sabato 11 maggio 2019

Pd e Forza Italia che hanno ucciso il Parlamento

Oggi piangono, ma sono Pd e Forza Italia che hanno ucciso il Parlamento, non Lega e Cinque Stelle

Negli ultimi vent’anni il voto di fiducia è servito ad approvare manovre, a salvare governi, a cambiare la legge elettorale: ma tutti piangono per il maxi emendamento del governo Conte. Che avrà tante colpe, ma non è certo il killer di Camera e Senato

FILIPPO MONTEFORTE / AFP
Nell’ultimo ventennio di Repubblica italiana il Parlamento è stato ucciso in serie dai molteplici governi del Cavalier Berlusconi, dalle maggioranze di centrosinistra targate Ulivo, Unione e Pd, e dalle varie sperimentazioni di stampo centrista e di rito nazarenico. La famosa centralità del Parlamento è servita solo a far sciacquare la bocca alla classe dirigente che ha dominato la scena. Non a caso quando ieri palazzo Madama ribolliva di urla, invettive, spintoni e le opposizioni condannavano l’atteggiamento dell’esecutivo gialloverde (“Vergogna, dove è finita l’onestà. Vogliamo vedere il testo…”), c’era chi come un vecchio arnese del Carroccio si lasciava andare in questi termini: «Vien da ridere che oggi democratici e azzurri scoprano la democrazia parlamentare. Ma non si rendono conto di essere in malafede?».
Certo, siamo tutti d’accordo nel dire che in passato il maxiemandamento alla legge di bilancio avrebbe almeno recepito le richieste della commissione mentre quest’anno i membri della Bilancio non hanno nemmeno avuto il tempo di leggere il testo scritto a più mani da Juncker, Moscovici, Tria, Mattarella più una serie di tecnici di Bruxelles e via XX Settembre. Tutto verissimo. Eppure la protesta di Pd e Forza Italia lascia di stucco, appare più un capriccio per ricordare ai cittadini: “Siamo ancora vivi”. Se riavvolgiamo il nastro, ricordava ieri il vecchio arnese del leghismo attorniato da una serie di cronisti, le malefatte degli esecutivi che oggi si professano «i paladini» della democrazia parlamentare, raggiungono e per certi aspetti superano la forzatura di Di Maio e Salvini. Come non rimembrare le performance della maggioranza di centrosinistra a guida Matteo Renzi. Chi era presenta la scorsa legislatura mette in fila «le undici fiducie sulla legge elettorale». U-n-d-i-c-i. Soltanto sull’Italicum, sistema di voto poi bocciato dalla Corte Costituzionale, l’esecutivo renziano ha posto 3 volte il voto di fiducia a Montecitorio
In testa alla classifica di questo lungo elenco non può non esserci il tycoon Berlusconi. L’uomo di Arcore odiava le perdite tempo, gli oppositori interni ed esterni. Da self made man qual è, ha sempre considerato il Parlamento un ostacolo alla politica del «fare». Fosse stato per lui avrebbe fatto tutto da palazzo Grazioli. Ecco perché quando dominava la scena si serviva del voto di fiducia ogniqualvolta era in difficoltà. Al punto da sbottare in questi termini davanti alle telecamere: «A cosa serve il Parlamento, basterebbero soltanto i capigruppo…». Insomma nell’immaginario del Cavaliere Camera e Senato si sarebbero dovuti ridurre al massimo a un drappello di dieci persone a dir tanto. Un concetto di democrazia parlamentare quello berlusconiano che stride oggi con gli appelli di Annamaria Bernini («Verrebbe voglia di aderire al famoso “vaffaday”. Non ne possiamo più. Non stanno imbavagliando noi ma gli italiani»), di Mara Carfagna, della pasionaria Licia Ronzuli, eccetera.

Quanto ai governi di centrosinistra, la solfa non cambia. Basti pensare che il 15 dicembre 2006 l’aula del Senato ha approvato il solito maxiemandamento alla legge di bilancio con 162 voti a favore, 157 contrari. Con un dettaglio: la differenza di cinque voti è stata determinata dal voto di cinque senatori a vita. Tutto normale, vero? E poi come non rimembrare le performance della maggioranza di centrosinistra a guida Matteo Renzi. Chi era presenta la scorsa legislatura mette in fila «le undici fiducie sulla legge elettorale». U-n-d-i-c-i. Soltanto sull’Italicum, sistema di voto poi bocciato dalla Corte Costituzionale, l’esecutivo renziano ha posto 3 volte il voto di fiducia a Montecitorio. Di più: nel corso del dibattito in commissione Affari costituzionale l'ex premier decise di sostituire i componenti dissidente al renzismo. Fuori con un colpo di mano Alfredo D’Attorre, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo. E poi cosa dire sempre della riforma costituzionale di stampo boschian-renziano che avrebbe voluto abolire sempre a colpi di fiducia il Senato facendo diventre quest'ultimo un museo? Il tutto in barba alla famosa centralità del Parlamento ma con sedute notturne e i cosiddetti «canguri» a farla da padroni per bypassare gli emendamenti delle opposizioni. L’obiettivo di quella riforma costituzionale era quello di trasformare il Parlamento in una sorta di consiglio di comunale. Con il primo cittadino d’Italia pronto a fare e disfare Camera e Senato. Anzi, no. Solo Montecitorio. Perché il Senato sarebbe diventato il bivacco dei consiglieri regionali. Ecco, il Parlamento italiano è stato già ucciso da quelli che oggi protestano. E allora per quale motivo gli stessi che lo hanno ucciso se la prendono con M5S e Lega?
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