sabato 20 aprile 2013

La democrazia è morta

L’ultimo, Giorgio Napolitano lo fece nel novembre del 2011. E sappiamo com’è finita. Oggi l’Italia poteva avere un nuovo Presidente. Potevano scegliere un uomo che tutto sommato aveva la loro casacca e che dava qualche garanzia in più. Ci hanno provato con Franco Marino. Ci hanno provato con Romano Prodi. Volevano provarci con D’Alema, Alla fine, pur di non votare Rodotà, voluto dai cittadini che li hanno eletti, sono stati chiamati al Quirinale (a che titolo? E come mai nessuno ha chiamato il Movimento Cinque Stelle?) e, cadute tutte le foglie di fico, hanno svelato l’inciucio. E pur di realizzare un nuovo, consapevole, sfregio alla volontà popolare, non si sono fatti scrupolo di richiamare in servizio lui, l’uomo che rende possibile qualunque cosa, il facilitatore maximo. Hanno proclamato la reinvestitura di Re Giorgio e concordato un nome utile a continuare il percorso del rigore, lasciato a metà dal sobrio predecessore, per Palazzo Chigi. A nulla sono servite le proteste della stessa base del Partito Democratico. A nulla gli strappi dei Giovani Turchi. A nulla le dimissioni di Bersani e della Bindi. E a nulla, infine, sono servite le autostrade a dodici corsie spalancate dall’unica forza politica ancora rappresentativa dei cittadini, che avrebbero portato scorrevolemente dall’elezione di Stefano Rodotà alla formazione di un Governo realizzato dai cittadini per i cittadini. Per l’ennesima volta, le aspirazioni legittime del popolo sono state mortificate da un ristretto gruppo di potere che ha in pugno tutto e crede di non dover rendere conto a nessuno, utilizzando regole e garanzie istituzionali pensate per tutelare molti, ma sempre e solo nella direzione di ciò che conviene a pochi. Le piazze sono piene. Piene di quegli stessi cittadini che solo due mesi fa hanno votato per essere degnamente rappresentati, e già oggi si sono resi conto che il loro voto non è stato sufficiente a cambiare da subito il sistema. E’ significativo che vi sia un certo numero di parlamentari – circa 162 – che possono permettersi di uscire dal Palazzo e andare a raccogliere gli applausi della folla. Ed è altrettanto significativo che tutti gli altri non se lo possano permettere, e utilizzino le uscite secondarie per sottrarsi al giudizio popolare. Eppure, tutto questo non conta nulla. L’unica rappresentazione che conta è quella dei media, che rispolverano assonanze infelici come “Marcia su Roma”, terminologia che non è stata usata da nessuno, per screditare una legittima protesta, peraltro già in atto da giorni. Una protesta condivisa, nel privato, da molti dei giornalisti di Palazzo, perfettamente consapevoli dello stiracchiamento costituzionale che si consuma ormai con una certa regolarità sotto ai loro occhi, mentre l’unico allarme democratico che conoscono è quello del numero esatto dei voti che i candidati alla Presidenza della Repubblica espressi dalla base del movimento cinque stelle hanno totalizzato. Mentre vi scrivo, dalle finestre aperte della Camera arrivano le urla della piazza. E non è un rumore che possa far piacere sentire. Credetemi.

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