domenica 2 dicembre 2012

I sudditi non contano un cazzo !

di Paolo Becchi
Re Giorgio, nelle sue recenti dichiarazioni in merito alle prossime elezioni politiche, ci ha avvertito: la Seconda Repubblica è finita, per sempre. Nessun “premierato”, nessuna investitura diretta del Capo del Governo: «dopo le elezioni il mio successore alla Presidenza della Repubblica terrà le consultazioni e in quella sede ogni partito potrà esporre le sue preferenze e le sue proposte sulla personalità a cui conferire l’incarico». Consultazioni, mandato esplorativo, incarico... La Terza Repubblica, nata con il 18 Brumaio di Napolitano I, appare infestata dai fantasmi della Prima. Sono il Capo dello Stato e sono i partiti a legittimare il Governo, e non il voto dei cittadini. Ed è per questo che Monti non dovrà candidarsi, perché la sua legittimazione, se ci sarà, continuerà a passare per gli accordi interni al Palazzo: «è senatore a vita: non si può candidare al Parlamento perché è già parlamentare»; potrà, tuttavia, essere «coinvolto» e «continuare a fare il presidente del Consiglio, dopo il voto, in un governo politico e non più tecnico». Sarà dunque possibile, secondo Re Giorgio, che il prossimo premier non passi attraverso la legittimazione delle elezioni, come avrebbe voluto lo sviluppo naturale della Seconda Repubblica, di cui la legge elettorale è espressione.
Forse è bene, anzitutto, fare due osservazioni sulla “non candidabilità” di Monti in quanto senatore a vita. In primo luogo, ai sensi dell’attuale legge elettorale il candidato premier non deve necessariamente presentarsi anche come candidato alla Camera o al Senato. L’art. 14 bis introdotto dalla legge n. 270 del 2005, il cosiddetto Porcellum, infatti, dispone che «i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica». Dal momento che nulla impone, nella nostra Costituzione, che il Presidente del Consiglio sia anche un parlamentare – deputato o senatore –, Monti potrebbe benissimo venire candidato premier senza partecipare, nel contempo, alle elezioni alla carica di deputato o senatore (quale è già). Né, del resto, l’attuale legge elettorale impone che il “capo della forza politica” indicato nel programma elettorale sia necessariamente anche il candidato a Presidente del Consiglio. Con “capo della forza politica”, infatti, il Porcellum ha inteso far ricorso ad un’espressione generica, perfino “rozza”, se si vuole [cfr F. Lanchester, La Costituzione tra elasticità e rottura, 2011, p. 64]. Del resto, come la legge stessa precisa, questa indicazione continua a non implicare, almeno formalmente, un rapporto diretto tra voto ed elezione del Presidente del Consiglio [cfr. anche Corte Cost., sentenza 23/2011: «la disciplina elettorale, in base alla quale i cittadini indicano il “capo della forza politica” o il “capo della coalizione”, non modifica l’attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, operata dall’art. 92, secondo comma, Cost., né la posizione costituzionale di quest’ultimo»].
È sorprendente che queste banalità né Montezemolo né Casini l’abbiano capita. Fatti loro. Apro parentesi: l’ha invece capita – e sembra l’unico – il Movimento Cinque Stelle, il quale, nel suo programma politico e nelle recenti regole interne per le candidature, ha precisato che, in forza dell’art. 14 del Porcellum, il Movimento si definisce come «il gruppo politico organizzato che, riconoscendo come capo politico e suo rappresentante Beppe Grillo» e che, pertanto «depositerà il contrassegno quale segno distintivo delle liste dei candidati e del programma formati secondo le procedure in Rete del Movimento 5 Stelle». Grillo sarà dunque il “capo politico” del Movimento Cinque Stelle, sebbene egli – qualsiasi cosa accada – non sarà mai né parlamentare né Presidente del Consiglio, in quanto il programma del Movimento prevede la «non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati» (e Grillo, come noto, è stato condannato, con sentenza passato in giudicato nel 1988, per omicidio colposo).
Chiusa la parentesi, ritorno a Monti. Solo per notare come, nonostante le dichiarazioni di Napolitano, resterebbe comunque sempre aperta la facoltà per Monti di rassegnare le proprie dimissioni dalla carica di senatore a vita, soggette allo stesso regime delle dimissioni dei senatori elettivi. Un senatore “non eletto”, del resto, potrebbe sempre pretendere di aspirare «con la propria candidatura in una competizione elettorale, all’ufficio di senatore eletto», in tal modo modificando la propria legittimazione [L. Arcidiacono, La previsione dei senatori a vita e di diritto ed i suoi possibili effetti sul funzionamento della forma di governo, in «Studi per Giovanni Nicosia», 2007, p. 256].
Non vi è alcun ostacolo, pertanto, alla esplicita candidatura di Monti a «capo di una forza politica o di una coalizione» – come si esprime l’attuale legge elettorale –. Si tratta, piuttosto, di ragioni d’opportunità politica o, per esprimersi più chiaramente, della volontà di Re Giorgio di evitare ogni legittimazione elettorale diretta, da parte dei cittadini, del Capo del Governo, in modo da sancire definitivamente il tramonto del “berlusconismo” e della Seconda Repubblica. Il Presidente della Repubblica aveva più volte richiesto la riforma della legge elettorale. Ora fa capire che, se anche formalmente essa non verrà modificata, egli imporrà comunque, de facto, una sorta di interpretazione abrogativa, attraverso una “prassi costituzionale” che impedisca ai cittadini di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio.

In questi giorni i partiti hanno ripreso a discutere le possibili modifiche. Il “lodo Calderoli” ha tentato una nuova mediazione tra le forze politiche, proponendo un premio alla prima coalizione sopra il 35% e alla prima lista tra il 25 e il 35% con diversi scaglioni. Di fatto, soltanto la coalizione che superi il 38% potrà raggiungere il 50,5% dei seggi alla Camera. Minima osservazione: dietro tutte queste cifre si cela un solo obiettivo, che è quello di impedire ad un partito che si presenti fuori da una coalizione di poter conseguire, ottenendo la maggioranza relativa, il premio previsto dall’attuale legge elettorale. Quante sono, oggi, le forze politiche che correranno alle prossime elezioni da sole – senza alleanze e coalizioni – e che, secondo le proiezioni attuali, avrebbero la possibilità di ottenere la maggioranza relativa? Una sola: il Movimento Cinque Stelle. Lo ripeto, pertanto, ancora una volta: la legge elettorale verrà usata – sia che venga effettivamente modificata sia che ci si limiti ad interpretarla secondo il dettato di Re Giorgio – in funzione puramente negativa, ad personam, per impedire che il Movimento Cinque Stelle possa, come rischia di fare, ottenere la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Ai nostri “partiti”, tutto ciò non può che far comodo, in fondo. Il Centrodestra ha ben compreso come il prossimo voto popolare si appresti ad essere semplicemente un’ «arma ormai genuinamente ludica», come ha scritto di recente Giuliano Ferrara, in un intervento su «Il Giornale» [Basta, mi arrendo: starò con Silvio, 25 Novembre 2012]. Sa bene che l’unica possibilità che ha è evitare che il prossimo governo si formi direttamente alle urne: meglio nei corridoi ed in quel che resta delle segreterie di partito, nella speranza – o nell’illusione – che un risultato intorno al 10% alle elezioni possa consentire di giocare qualche ruolo al tavolo delle trattative. Dico “illusione” perché la Destra è ormai finita nel nulla e chi come Ferrara fiuta l’odore del sangue, sa che la battaglia è persa comunque, ma vuole almeno morire con dignità sul campo. Berlusconi, del resto, annunciando che forse “tornerà in campo”, sembra ormai aver indossato, per un’ultima replica a teatro, la parrucca del Filippo II di Schiller: «Sono ancora vivo! Ti ringrazio, Natura! Sento nei miei muscoli una forza giovanile. […] Vediamo come si può sopravvivere senza di me! Per una sera il mondo è ancora mio. Voglio trarre profitto da questa sera, perché per dieci generazioni dopo di me nessuno riesca a mietere un raccolto da questo terreno dove ha imperversato un simile incendio!» [Don Carlos]. Vale a dire: perderemo, ma sono ancora in grado, con un ultimo gesto, di rovinare la Destra per le prossime generazioni.
Da Sinistra, arriverà, con il ballottaggio e dopo la farsa dell’election day, l’affermazione di Bersani alla guida del Pd. La sua leadership ne uscirà comunque rafforzata, ma non abbastanza per correre alle elezioni da solo: sarà costretta a formare una nuova armata Brancaleone non dissimile, almeno per certi versi, a quella del “prode” Prodi. Il destino sembra ormai segnato: è probabile che, se ne avrà i numeri, Bersani si trovi lui ad indossare i panni del “Monti-dopo-Monti” e di traghettare la Terza Repubblica alla sua meta, con Monti for President. Avremo all’opera la coppia più bella del mondo, per completare l’operazione iniziata di salvataggio dell’Euro costi quello che costi, quando invece il compito sarebbe stato quello di salvare i cittadini italiani dalla moneta unica. Se l’impresa non dovesse riuscire, il “tecnico” potrà sempre diventare un “politico” nel governo di un Paese che dovrà completare l’opera di Rigor Mortis: sì, proprio mortis, perché del popolo italiano dissanguato non resterà che il cadavere.
In questo gioco al massacro, resta soltanto una sola incognita, un solo possibile imprevisto: il Movimento 5 Stelle. Un movimento fuori dallo Stato, ma radicato nella società italiana, capillarmente, come ha mostrato il recente successo in Sicilia. E quando un movimento si radica nel tessuto sociale prima o poi non può che arrivare anche allo Stato. E’ evidente che il Movimento Cinque Stelle abbia molti nemici, ed incontri oggi sempre più ostacoli e tentativi di frenarne l’avanzata: la discussione sulla modifica della legge elettorale, le primarie di Centrosinistra e forse, di Centrodestra, la volontà di evitare che il prossimo Capo del Governo possa essere eletto direttamente dai cittadini, stanno cercando di annientare ogni possibilità, per il popolo, di esprimere alle urne la propria volontà. L’unica speranza è che il Movimento Cinque Stelle riesca davvero a “sfondare” il muro della politica della Terza Repubblica, a fare tabula rasa, per salvare il Paese.

“Ci vediamo in Parlamento”, come ripete Grillo: ma bisognerà arrivarci con numeri alti ed è possibile farcela solo con un movimento unito, senza se e senza ma, intorno al suo capo.

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