raffermamento). Gli additivi sono utilizzati in alternativa ad ingredienti tradizionali (es. latte, farine maltate o grassi) perché permettono di migliorare il prodotto senza cambiarne drasticamente le caratteristiche sensoriali (gusto ed aroma) o senza aumentarne enormemente il contenuto calorico”.
Secondo l’esperto tecnologo “Nell’industria panificatoria i miglioratori sono utilizzati da lungo tempo ed alcuni di essi sono caratteristici di pani tipici della gastronomia italiana e non solo. Sebbene in alcuni casi gli additivi possano essere utilizzati per migliorare farine con caratteristiche qualitative non ottimali, il loro impiego è oggi anche legato all’esigenza di conservare il pane per tempi lunghi sugli scaffali dei punti vendita e per i pani parzialmente cotti”.
Molto utili con farine scadenti
Dunque si tratta di ingredienti e additivi, il cui impiego non è dannoso per la salute, non necessari ma utile. Eppure quanto fin qui detto non mette a tacere tutti i dubbi. Il sospetto più grande è che siano utilizzati per nascondere una farina di qualità non proprio eccellente. E Partigiani ce lo conferma: “Con farine scadenti è sempre bene mettere i miglioratori. Se si lavora una farina ottima non sono necessari”.
Meglio evitarli quindi. Sebbene sia chiaro che si tratti di sostanze o ingredienti leciti e non dannosi per la salute, un loro impiego sistematico potrebbe essere il sintomo di pane di bassa qualità.Dunque si tratta di ingredienti e additivi, il cui impiego non è dannoso per la salute, non necessari ma utile. Eppure quanto fin qui detto non mette a tacere tutti i dubbi. Il sospetto più grande è che siano utilizzati per nascondere una farina di qualità non proprio eccellente. E Partigiani ce lo conferma: “Con farine scadenti è sempre bene mettere i miglioratori. Se si lavora una farina ottima non sono necessari”.
Help Consumatori ha incontrato alcuni panificatori di Roma, tutti artigianali. La risposta alla domanda: “Usate i miglioratori?” è stata unanime: un secco NO. Tutti hanno garantito che le farine acquistate non ne contenevano. Affermazione confermata da certificati degli stessi molini fornitori.
D’altra parte lo stesso Partigiani in un comunicato di qualche tempo fa aveva affermato: “Ci sentiamo di escludere l’uso generalizzato di tali miglioratori nella produzione della panificazione artigiana, ancorata a tradizionali metodologie di produzione, spesso pani tipici tutelati da denominazione di origine protetta e controllata e rientranti perciò in rigidi disciplinari di produzione e, nella totalità dei casi, in conformità alle norme di legge, all’interno di processi produttivi della filiera alimentare italiana”.
Spesso assenti in etichetta
“Alcuni miglioratori del pane (latte o strutto) ed alcuni enzimi utilizzati in panificazione (es. proteasi) sono stati messi sotto i riflettori perché hanno origine animale ed alcuni, in particolare, provengono da suini”, precisa Sacchetti. Non sono mancate infatti le polemiche di vegetariani e vegani per motivi etici o religiosi che hanno lamentato la presenza non segnalata di questi miglioratori di derivazione animale. Emblematico il caso delle proteasi, gran parte delle quali provengono dal pancreas del suino.
Il cuore del problema è proprio la non indicazione in etichetta di alcuni miglioratori. Quando si tratta di ingredienti veri e propri allora li troveremo indicati nella ricetta del prodotto, come nel caso della Coppia Ferrarese. Ma se la sostanza aggiunta si trasforma durante il processo di produzione non è dato saperne del suo impiego.
Partigiani ci porta l’esempio dell’acido ascorbico (un antiossidante) “L’artigiano può ordinare dal mugnaio la farina con l’acido ascorbico. Si tratta di un miglioratore, in questo caso, che sparisce durante la lavorazione. La presenza dell’additivo nella farina sarà indicato nell’etichetta del pacco di farina”. Ma non sull’etichetta del pane!
“Non si può affermare che un ingrediente ‘sparisca’ durante la lavorazione del pane. Le molecole presenti in alcuni ingredienti si modificano a seguito di reazioni chimiche e chimico-fisiche e non sono rilevabili in quanto tali nel pane, però i prodotti delle reazioni rimangono nel pane. Sia i miglioratori che gli additivi in molti casi si ritrovano in forma modificata nel prodotto finale ”, conclude Sacchetti.
Presto novità?
Quindi se il miglioratore nel prodotto finale non sparisce perché non indicarlo in etichetta? Qualcosa in questo senso si sta muovendo. Come ci è stato riferito da Partigiani, sono stati ben due gli incontri organizzati dal Ministero per trovare una soluzione che permetta al consumatore di avere una informazione trasparente e chiara. Alle riunioni hanno partecipato oltre ad Assopanificatori, anche Ascom (Associazione del commercio, del turismo, dei servizi) e Fippa (Federazione italiana panificatori)“più altri componenti di settore e tutti concordi di mettere la dicitura sul cartello degli ingredienti”.
A cura di Silvia Biasotto
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