Negli ultimi due millenni il livello dei mari non è mai stato così alto come adesso. Almeno lungo tutta la costa atlantica degli Stati Uniti. Questi i dati di uno studio internazionale, finanziato dalla National Science Foundation (NSF) e pubblicati sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences. Le analisi dimostrano ancora una volta che c’è un legame molto stretto tra l’aumento della temperatura e l’innalzamento del livello dei mari, un fenomeno che potrebbe avere conseguenze devastanti.
Per ricostruire con precisione il livello del mare gli scienziati hanno esaminato i resti di foraminiferi, minuscole creature che vivono nel plancton, conservati in sedimenti estratti da paludi costiere nel Carolina del Nord. Visto che diverse specie di foraminiferi vivono a profondità diverse, i loro resti hanno indicato con buona approssimazione quanto era alto il fondale in epoche diverse. Grazie a tutti questi dati, insieme a quelli riguardanti le variazioni della temperatura globale, gli scienziati hanno sviluppato il primo modello del livello del mare ripercorrendo gli ultimi 2 millenni. Hanno così scoperto che nel periodo che va da 200 aC al 1.000 dC il livello del mare era piuttosto stabile, così come la temperatura media. Nel corso dell’XI secolo, invece, la superficie del mare è aumentata di circa mezzo millimetro all’anno per 400 anni. Innalzamento, questo, collegabile alla cosiddetta anomalia del clima medievale, un aumento inaspettato della temperatura. In seguito (XV secolo), durante la Piccola Età Glaciale, il livello del mare è rimasto stabile fino al tardo XIX secolo, dopo il quale si è iniziato a registrare un aumento medio record di oltre 2 millimetri l’anno.
“I dati del passato hanno aiutato a calibrare il modello e miglioreranno le proiezioni sull’innalzamento del livello del mare in scenari che considerano l’aumento della temperatura globale”, ha detto il coautore dello studio Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research, in Germania.
In effetti, ad oggi il livello dei mari non può essere più studiato senza considerare i dati sul riscaldamento globale: considerarli come due fenomeni strettamente connessi è fondamentale anche per capire cosa ci aspetterà nel futuro e cosa fare per mitigare i potenziali effetti disastrosi.
Le stime attuali ci dicono che tra il 1990 e il 2100 il livello del mare aumenterà dai 79 ai 190 centimetri. “Agli inizi di maggio – spiega Giuseppe Manzella dell’Enea e Presidente della Commissione oceanografica italiana – nel convegno annuale della American Geophysical Union, un’organizzazione ‘sorella’ della European Geosciences Union, è stato annunciato che vi sono segnali di innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti. La responsabilità viene addebitata ad un cambiamento nel regime dei venti che potrebbe accelerare in questo decennio una situazione che già era in atto e che ha conseguenze quindi anche sugli ecosistemi. Infatti si potrebbe passare da una situazione dominata dalla presenza di acque fredde ad una opposta”.
In quell’occasione l’allarme è stato lanciato da ricercatori dello Scripps Institution of Oceanographyche rivelano che il livello globale dei mari è aumentato nel corso del XX secolo a una velocità di circa due millimetri all’anno. “Questo tasso – dice Manzella – è aumentato del 50 per cento durante il 1990 a un ritmo globale di tre millimetri per anno, un piccolo aumento spesso legato al riscaldamento globale”. Il livello del mare ha delle conseguenze per lo sviluppo costiero, sull’erosione delle spiagge e sugli straripamenti. “Potrebbe causare danni alle comunità costiere e le spiagge, specialmente durante le alte maree, le mareggiate e le condizioni di onde estreme”, spiega l’esperto.
Questi cambiamenti rapidi sono una fonte di preoccupazione per i ricercatori americani ed europei che hanno richiesto una studio approfondito di quello che viene chiamato oppure ‘Regime Shift’ che è stato osservato nel Pacifico come anche nel recente passato nel Mediterraneo. “Con il termine ‘regime shift’ – ha spiegato Alessandra Conversi dell’Istituto Scienze marine del CNR di La Spezia – si definisce un cambiamento relativamente rapido, che in pochi anni coinvolge l’intero ecosistema marino, interessando sia la parte vivente che quella fisica”.
Nel caso osservato nel Pacifico si parla di ciclo climatico chiamato “Pacific Decadal Oscillation” (PDO), nel secondo caso si è avuto l’ “Eastern Mediterranean Transient”. “Il verificarsi di questi eventi in aree particolari sembrano indicare – dice Manzella – che la struttura fisica di queste regioni possa essere incline a questi tipi di cambiamenti che fino ad esso non sembrano essere stati permanenti, ma che in un contesto più ampio potrebbero diventarlo. La comunità scientifica marina ha richiesto di condurre ricerche sul tema della insorgenza di ‘punti critici’ e sulle conseguenze sui sistemi fisici, biogeochimici e biologici marini e anche sulle regioni costiere”.
di Emanuele Perugini - Pianeta Scienza
Per ricostruire con precisione il livello del mare gli scienziati hanno esaminato i resti di foraminiferi, minuscole creature che vivono nel plancton, conservati in sedimenti estratti da paludi costiere nel Carolina del Nord. Visto che diverse specie di foraminiferi vivono a profondità diverse, i loro resti hanno indicato con buona approssimazione quanto era alto il fondale in epoche diverse. Grazie a tutti questi dati, insieme a quelli riguardanti le variazioni della temperatura globale, gli scienziati hanno sviluppato il primo modello del livello del mare ripercorrendo gli ultimi 2 millenni. Hanno così scoperto che nel periodo che va da 200 aC al 1.000 dC il livello del mare era piuttosto stabile, così come la temperatura media. Nel corso dell’XI secolo, invece, la superficie del mare è aumentata di circa mezzo millimetro all’anno per 400 anni. Innalzamento, questo, collegabile alla cosiddetta anomalia del clima medievale, un aumento inaspettato della temperatura. In seguito (XV secolo), durante la Piccola Età Glaciale, il livello del mare è rimasto stabile fino al tardo XIX secolo, dopo il quale si è iniziato a registrare un aumento medio record di oltre 2 millimetri l’anno.
“I dati del passato hanno aiutato a calibrare il modello e miglioreranno le proiezioni sull’innalzamento del livello del mare in scenari che considerano l’aumento della temperatura globale”, ha detto il coautore dello studio Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research, in Germania.
In effetti, ad oggi il livello dei mari non può essere più studiato senza considerare i dati sul riscaldamento globale: considerarli come due fenomeni strettamente connessi è fondamentale anche per capire cosa ci aspetterà nel futuro e cosa fare per mitigare i potenziali effetti disastrosi.
Le stime attuali ci dicono che tra il 1990 e il 2100 il livello del mare aumenterà dai 79 ai 190 centimetri. “Agli inizi di maggio – spiega Giuseppe Manzella dell’Enea e Presidente della Commissione oceanografica italiana – nel convegno annuale della American Geophysical Union, un’organizzazione ‘sorella’ della European Geosciences Union, è stato annunciato che vi sono segnali di innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti. La responsabilità viene addebitata ad un cambiamento nel regime dei venti che potrebbe accelerare in questo decennio una situazione che già era in atto e che ha conseguenze quindi anche sugli ecosistemi. Infatti si potrebbe passare da una situazione dominata dalla presenza di acque fredde ad una opposta”.
In quell’occasione l’allarme è stato lanciato da ricercatori dello Scripps Institution of Oceanographyche rivelano che il livello globale dei mari è aumentato nel corso del XX secolo a una velocità di circa due millimetri all’anno. “Questo tasso – dice Manzella – è aumentato del 50 per cento durante il 1990 a un ritmo globale di tre millimetri per anno, un piccolo aumento spesso legato al riscaldamento globale”. Il livello del mare ha delle conseguenze per lo sviluppo costiero, sull’erosione delle spiagge e sugli straripamenti. “Potrebbe causare danni alle comunità costiere e le spiagge, specialmente durante le alte maree, le mareggiate e le condizioni di onde estreme”, spiega l’esperto.
Questi cambiamenti rapidi sono una fonte di preoccupazione per i ricercatori americani ed europei che hanno richiesto una studio approfondito di quello che viene chiamato oppure ‘Regime Shift’ che è stato osservato nel Pacifico come anche nel recente passato nel Mediterraneo. “Con il termine ‘regime shift’ – ha spiegato Alessandra Conversi dell’Istituto Scienze marine del CNR di La Spezia – si definisce un cambiamento relativamente rapido, che in pochi anni coinvolge l’intero ecosistema marino, interessando sia la parte vivente che quella fisica”.
Nel caso osservato nel Pacifico si parla di ciclo climatico chiamato “Pacific Decadal Oscillation” (PDO), nel secondo caso si è avuto l’ “Eastern Mediterranean Transient”. “Il verificarsi di questi eventi in aree particolari sembrano indicare – dice Manzella – che la struttura fisica di queste regioni possa essere incline a questi tipi di cambiamenti che fino ad esso non sembrano essere stati permanenti, ma che in un contesto più ampio potrebbero diventarlo. La comunità scientifica marina ha richiesto di condurre ricerche sul tema della insorgenza di ‘punti critici’ e sulle conseguenze sui sistemi fisici, biogeochimici e biologici marini e anche sulle regioni costiere”.
di Emanuele Perugini - Pianeta Scienza