martedì 31 dicembre 2019

PIERGIORGIO ODIFREDDI: QUANTO CI COSTA IL VATICANO

                                                            Però c'è chi vuole abolire il reddito di cittadinanza.

lunedì 16 dicembre 2019

Il 52% dell’oro italiano è all’estero

Il 52% dell’oro italiano è all’estero.

Sarebbe normale che il nostro oro fosse depositato in una banca pubblica Italiana, come ci si può fidare a lasciare la nostra ricchezza in giro x il mondo ?

venerdì 6 dicembre 2019

quotidiani pubblicati in Italia.

Di seguito vengono elencati i quotidiani pubblicati in Italia. I dati relativi alla diffusione dei quotidiani in Italia sono rilevati da Accertamenti diffusione stampa (Ads).

Diffusione[modifica | modifica wikitesto]

Diffusione nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Principali quotidiani nazionali con diffusione cartacea superiore alle 50 000 copie (dicembre 2017)[1] di Accertamenti Diffusione Stampa:
TestataTiraturaDiffusione
cartacea
Diffusione
digitale
Totale diffusione
Corriere della Sera322 826226 45370 794297 247
la Repubblica292 365190 26030 160220 420
Il Sole 24 ORE130 90387 63287 615175 247
Quotidiano Nazionale309 212218 4133 183221 596
La Gazzetta dello Sport252 250166 99810 659177 657
La Stampa214 691145 73425 046170 780
Il Messaggero144 337100 5698 477109 046
QN - il Resto del Carlino133 11398 8131 754100 567
Corriere dello Sport-Stadio197 62389 2871 22490 511
il Giornale120 73859 6981 41261 110
Avvenire134 916102 0078 848110 855
Tuttosport134 88455 5501 19156 741
Libero79 55026 16786927 036
Italia Oggi63 10126 4991 46772 323
il Fatto Quotidiano85 44135 10510 66245 767
La Verità66 63121 50059522 095
Il Mattino54 52636 7172 89639 613
Secondo il rapporto FIEG 2013 sulla Stampa in Italia, ogni giorno, si vendono quasi 4 milioni di copie di quotidiani, letti da una media di circa 22,5 milioni di italiani (circa 6 lettori per copia).[2]
Un rapporto presentato nel 2016 dall'Associazione stampatori italiani giornali (ASIG) mostra che la diffusione dei quotidiani italiani, che era di 3,4 milioni di copie giornaliere nel 2014, è scesa nel 2015 a 2,8 milioni (- 17%)[3]. Dal 2011 al 2016 i ricavi dei quotidiani sono calati del 30% mentre per i periodici i ricavi si sono ridotti del 20%[4].
Nel 2017 si è registrato un ulteriore calo di 400.000 copie cartacee al giorno; il totale è sceso da 2,6 a 2,2 milioni. Considerate le 335 mila copie digitali, la diffusione totale si è attestata poco sopra i 2,5 milioni di copie[5].
Il 2018 è stato un anno molto difficile sul fronte degli introiti pubblicitari. Il fatturato del comparto quotidiani ha registrato un calo del -6,3% nel periodo gennaio-dicembre 2018 raffrontato con il corrispettivo 2017[6].

Diffusione locale[modifica | modifica wikitesto]

I principali quotidiani italiani a diffusione regionale, interregionale e provinciale sono[1]:
TestataRegioneDiffusione media
DolomitenAlto Adige42 937
Alto Adige ‒ TrentinoTrentino-Alto Adige16 290
L'AdigeTrentino-Alto Adige21 850
Il GiornoLombardia45 655
La Provincia (Como)Lombardia23 826
La Provincia (Cremona)Lombardia14 954
La Provincia PaveseLombardia12 417
La Gazzetta di MantovaLombardia20 664
L'Eco di BergamoLombardia36 863
Giornale di BresciaLombardia29 434
Corriere delle AlpiVeneto, Belluno5 217
L'Arena (Verona)Veneto33 351
Il Giornale di VicenzaVeneto30 345
Il Gazzettino (Venezia)Veneto, Friuli-Venezia Giulia59 366
La Nuova di Venezia e MestreVeneto8 708
Il Mattino di PadovaVeneto19 469
La Tribuna di TrevisoVeneto11 688
Messaggero VenetoFriuli-Venezia Giulia40 713
Il Piccolo (Trieste)Friuli-Venezia Giulia24 083
Libertà (Piacenza)Emilia-Romagna20 910
La Gazzetta di ParmaEmilia-Romagna29 633
Gazzetta di ReggioEmilia-Romagna9 149
Gazzetta di Modena NuovaEmilia-Romagna8 176
La Nuova FerraraEmilia-Romagna6 846
Il Secolo XIXLiguria44 161
La NazioneToscana, Umbria, La Spezia73 917
Il TelegrafoToscana1 457
Il TirrenoToscana41 202
Corriere dell'UmbriaUmbria, Toscana, Lazio10 810
Corriere AdriaticoMarche14 940
Il CentroAbruzzo13 084
Il TempoLazio, Abruzzo, Molise17 299
La Gazzetta del MezzogiornoBasilicata, Puglia21 738
Il Quotidiano del SudBasilicata, Calabria, Campania6 303
Nuovo Quotidiano di PugliaPuglia11 433
Gazzetta del SudSicilia, Calabria22 844
La SiciliaSicilia19 879
Giornale di SiciliaSicilia16 284
Quotidiano di SiciliaSicilia19 686
L'Unione SardaSardegna45 257
La Nuova SardegnaSardegna34 478

Quotidiani di partito[modifica | modifica wikitesto]

Sono i quotidiani di partiti e movimenti politici che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle camere o rappresentanze nel Parlamento europeo, o che siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano, ovvero che, essendo state in possesso di tali requisiti, abbiano percepito i contributi alla data del 31 dicembre 2005:[7]
Fonti: FNSI; Marco Marsili, La rivoluzione dell'informazione digitale in rete, Bologna, 2009, pagg. 91 e segg.

Quotidiani editi da una cooperativa[modifica | modifica wikitesto]

Sono i quotidiani o periodici di organi di movimenti politici editi da imprese trasformatesi in cooperativa entro il 1º dicembre 2012:[8]

Finanziamenti pubblici all'editoria[modifica | modifica wikitesto]

Lo Stato italiano stanzia ogni anno dei contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici, nell'ottica del raggiungimento di un effettivo pluralismo dell'informazione. La normativa si è modificata nel tempo come segue:
  • La legge 5 agosto 1981 n. 416 (Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria) stabilisce la corresponsione alle testate quotidiane di un contributo fisso per ogni copia stampata [9] (art. 22), aumentata del 15% se la testata è edita da una cooperativa giornalistica. Per i periodici, la legge autorizza la corresponsione di contributi in relazione ai quantitativi di carta utilizzati per la stampa (art. 24);
  • La legge n. 67 del 1987 contiene la prima indicazione dei giornali di partito come categoria a sé stante. Essa prevede lo stanziamento di contributi finanziari pubblici alle «imprese editrici di quotidiani o periodici che, attraverso esplicita menzione riportata in testata, risultino essere organi di partiti politici rappresentati in almeno un ramo del Parlamento» (art. 9, c. 6). Infine, il comma 14 impone che i contributi siano corrisposti alternativamente per un quotidiano o un periodico. La legge in oggetto considera “organi di partito”, oltre a quotidiani e periodici, anche le emittenti radiofoniche;
  • La legge 7 agosto 1990, n. 250 (Provvidenze per l'editoria, ecc.) allarga l'applicabilità del finanziamento pubblico all'organo ufficiale di un partito italiano presente al Parlamento europeo. In questo caso è sufficiente che il partito abbia eletto a Strasburgo anche un solo parlamentare[10]; la norma estende i contributi di legge alle «imprese editrici di giornali quotidiani la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro». Inoltre stabilisce che il contributo sia pari a 0,2 euro per copia stampata fino a 30 000 copie di tiratura media;
  • La legge 28 dicembre 1995, n. 549, allarga la base delle imprese aventi diritto ai contributi, includendo anche «le agenzie di stampa quotidiane costituite in forma di cooperative di giornalisti» a prescindere dalle modalità di trasmissione;
  • La legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001) fornisce una nuova definizione dei soggetti aventi diritto ai contributi (art. 153): «imprese editrici di quotidiani e periodici, anche telematici che, [...] risultino essere organi o giornali di forze politiche che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o rappresentanze nel Parlamento europeo o siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano nell'anno di riferimento dei contributi». Inoltre configura un nuovo soggetto: la cooperativa il cui «oggetto sociale sia costituito esclusivamente dall'edizione di quotidiani o periodici organi di movimenti politici». Tale tipologia di cooperativa va a formare un elenco a sé stante di destinatari di provvidenze per l'editoria. L'entità dei contributi pubblici indirizzati a tali società è calcolata in base ai costi sostenuti dall'impresa nell'ultimo anno di esercizio (mentre per le cooperative di giornalisti preesistenti i contributi sono basati sulla tiratura media giornaliera). Il decreto di attuazione (d.P.R. 7 novembre 2001, n. 460) ha favorito la trasformazione in cooperative per tutte le imprese che intendono chiedere finanziamenti pubblici[10];
  • La legge finanziaria per il 2007 ha equiparato le emittenti radiofoniche ai giornali di partito. Le leggi successive hanno progressivamente ridotto l'entità delle sovvenzioni pubbliche ai giornali;
  • Il decreto legge n. 112/2008 ha abolito il criterio della tiratura: ogni anno lo Stato deciderà la somma da stanziare per il sostegno all'editoria. Il sistema di contribuzione diretta ha cessato di esistere il 31 dicembre 2014 (d. l. 6 dicembre 2011, n. 201).

Quotidiani a distribuzione gratuita (Free press)[modifica | modifica wikitesto]

Quotidiani online[modifica | modifica wikitesto]

Il primo giornale online sul web è stato L'Unione Sarda[11], nato in concomitanza col quotidiano Punto Informatico (pubblicato inizialmente tramite il sistema bbs), che sin dal luglio 1994 ha pubblicato regolarmente contenuti su Internet.
Da un'indagine ISTAT sui quotidiani online, in Italia nel 2003 erano disponibili 145 testate online, di cui 91 corrispondevano a quotidiani con versione a stampa e 54 erano quotidiani esclusivamente online. Di queste 145 testate, 122 (84,1%) erano a carattere generalista, mentre 22 (15,2%) erano quotidiani specialistici (economiasportscienze, e altro).
Il primo rapporto Agcom sui siti d'informazione italiani è stato pubblicato nel 2018. L'Autorità garante della concorrenza ha rilevato come il mercato sia polverizzato tra numerose piccole testate e che l'ammontare dei ricavi non sia ancora sufficiente per creare economie di scala[12].
La società Audiweb si occupa della rilevazione della fruizione dei siti web nazionali. Il parametro adottato per la misurazione è la total digital audience[13]. Secondo le rilevazioni Audiweb, i primi dieci siti italiani di notizie più visitati nel settembre 2018 sono stati[14]:
  1. Corriere della Sera
  2. Il Messaggero
  3. la Repubblica
  4. Citynews (piattaforma web d'informazione)
  5. TGCOM24
  6. FanPage.it
  7. Il Fatto Quotidiano
  8. Donna Moderna
  9. La Stampa
  10. La Gazzetta dello Sport
Anche la società ComScore rileva ogni mese il dato di fruizione dei siti d'informazione italiani. A differenza di Audiweb, che monitora solo i siti iscritti al servizio, ComScore svolge una rilevazione completa dei siti d'informazione. Nel mese di settembre 2018 la rilevazione evidenzia una classifica con importanti differenze rispetto ad Audiweb.[15]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Salta a:a b Ultimi Dati Certificati (2017) (XLS), Accertamenti diffusione stampa, 10 gennaio 2019. URL consultato il 24 febbraio 2019.
  2. ^ Rapporto FIEG 2013 (PDF), su fieg.it.
  3. ^ La diffusione dei quotidiani è calata del 17% nel 2015, passando da 3,4 a 2,8 milioni di copie giornaliere, su primaonline.itURL consultato il 27 giugno 2016.
  4. ^ Dal 2011 ricavi in calo del 30% per quotidiani e periodici e del 20% per le tlc. I dati Agcom | Prima Comunicazione, su primaonline.itURL consultato il 16 gennaio 2017.
  5. ^ In 5 anni l’editoria ha perso ricavi per 1,2 miliardi e il 40% delle copie cartacee. Tra i big solo Cairo in attivo, su primaonline.itURL consultato il 19 dicembre 2018.
  6. ^ Si chiude un anno nero per la pubblicità sulla stampa, su primaonline.itURL consultato il 6 febbraio 2019.
  7. ^ Presidenza del Consiglio dei ministriContributi per testate organi di partiti e movimenti politici che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle camere o rappresentanze nel Parlamento europeo, o che siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano, ovvero che, essendo state in possesso di tali requisiti, abbiano percepito i contributi alla data del 31.12.2005 (PDF), su governo.it, 7 maggio 2010. URL consultato il 19 settembre 2012.
  8. ^ Presidenza del Consiglio dei ministriContributi per imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici, trasformatesi in cooperativa entro il 1º dicembre 2001 (PDF), su governo.it, 7 maggio 2010. URL consultato il 19 settembre 2012.
  9. ^ Da un minimo di 24 lire a copia per le testate con alta tiratura (oltre 200 000) ad un massimo di 48 lire a copia per le testate con bassa tiratura (meno di 50 000).
  10. ^ Salta a:a b Maria Romana Allegri, Il finanziamento pubblico all'editoria e particolarmente ai giornali di partito prima e dopo la riforma del 2012, in «Rivista dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti», n. 3, 2012.
  11. ^ Andrea Bettini, Giornali.it: la storia dei siti internet dei principali quotidiani italiani, ed.it, 2006, pag. 11
  12. ^ Editoria online: niente pay, bassa reputazione, fatturati scarsi. Agcom: prevale carattere amatoriale, su primaonline.itURL consultato il 28 marzo 2019.
  13. ^ Definizione, su audiweb.it.
  14. ^ Classifica delle testate online italiane, su primaonline.it.
  15. ^ Classifica dell'informazione online (comScore): A settembre Citynews sorpassa Repubblica e balza al primo posto

giovedì 5 dicembre 2019

IL M.E.S. (MECCANISMO DI STABILITA' ECONOMICA)

 IL M.E.S.
(MECCANISMO DI STABILITA' ECONOMICA)
Il nome, Meccanismo di Stabilità Economica (M.E.S. o all'inglese E.S.M.), è il primo inganno: non si tratta affatto di un mezzo per ottenere una qualsivoglia "stabilità" economica, ma di uno strumento in più, forse il più potente, nelle mani dell'oligarchia finanziaria.
Pur nell'estrema complicazione del testo che istituisce il M.E.S., i suoi punti fondamentali possono essere così sintetizzati:

  1. Il M.E.S. è stato approvato il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificato dal consiglio europeo il 25 marzo 2011. Per l’Italia il trattato è stato firmato da Mario Monti a Bruxelles il 2 febbraio 2012. Il 19 luglio dello stesso anno la votazione della Camera dei Deputati - con numeri plebiscitari (325 sì, 53 no e 36 astenuti) ha completato l’iter di ratifica per l’Italia, con la conseguente adesione del nostro Paese al M.E.S. 
 
I numeri della vergogna con cui la nostra Camera ha approvato il M.E.S.

Gli altri Paesi ad avere ratificato il M.E.S. sono stati Belgio, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Cipro, Lussemburgo, Malta, Olanda, Austria, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Finlandia: ovvero tutti i 17 Paesi dell’eurozona che erano tenuti all’adesione.

  1. Dal momento in cui tutti lo hanno sottoscritto, il M.E.S. è entrato formalmente in vigore.
  2. Il M.E.S. - presentato volgarmente come “Fondo salva Stati”- non è affatto un semplice fondo, ma un organismo intergovernativo permanente, la cui sede è a Lussemburgo.
  3. Gli Stati partecipanti al M.E.S. (tutti quelli dell’eurozona) devono versare una quota di partecipazione al suo fondo (per l’Italia 125 miliardi). Questa quota si divide in versamenti da fare necessariamente, e un’altra parte come debito “garantito” da versare in caso di necessità. Ma si tratta di “necessità” che quasi certamente si presenteranno molto presto. Il Consiglio dei Governatori può esigere in qualsiasi momento il versamento del capitale sociale non ancora versato, e i Paesi membri dovranno obbedire entro sette giorni dalla richiesta-ordine.
  4. Il Consiglio dei Governatori ha facoltà di aumentare in qualsiasi momento il capitale del M.E.S. Può farlo indefinitamente, senza limiti di tempo o di capitale massimo raggiungibile. Quindi i Paesi membri potranno essere costretti all’infinito ad ulteriori esborsi oltre al capitale iniziale. E anche per questi, lo Stato deve eseguire la richiesta senza alcuna obiezione o approvazione degli organi parlamentari e governativi interni, e sempre entro sette giorni dalla richiesta.
  5. Il tipico Stato indebolito dell’eurozona, per pagare la sua quota di adesione (e le quote corrispondenti ad eventuali aumenti di capitale futuri), sarà inevitabilmente costretto a tagliare i servizi sociali e a indebitarsi ulteriormente. Quindi un meccanismo che viene spacciato come una garanzia per la crisi dei debiti sovrani, inizia con un obbligo di indebitamento, e con l’eventualità di un indebitamento costante, “a richiesta”.
  6. Il M.E.S. "aiuta" gli Stati in grave difficoltà economica non con fondi a titolo perduto o a rimborso parziale, ma con veri e propri prestiti ad interesse. Quindi, si tratta di un aiuto che aumenterà ulteriormente il debito degli Stati “beneficiati”.
  1. Questi prestiti vengono forniti in cambio di “rigorose condizioni” da attuare: ovvero brutali condizioni di massacro sociale e ulteriori riduzioni della propria sovranità statale. Quindi, io Stato mi indebito per partecipare al M.E.S.; questo indebitamento contribuirà alla mia prossima crisi; per "aiutarmi" mi faranno degli ingenti prestiti, e quindi il mio debito aumenterà ulteriormente; e questi prestiti saranno legati a diktat feroci che mi impoveriranno ulteriormente, spappoleranno ancora di più i miei servizi sociali, indeboliranno la mia capacità economica, renderanno ancora più disperati i miei cittadini.
  2. Il M.E.S. può anche “aiutare” gli Stati con l’acquisizione dei loro titoli di Stato rimasti invenduti. Anche in questo caso, mentre per fare parte del M.E.S. io Stato mi sveno a fondo perduto, con l’acquisizione dei titoli dei miei titoli di Stato ricevo denaro a titolo di debito con interessi.
  3. E’ prevista la possibilità che il M.E.S. possa impiegare i suoi fondi per salvare banche private.
  4. Il M.E.S. gode di un regime di assoluto privilegio e immunità. I suoi membri non sono sottoponibili a giudizio. Le sue decisioni non sono appellabili o sindacabili. I suoi atti sono segreti. I suoi locali e proprietà sono inviolabili e godono dell'esenzione fiscale.

A questo punto ci può stare una citazione semplificativa di Marco Pizzuti, che parlando del funzionamento del M.E.S. riassume così la situazione in cui ci troviamo:
Voi mi affidate i vostri soldi e io li gestisco alle seguenti condizioni:
1- non avete diritto di chiedermi delucidazioni su come li spendo e non potete effettuare nessun tipo di controllo sulla mia gestione. Decido io quali informazioni darvi e con quali modalità;
2- oltre all’importo iniziale, siete obbligati a versarmi anche tutte le successive somme aggiuntive che vi richiederò;
3- se avrete bisogno di un prestito, deciderò io se concedervelo e a quali condizioni;
4- nel caso emergano degli illeciti finanziari, delle irregolarità o anche dei crimini gravissimi, non potrete denunciarmi, a meno che non sia io stesso ad autorizzarvi.
Accettate?
E tutti i Paesi dell’eurozona hanno risposto “SI'”.

Come ha ben detto Paolo Barnard, il M.E.S. non va visto da solo, come se si trattasse di un mostro uscito fuori dal nulla. Esso è solo una delle ultime creazioni del sistema europeo.
Considerando complessivamente le sue modalità di funzionamento e vedendolo in connessione anche col Fiscal Compact e il sistema dell’euro, siamo in grado di potercela fare noi una domanda: se questo ulteriore meccanismo serva davvero a garantire la “stabilità” dei Paesi dell’euro, a evitare tracolli finanziari, a salvaguardare i cittadini e tutte le altre cose che vengono ripetute incessantemente, o se lo scopo non sia esattamente l’opposto: ovvero DESTABILIZZARE IN MANIERA CRESCENTE LA CAPACITA’ ECONOMICA E IL TESSUTO SOCIALE DEGLI STATI EUROPEI, IMMETTERLI IN UNA SPIRALE CRESCENTE DI DEBITI PER AFFRONTARE I QUALI SARANNO COSTRETTI A STIPULARE ALTRI DEBITI E A CEDERE FINO ALL’ULTIMO GRAMMO DI SOVRANITA’.
Dobbiamo chiederci allora se tutto quello cui stiamo assistendo, se questo labirinto di normative, regolamenti, trattati, diktat, istituti e organismi via via più complessi, non abbiamo come fine la cancellazione di ogni dimensione nazionale e di ogni potere democratico, al fine di arrivare ad una oligarchia europea fondata sul potere del denaroproprio lo scenario insistentemente descritto da Alain Parguez.
Questa domanda abbiamo il dovere di porcela. Un dovere che è anche una responsabilità verso tutti i cittadini del nostro Paese e tutti i popoli d’Europa.



Tratto da:
Link di approfondimento: