Siccome i vettori artificiali e i costrutti artificiali sono costituiti prevalentemente da materiale
genetico proveniente da virus e batteri normalmente presenti in natura, essi si potranno ricombinare
con i ceppi selvatici, potendo così condurre alla creazione di nuovi ceppi potenzialmente più
pericolosi.
Negli ultimi 40 anni e più è stato registrato un aumento dell’uso di medicine e antibiotici per
il trattamento delle malattie infettive. Tra le cause, oltre all’abuso di antibiotici, la distruzione
ecologica, il deterioramento della sanità pubblica, la malnutrizione, la povertà, la disintegrazione
sociale, l’aumento di viaggi e trasporti e le guerre, possiamo aggiungere anche l’ingegneria genetica
(Mae Wan Ho).
Per molti genetisti microbiologi medici ci sono pochi dubbi che il TGO e la ricombinazione
sono stati responsabili della creazione di nuovi patogeni e diffusione della resistenza ad antibiotici e
altri farmaci. Questi studiosi hanno affermato che la frequenza del TGO e la ricombinazione è
aumentata da quando è iniziata l’ingegneria genetica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dopo
aver ripetutamente negato quest’affermazione ha riconosciuto al TGO un ruolo nell’evoluzione dei
patogeni, ma nega che un ceppo benigno di microrganismi si possa trasformare in uno patogeno
attraverso l’acquisizione di geni trasferiti orizzontalmente da un microrganismo geneticamente
modificato (Mae Wan Ho).
Verso la metà degli anni Settanta, i pionieri dell’ingegneria genetica chiesero una moratoria
- la famosa dichiarazione di Asilomar – perché si preoccuparono di questa possibilità. Tuttavia,
dopo breve cedettero alle pressioni commerciali e la moratoria finì. L’argomento in questione non è
stato mai risolto, anche se, scoperte successive hanno fatto crescere di molto la sua rilevanza
specialmente per quanto riguarda la persistenza di DNA nell'ambiente, compreso l’intestino umano
anche dopo la morte degli organismi che lo abitano, e la facilità con cui tutte le cellule, comprese
quelle degli esseri umani, assorbono il DNA estraneo.
Creazione accidentale di virus assassini con l’ingegneria genetica
A gennaio 2001, il sospetto della creazione di virus pericolosi attraverso l’ingegneria genetica
venne alla luce. Alcuni ricercatori in Australia, durante un esperimento d’ingegneria genetica
trasformarono incidentalmente il virus innocuo dell’esantema del topo (mouse-pox virus) in un
patogeno altamente pericoloso. I ricercatori, inoltre, mostrarono uno dei modi in cui potrebbe
avvenire questo processo: è sufficiente inserire nel virus un gene codificante per una proteina che
sopprime il sistema immunitario, come ad esempio l'interleuchina-4. Geni simili a questo sono
presenti nelle colture transgeniche allevate in campi sperimentali in Canada, come evidenziato da
Joe Cummins. Ci sono molte opportunità per virus benigni, presenti nell’ambiente, di diventare
simili a virus assassini, semplicemente attraverso l’assorbimento dalle colture transgeniche
contenenti il gene che codifica la proteina che sopprime l’immunità.
Ma non è tutto, anche durante altre ricerche di routine su patogeni pericolosi per produrre
vaccini, i genetisti hanno creato virus ibridi accidentalmente. Si veda per esempio il virus SHIV, un
virus ibrido tra il virus che causa l'AIDS nell’uomo e quello che causa l'AIDS nella scimmia, usato
come virus test per saggiare i vaccini per l'AIDS in laboratorio. Molti vaccini AIDS stessi – fatti
con geni di glicoproteine (gp 120) del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) – sono così
pericolosi che un gruppo di virologi diretti da Veljko Veljkovic dell’Istituto di Scienze Nucleari di
Belgrado ha richiesto di bloccare gli esperimenti clinici. La società ProdiGene, ad esempio, che per
produrre vaccini ha inserito la proteina gp120 nelle piante di mais, è stata querelata per aver
contaminato colture alimentari con colture ingegnerizzate; in tale occasione scienziati come Veljko
Veljkovic e Mae Wan Ho dichiararono al giornale AID Science la pericolosità di questo
procedimento, mettendo in evidenzia il fatto che in tal modo si potrebbe anche rischiare di mettere
in circolazione una sorta di arma biologica.
La maggior parte dei patogeni mortali prodotti dall’ingegneria genetica è creata e liberata
nell’ambiente senza che nessuno se ne accorga. Grandi quantità di DNA transgenico, con geni virali
e batterici e combinazioni nuove di geni di organismi diversi possono essere liberate nell’ambiente
dalle attrezzature di laboratorio usate come contenitori di residui di DNA, sulla base del
presupposto che il DNA una volta scaricato nell’ambiente si disintegra subito. Il DNA transgenico è
anche rilasciato deliberatamente nell’ambiente con le coltivazioni di piante geneticamente
modificate (GM) che generano polline, polvere e residui; tra le colture GM ci sono anche quelle
ingegnerizzate con materiali genetici che producono farmaci e vaccini.
Il DNA transgenico e il cancro
Mae Wan Ho ha affermato che il cancro può essere generato dall’integrazione di geni estranei nel
genoma delle cellule attraverso la terapia genica.
La terapia genica consiste nella modificazione genetica di cellule umane, usando costrutti
simili a quelli usati nella modificazione genetica di animali e piante. La cosa preoccupante di alcuni
casi di sperimentazione di questa terapia effettuati in Francia è che sono stati ottenuti solo 9
successi, dopo 14 anni di prove cliniche e ricerche in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia,
nonostante il fatto che i pazienti furono trattati con una procedura disegnata per minimizzare i rischi
di cancro, in alcuni casi le cose non andarono come sperato. Ai pazienti, infatti, furono prelevate dal
midollo spinale alcune cellule che furono poi trasformate in vitro usando un vettore derivato da un
virus contenente il costrutto transgenico. Tra tutte le cellule trasformate si scelsero quelle desiderate
e si trapiantarono nuovamente nel paziente originario. La domanda rimasta senza risposta, anzi la
domanda mai posta durante l’inchiesta che ne seguì, era se il costrutto transgenico si fosse mosso di
5
nuovo dopo il trapianto: nessuna caratterizzazione molecolare fu eseguita finché non si verificò il
primo problema. Nel primo paziente analizzato, il vettore virale che conteneva i nuovi geni
introdotti si era integrato in prossimità del gene LM02, causandone la super-espressione, cosa che a
sua volta condusse alla proliferazione incontrollata dei globuli bianchi e quindi allo sviluppo della
leucemia nel paziente. Venne fuori che il vettore virale si era integrato vicino allo stesso gene anche
in un secondo paziente, che allo stesso modo sviluppò la leucemia. Da allora, una terapia simile è
stata praticata in un terzo bambino che dopo poco tempo non mostrava ancora segnali di leucemia.
Tuttavia, il 10 febbraio 2003, i membri del NIH (National Institute of Health) degli Stati Uniti e
quelli del RAC (Recombinant DNA Advisory Committee) si incontrarono e decisero di
raccomandare questo particolare tipo di terapia genica solo nel caso in cui i pazienti non rispondono
ad altri trattamenti – come il trapianto di midollo spinale convenzionale prelevato da donatori
compatibili – omettendo però di dire che anche altri vettori comportano lo stesso rischio.
Il DNA transgenico non è uguale al DNA naturale
I fautori dell’ingegneria genetica amano rassicurare il pubblico affermando che il DNA è DNA, non
importa come si fa o come si ottiene e affermano: abbiamo mangiato una quantità di DNA con i
nostri cibi e non siamo mai diventati né cavoli né mucche, quindi perché dovremmo preoccuparci
del DNA transgenico? (Mae Wan Ho).
Già abbiamo detto perché dovremmo preoccuparci del DNA transgenico, ma osservandone
la struttura di base, possiamo osservare ancora meglio quanto il DNA transgenico è diverso da
quello naturale. I geni non sono mai trasferiti da soli, ma in unità note come cassette di espressione
di geni (una cassetta può contenere più di un costrutto) Ciascun gene, infatti, per poter essere
espresso correttamente, deve essere accompagnato da uno speciale pezzo di DNA regolatore, il
promotore, che segnala alla cellula di accendere il gene, attivandone la trascrizione, e da una
sequenza detta terminatore che ferma la trascrizione e permette che quanto trascritto possa essere
ulteriormente processato e tradotto in proteina. La più semplice cassetta di espressione (un solo
costrutto) è simile a questa:
Generalmente, ciascun pezzo del costrutto (promotore, gene, terminatore) deriva da una
fonte diversa. Il gene stesso può anche essere composto da pezzi di diversa origine. Spesso un
costrutto non è sufficiente a ingegnerizzare la pianta. E in alcuni casi servono più cassette. Diverse
cassette sono, frequentemente, legate in serie o “accatastate” in una grossa cassetta o costrutto
finale. Almeno una delle cassette (o costrutti) di espressione sarà quella con il gene marcatore per la
resistenza all’antibiotico, che consente alle cellule trasformate con successo dal costrutto estraneo,
di essere selezionate utilizzando specifici antibiotici. In alcuni casi può capitare che queste sequenze
capaci di conferire resistenza agli antibiotici restino nell’organismo transgenico.
I blocchi di materiale genetico del costrutto sopra disegnato, di origine diversa, sono legati
da semplici linee per indicare la potenziale debolezza dei legami. Tali costrutti artificiali sono noti
per essere strutturalmente instabili: tendendo a rompersi e a inserirsi in punti diversi, talvolta anche
in un numero di copie ripetute. Questa instabilità strutturale non va sottovalutata perché può
aumentare il TGO e la ricombinazione.
Promotore Gene Terminatore
6
Il promotore CaMV 35S
Il virus del mosaico del cavolfiore (CaMV) infetta normalmente le piante della famiglia dei cavoli.
Uno dei suoi promotori, il promotore 35S, è stato ampiamente usato in colture GM sin dall’inizio
dell’ingegneria genetica, prima che venissero alla luce alcuni suoi caratteri preoccupanti. Il più serio
di questi è che il promotore 35S sembra avere al suo interno un punto caldo per la ricombinazione,
per cui tende a ricombinare con altro DNA.
Sin dall’inizio degli anni Novanta sono sorti alcuni dubbi a proposito della sicurezza di geni
virali incorporati nelle piante GM per renderle resistenti agli attacchi da virus. Molti dei geni virali
tendono a ricombinare con altri virus generandone di nuovi: nel 1994, Joe Cummins fu tra i primi a
fare osservazioni sul promotore CaMV35S mettendone in dubbio la sicurezza.
Nel 1999, l’evidenza definitiva sul punto caldo alla ricombinazione del promotore CaMV
35S fu fornita da due lavori pubblicati, indipendentemente, da due gruppi di ricercatori. Ciò spinse
il gruppo di Mae Wan Ho a condurre un’analisi critica della sicurezza che comporta l'impiego del
promotore CaMV35S. Si evidenziò così che il punto caldo per la ricombinazione del promotore
CaMV35S è affiancato da diversi elementi noti per essere coinvolti in processi di ricombinazione e
simili ad altri punti caldi, tra cui anche gli estremi del DNA di Agrobacterium tumefaciens usato
come vettore per la trasformazione delle piante. Inoltre, questo promotore funziona con efficienza
in molti organismi diversi (piante, alghe verdi, lieviti ed Escherichia coli) ed è dotato di struttura
modulare, cioè formato da parti comuni a, e quindi interscambiabili con, diversi promotori di altri
virus capaci di infettare sia le piante che gli animali.
Tali scoperte suggeriscono che i costrutti transgenici con il promotore CaMV35S
dovrebbero essere particolarmente instabili e inclini al trasferimento genico e alla ricombinazione,
con tutti i rischi che ne conseguono: mutazioni geniche dovute a inserzioni casuali, cancro,
riattivazione di virus dormienti e generazione di nuovi virus. Queste considerazioni furono
particolarmente rilevanti alla luce del rapporto di Ewen e Pusztai, pubblicato sulla rivista The
Lancet, nel quale si evidenziava che certe patate transgeniche contenenti il promotore CaMV35S
possono essere nocive per i ratti. Gli autori suggerirono che una parte significativa degli effetti
potrebbe essere dovuta “al costrutto o alla trasformazione genetica o a entrambi”. Successivamente
a tali risultati, il gruppo di Ho chiese l’immediato ritiro di tutte le colture GM contenenti il
promotore CaMV35S.
Il problema dei costrutti transgenici risiede nel fatto che tutti o quasi tutti gli elementi
integrati nei genomi nel corso dell’evoluzione sono stati “addomesticati”, si sono adattati alle
condizione del loro ospite e hanno ridotto la loro mobilità da un individuo a un altro. Tuttavia
l’integrazione di costrutti transgenici prima non presenti (come nel caso di quelli contenenti il
promotore CaMV35S) possono mobilizzare tali elementi, che a loro volta possono fungere da
vettori per destabilizzare il DNA transgenico e favorirne il trasferimento.
Evidenze del trasferimento orizzontale del DNA transgenico
Un mutante di una pianta selvatica, l'Arabidopsis, resistente agli erbicidi fu ottenuto attraverso
mutagenesi convenzionale in un laboratorio al Department of Ecology and Evolution dell'Università
di Chicago. Questo mutante fu usato per creare una linea transgenica (un OGM) mediante
introduzione del gene mutato nelle cellule delle altre piante che bisognava rendere resistenti agli
erbicidi. Sia il mutante sia le piante transgeniche furono in grado di trasmettere la resistenza agli
erbicidi alle piante normali di Arabidopsis che crescevano nelle vicinanze, ma con un rapporto
variabile: il transgene delle piante transgeniche risultò 30 volte più diffuso tra le piante selvatiche
rispetto al gene mutato originario. Questa differenza è difficile da spiegare se ci si basa
esclusivamente sulle diverse capacità d’impollinazione delle piante: perché non pensare che sia
legata a effetti inattesi del vettore? Perché non ipotizzare che le piante transgeniche potessero
produrre più polline o polline più vitale? O che si potesse verificare un trasferimento genico
7
orizzontale (TGO) attraverso gli insetti che visitano le piante per il polline e il nettare o che
succhiano la linfa? Queste possibilità, che non possono essere escluse a priori, non furono
investigate e, indipendentemente dal modo in cui il transgene si diffonde, l’esperimento mostrò che
il DNA transgenico era capace di comportarsi in maniera diversa dal DNA non transgenico e che in
particolare può diffondersi con una capacità superiore al DNA mutante e naturale.
Il trasferimento orizzontale di transgeni e di geni marcatori per la resistenza agli antibiotici
da piante geneticamente ingegnerizzate a batteri e funghi del suolo è stato registrato in laboratorio
la prima volta verso la metà degli anni Novanta. Il trasferimento di transgeni a funghi fu ottenuto
semplicemente allevando funghi insieme a piante transgeniche e il trasferimento ai batteri attraverso
l’applicazione di DNA totale, estratto da piante transgeniche, a colture di batteri.
Verso la fine degli anni Novanta, fu possibile estrarre i geni per la resistenza alla kanamicina
dalle foglie di piante transgeniche e trasferirli a batteri del suolo del tipo Acinetobacter;
l'esperimento fu condotto con successo con diversi tipi di piante GM: patata (Solanum tuberosum),
tabacco (Nicotiana tabacum), barbabietola (Beta vulgaris), colza (Brassica napus), pomodoro
(Lycopersicon esculentum). Secondo alcune stime, le sequenze transgeniche presenti in una singola
pianta GM dovrebbero essere sufficienti per trasformare circa 109 batteri.
Nel 1999, alcuni ricercatori tedeschi riportarono i risultati del primo esperimento di
monitoraggio in campo che forniva l’evidenza che il DNA transgenico si trasferiva dai residui della
barbabietola da zucchero ai batteri del suolo.
Il DNA non solo persiste nell’ambiente, sia nel suolo sia nell’acqua, ma esso non si degrada
in modo sufficientemente veloce nel sistema digestivo per prevenirne il trasferimento ai
microrganismi residenti nell’intestino degli animali. La letteratura scientifica esistente mostra che il
rischio di TGO esiste.
Conclusioni
Quanto finora riportato mostra come il trasferimento genico orizzontale (TGO) esista realmente,
sebbene la ricerca per studiarne i meccanismi non venga pianificata adeguatamente. La valutazione
del rischio per l’ambiente non può concentrarsi solo sulle distanze di coltivazione per evitare la
contaminazione delle colture circostanti dal trasferimento genico verticale (cioè attraverso
l’impollinazione), ma deve considerare anche il trasferimento genico orizzontale del DNA
transgenico che è molto più pericoloso e subdolo di quello verticale perché non conosce distanze né
barriere tra specie. La letteratura esistente sul TGO è sufficiente a dimostrare che la coesistenza di
piante transgeniche con piante non transgeniche è impossibile. La coesistenza significa, in modo
certo, contaminazione anche di piante e microrganismi appartenenti a specie molto diverse e
lontane. In definitiva, le piante transgeniche non solo non servono e non risolvono i problemi della
fame nel mondo, ma sono anche nocive per la salute, l’ambiente e la biodiversità. Non si
comprende perché, nonostante le evidenze, il TGO è completamente ignorato dalle istituzioni
pubbliche deputate a salvaguardare la salute dell’uomo. Se il TGO ricevesse la dovuta attenzione,
gli OGM sarebbero ormai solo un ricordo. Il vero flagello dell’ingegneria genetica è il DNA
transgenico, un DNA instabile e facile alla ricombinazione. L’ingegneria genetica non funziona: gli
OGM non risolvono i problemi della fame nel mondo e sono nocivi per la salute. Qualunque
governo bene informato non dovrebbe consentire l’introduzione, la coltivazione e l’uso di piante
transgeniche, sia per usi alimentari che non alimentari.
Ringraziamenti
Ringrazio Mae Wan Ho, Direttrice della rivista Science in Society, e Joe Cummins, Professore
Emeritus di Genetica all’Università di Western Ontario, perché senza i loro contributi, questo
lavoro non sarebbe stato possibile. Desidero ringraziare anche Giovanni Monastra e gli
organizzatori del Convegno “Task Force per un’Italia Libera da OGM”, svoltosi presso
8
l’Auditorium Ara Pacis di Roma, il 20 luglio 2010, per avermi dato la possibilità di intervenire e
presentare i risultati riportati nel presente lavoro.
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