lunedì 8 gennaio 2018

LA MESSA È FINITA

Michele Giovagnoli
ISBN 978-88-99912-54-3
©2017 Uno Editori
collana Libri Eretici
Prima edizione: Ottobre 2017
Tutti i diritti sono riservati
Ogni riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo,
deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.
Copertina: Monica Farinella
Impaginazione: Laura Giai
Editing: Enrica Perucchietti, Erica Zampieri
Stampa: Litostampa Mario Astegiano, V. Marconi 94/b - Marene (CN)
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Michele Giovagnoli

LA MESSA È FINITA
Come liberarsi dal più
subdolo dei parassiti
Gli acutissimi strumenti di dominio
in dotazione al clero

INDICE
9 Ringraziamenti
11 Premessa
13 Prefazione
17 1 Il concilio di Nicea
L’invenzione del copyright sulla spiritualità
21 2 Il concilio Namnetense
La strage degli alberi secolari
33 3 L’Istituto della Famiglia
La gabbia chiamata Amore
45 4 La mortificazione dell’energia sessuale
Come rendere sterile un Cosmo
59 5 La padronanza del Sacro per la diffusione del Profano
Come rendere sacra l’ignoranza
63 6 Il battesimo
Un’abitudine chiamata sottomissione
77 7 Il mito della povertà
Il povero in cielo, il ricco all’inferno
81 8 L’ammodernamento della Chiesa
Come rimanere leader del mercato
89 9 L’invenzione del “Salvatore”
Non la nostra salvezza, ma la loro sopravvivenza
95 10 Il suono delle campane
La trasmissione genetica del trauma
105 11 L’epigenetica e le malattie culturali
L’infezione più profonda
109 12 La costruzione della razza docile
La più grande opera di epurazione genetica
123 13 L’Ordine
La creazione dell’esercito
129 14 Un Dio terreno
Il miglior packaging della Storia
137 15 Il tempio cattolico
Il culto del dolore
151 16 Il crocefisso
L’immagine dell’Anticristo
161 17 La discriminazione della Donna
Il delitto del Femminino Sacro
173 Bibliografia
175 L’autore

Prefazione

La realtà si disvela a chi ha gli strumenti, ma soprattutto la volontà,
per accedervi e intende farlo senza filtri e senza maschere. Così
procede l’autore che, ricco dei suoi studi affiancati da una profonda
esperienza personale, mette quegli strumenti a disposizione di
chi, animo libero, intende osservare il mondo con il disincanto e la
disponibilità al vero, quale esso sia, che dovrebbero caratterizzare
il desiderio di sapere, base imprescindibile per ogni forma di cammino
orientata alla ricerca e al conseguimento della libertà, condizione
necessaria nel potersi e volersi definire appartenenti attivi al
consesso umano.
Il desiderio di libertà origina innanzitutto dalla presa di coscienza
della sua assenza: solo chi sa di essere chiuso in un recinto può
almeno avere la possibilità di provare il desiderio di uscirne. Parlo
non a caso di possibilità, perché spesso la consapevolezza di far
parte di una mandria non è condizione sufficiente per volerne
uscire: in fondo il gruppo/gregge è protettivo, rassicurante, fornisce
risposte facili a questioni difficili ed esime dall’impegno, per
alcuni (o dovremmo dire per molti?) eccessivamente gravoso, di
riflettere in piena autonomia e di agire poi di conseguenza, assumendo
in prima persona la responsabilità delle proprie azioni.
Michele Giovagnoli ci pone di fronte alla triste situazione in cui
degli schiavi, più o meno consapevoli, non sono in grado di vedere
lo stato in cui si trovano, o non vogliono, e ne sono talmente coinvolti
da arrivare a difendere i loro padroni: condizione questa che,
come rileva l’autore, caratterizza la vera schiavitù.

14 LA MESSA È FINITA
In questo lavoro, il lettore si trova una successione di capitoli che,
nel loro ordine logico, disvelano una situazione drammatica sia per
la sua pervasività sia per le modalità astute e sottili con cui è stata
ideata, elaborata, posta in essere e magistralmente gestita a danno
dell’umanità e del suo potenziale libero sviluppo. Uno sviluppo
che non deve avere luogo, pena la caduta dei potenti che gestiscono
questa schiavitù in qualità di parassiti insaziabili.
È inquietante osservare come elementi apparentemente insignificanti
assumono invece significati e ruoli d’importanza impensata
all’interno di questo sistema fabbricato per ammaestrare e dominare
intelligentemente schiere di milioni di individui che vi aderiscono
tanto ingenuamente quanto spontaneamente, consegnandosi
nelle mani dei loro padroni. Dal battesimo al suono delle campane,
dall’iconografia all’invenzione della figura fisica del Salvatore,
dall’istituto della famiglia alla mortificazione dell’energia sessuale,
dal culto perverso della sofferenza alla creazione di ubbidienti
soldatini, dal dominio su una distorta concezione del sacro alla
celebrazione criminosa della povertà… l’autore ci conduce lungo
un cammino di cui ci svela origini e finalità, modalità operative e
inganni palesi.
La capacità camaleontica dei detentori di questo subdolo sistema
di potere, mascherato da strumento salvifico (da cosa poi?) si dipana
sotto gli occhi del lettore che, con sempre maggiore chiarezza,
giunge a vedere e scoprire che il pastore è colui che scanna la
pecora, la depaupera e la utilizza, presentandosi nelle vesti false e
ingannatrici del difensore: scopriamo in realtà che il lupo da cui ci
dobbiamo difendere è proprio lui.
Tutto ciò che è e dovrebbe essere naturale in questo sistema è annullato:
si passa dal bosco fonte di vita alla selva di colonne costruite 
 per tarpare ogni volontà di vita vera; dai gesti e dalle attività
istintuali come la creatività gioiosa del sesso, alla costrizione di
movimenti che obbligano a piegare il collo in una posizione che
induce (obbliga?) alla sottomissione timorosa.
Tutti devono essere inseriti nella mandria: la solitudine è infatti per
natura potenzialmente eretica, ci ricorda Giovagnoli, soprattutto
perché favorisce la libera riflessione: un’autonomia che il potere
non può tollerare in quanto troppo pericolosa e destabilizzante per
la sua stessa sopravvivenza. Nella mandria tutti siamo più deboli,
deprivati di energia vitale e dunque più facilmente controllabili. Il
paragone efficacissimo che l’autore fa con il pollo di allevamento è
quanto mai illuminante e lascio al lettore il piacere di scoprirne le
implicazioni, magari mettendole a confronto con quanto si verifica
nella sua stessa vita.
Il testo non manca di fornire una ricca e precisa documentazione
storica con la successione delle varie scelte, disposizioni, dichiarazioni
e imposizioni (anche criminalmente violente) che hanno
caratterizzato la vita della Chiesa nei diciassette secoli nel corso
dei quali ha abilmente costruito questo efficacissimo sistema di
schiavitù.
Nel libro ho letto con grande piacere questa affermazione: «Se volete
bene a una persona non regalatele una certezza, ma impacchettatele
un bel dubbio. Il dubbio è l’anticamera di ogni passo
evolutivo. Niente dubbio niente evoluzione». Non posso che concordare
e con piacere dico al lettore che, in piena coerenza con
questa posizione, ho visto che sono molte le domande che il libro
pone in modo esplicito e altrettante quelle che sorgono inevitabili
nella mente di chi scorre queste pagine con sempre crescente curiosità:
le domande sono il sale di ogni attività intelligente e senza

16 LA MESSA È FINITA
di esse non rimane che un credere acritico e quindi pericoloso, destinato
a ridurre in stato di sudditanza chi ne è vittima. Ma c’è per
fortuna il germoglio della speranza. «Chi si riconosce dominato è
già libero dal dominio e inizia da lì il suo percorso di rinascita»,
così afferma l’autore e questo libro si offre come strumento utile ed
efficace proprio in questa direzione.
MAURO BIGLINO
1
Il concilio di Nicea
L’invenzione del copyright sulla spiritualità
Attraverso il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., viene cementata in
maniera inappellabile la concezione di un Dio trascendente, ovvero
al di là delle cose, al di sopra di esse. Esistono le manifestazioni,
e fra queste anche l’uomo, poi c’è Dio. Dio e uomo sono quindi
due soggetti ben distinti, dove il primo crea e il secondo è creato.
Il concetto di un Dio immanente, ovvero coincidente con la manifestazione,
viene fin dagli albori respinto.
Alla Chiesa non piace che l’uomo si senta titolato della padronanza
di Dio. Ribadiamo: c’è un Dio al di là delle cose che genera le cose
e, tra queste cose, c’è l’uomo. L’uomo è quindi una conseguenza di
Dio, un Dio “soggetto” che è al di là anche del tempo e che esiste
da prima di esso.
L’uomo però tende a Dio, questo è un dato evidente e tangibile, e
vive di un naturale istinto alla spiritualità. Ma questo Dio, rincara
la Chiesa, è al di là delle cose, è un soggetto ben distinto, e l’uomo
da solo non può raggiungerlo. L’uomo non può cercarlo tra le sue
proprietà, perché lì non risiede. L’uomo non può nemmeno ambire
a conquistarlo, perché l’uomo e Dio sono due soggetti distinti,
posti su due piani distinti e al primo non è dato giungere ai piani
del secondo… A meno che non intervenga un bravo intermediario!
«E dove possiamo trovarlo?» chiede l’uomo alla Chiesa.
«Ma che domande!» risponde la Chiesa. «Te lo forniamo Noi!».

18 LA MESSA È FINITA
Il primo atto per la costruzione dell’Impero Cattolico è
la creazione di un Dio privato,
un Dio il cui proprietario è ovviamente colui che lo crea,
e che indossa una casacca ben distinta.
Un Dio umano, ma “generato e non creato”, quindi un Dio consustanziale,
ovvero fatto della stessa sostanza del Padre, anch’esso
trascendente, quindi, ma in carne e ossa. Un Dio figlio Salvatore,
che viene a cercarti come risposta a una tua irrinunciabile necessità:
ricondurti al Padre assoluto.
Il secondo atto per la costruzione dell’Impero Cattolico è l’istituzione
della grande azienda che gestisca, per conto di un Dio
Padre, gli sviluppi del lavoro iniziato dal Dio Figlio, che assieme
allo Spirito Santo sono per una questione di pura funzionalità la
stessa cosa. Geniale!
Riassumendo: abbiamo bisogno di esistere nella nostra spiritualità,
ma per farlo non possiamo che passare attraverso la Chiesa cattolica,
che è l’unica titolata a farlo.
Come a dire: siccome devo per forza mangiare
perché sono un essere terrestre,
mi trovo costretto a bussare alla porta di un tale
che è il proprietario esclusivo di tutto il cibo esistente sul pianeta.
Geniale e criminale!
Ritengo fermamente che Dio rappresenti uno stato d’essere e non
un soggetto. Io mi sento Dio in quanto parte di un’unica cosa
assoluta e in quanto presenza in tutte le cose. Sono Dio e risuono
nella bellezza dell’universo e sono l’universo tutto in un punto.

L CONCILIO DI NICEA 19
Sono Dio in quanto essere cosmico e quindi dotato della facoltà di
conoscere la mia infinità, auto-trascendendo me stesso. Ognuno
di noi è Dio ogni volta che supera l’inganno mentale e si lascia
espandere in quel moto inesorabile che prende il nome di Amore.
Chi si sente intermediario di Dio ti ritiene di sua proprietà.
L’intermediario ti seziona mettendosi tra te e te.
Ecco la natura del Parassita:
vivere assieme a te senza che tu te ne accorga
e, al tempo stesso, toglierti energia.
Ma il Parassita cattolico è un parassita speciale, non si limita a
rubarti aspetti sacri della tua vita, ne ostacola addirittura il processo
evolutivo. Un Dio privato e trascendente determina inevitabilmente
un insabbiamento della via iniziatica. Non ti liberi mai
di un intermediario così, perché mai puoi arrivare al risultato che
ti propone, se il risultato implica la sua dipartita. È un loop, un
circolo vizioso. Quando mai un parassita ha confidato alla propria
preda come liberarsi di esso? Mai!
Ecco che il Concilio di Nicea getta le basi di quella che con i tempi
moderni è diventata l’arte del marketing. La Chiesa cattolica inizia a
vendere Dio, riscuotendo sudditanza e con il tempo anche denaro.
Inventa il copyright applicandolo all’Altissimo e alla via per raggiungerlo.
Monopolizza il mercato e rende insostituibile il prodotto.
Correva l’anno 325 d.C., qualcosa come diciassette secoli fa. Da
un lato, un’umanità semi-primitiva, dall’altro una cerchia ristrettissima
di esseri con spiccata intelligenza e al servizio di un’indole
dominatrice. Ora guardatevi attorno dall’alto del XXI secolo: noterete
che non è cambiato niente!

2
Il concilio Namnetense
La strage degli alberi secolari
In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un
cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento
visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In
tutte, tranne che in quella cattolica.
Baobab immensi, Sequoie millenarie, foreste incontaminate latine
e asiatiche non trovano il degno corrispettivo in un’Europa che,
salvo casi sporadici, presenta alberi non più vecchi di qualche secolo.
Dove sono finite le querce secolari che raggiungono dimensioni
impressionanti come quelle narrate da Plinio Il Vecchio nella sua
opera Naturalis Historia? Testualmente:
«Le querce per la loro smisurata invadenza nel crescere occupano addirittura
il litorale e, a causa delle onde che scavano la terra sotto di esse o del
vento che le sospinge, si staccano portando con sé grandi isole costituite
dall’intreccio delle loro radici: restano così dritte, in equilibrio, e si spostano
galleggiando. La struttura dei grossi rami, simile a un armamentario
velico, ha spesso creato lo scompiglio nelle nostre flotte quando
le onde sospingevano questi isolotti, quasi di proposito, contro la prua
delle navi alla fonda di notte; ed esse, non riuscendo a trarsi d’impaccio,
ingaggiavano uno scontro navale contro delle piante. Sempre nelle
regioni settentrionali la selva Ercinia con le sue querce di enormi dimensioni
(lasciate intatte dallo scorrere del tempo e originate insieme

22 LA MESSA È FINITA
con il mondo) è di gran lunga, per questa condizione quasi immortale,
il fenomeno più stupefacente. Per non stare a menzionare altri fatti che
non suonerebbero credibili, risulta effettivamente che le radici, arrivando
a fare forza l’una contro l’altra e spingendosi indietro, sollevano delle
colline; oppure, se il terreno non le segue spostandosi, s’incurvano fino
all’altezza dei rami e formano degli archi a contrasto come portali spalancati,
tanto da lasciare il passaggio a squadroni di cavalleria»1.
L’azione della rivoluzione industriale ha inciso violentemente sugli
aspetti ecologici dei territori. Su questo non vi è alcun dubbio.
Personalmente però non ritengo sia la causa diretta alla quale
imputare l’estinzione quasi totale dei Patriarchi verdi. Al limite
una conseguenza o, al massimo, un agente parallelo. A mio avviso,
il punto di propagazione è squisitamente culturale. Qualcosa di
molto più sottile e profondo. Se ciò non fosse, in tutte le aree dove
l’onda del progresso tecnologico è arrivata, osserveremmo ora le
stesse condizioni. E non è così!
Non voglio esprimermi in termini assolutistici, perché qualcosa è
sopravvissuto di certo da un passato dove il binomio uomo-albero
era addirittura inevitabile, ma
è un dato inconfutabile che più ci si allontana geograficamente
dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma,
maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni
straordinarie e popoli con tradizioni che riconoscono all’albero
un potere super partes nel vissuto spirituale.
1 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Einaudi, Torino.

L CONCILIO NAMNETENSE 23
A conferma, è sufficiente pensare che in nessuna usanza cattolica
ufficiale risulta esserci un albero al centro di un atto contemplativo,
al massimo dei rami di ulivo nella Domenica delle Palme o un
abete ricoperto di lucine colorate a ornare un presepe.
L’Italia, che è il Paese nel quale il Parassita cattolico si è aggrappato
per aprire i suoi tentacoli all’esterno, si è dotata di una legge
quadro sulla protezione delle aree verdi soltanto nel 1991 a fronte
dell’istituzione della prima area protetta di carattere nazionale,
ovviamente alpina, datata nel 1922. L’evidentissima reticenza politica
nel concedere al verde la propria naturale importanza, attraverso
una presa di posizione forte e complessiva, conferma a pieno
la presenza di un atteggiamento ostile ben inculcato nei geni di
una popolazione cresciuta sotto il suono dei campanili da sempre.
L’educazione ambientale nelle scuole, per fare un altro esempio, è
insegnata da appena un ventennio, a differenza di tanti altri Paesi,
alcuni anche economicamente meno sviluppati.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto,
anzi, l’ha sempre considerata un intralcio. Chi conosce la Natura
selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria.
Chi si confronta con le grandi leggi che muovono la manifestazione,
attraverso un confronto diretto con lo strato più dinamico
del Cosmo Terra, apprende conoscenze che lo evolvono nella
semplicità. Chi si sofferma a contemplare la bellezza, anche di un
semplice filo d’erba, assorbe un nutrimento preziosissimo che lo
eleva verso piani esistenziali superiori. In definitiva: chi ritrova in
sé gli stessi impulsi celesti che muovono un albero secolare o una
farfalla difficilmente si genuflette a una croce con uno sconosciuto
inchiodato sopra.

24 LA MESSA È FINITA
L’essere umano che dialoga con il bosco
difficilmente accetta ordini che tradiscono la propria identità.
Difficilmente spegne il desiderio
di prendersi cura di chi gli permette di esistere.
Chi segue la Natura è più libero, forte, autentico.
L’Eros scorre lecito e incontrastato nelle vene di un’anima selvatica,
porta in superficie domande, curiosità, dubbi e reazioni. Il
termine vita trova nella Natura una delle sue più alte espressioni,
quasi fossero sinonimi con semplici variazioni cromatiche.
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto,
anzi, l’ha sempre considerata un pericoloso nemico. Un nemico
in quanto complice della sua preda preferita: l’uomo. L’uomo che
vive e viveva a contatto con gli alberi dispone e disponeva di un
grande mentore. Un saggio sempre pronto a elargire consigli e a
ricordare costantemente l’ordine delle cose e la potenza dell’armonia.
Un uomo che vive a contatto con gli alberi sa bene nell’intimo
che è vivo grazie a loro. Sa bene che appena è uscito dalla pancia
della propria madre loro sono “entrati” nei suoi polmoni adottandolo.
Sa bene di avere un organo per respirare che è un albero capovolto,
marchio di appartenenza energetica e biologica al bosco.
Non c’è una croce a congiungerci con l’esterno, c’è un albero.
E gli alberi verdi, con il tempo, diventano grandi, alti anche trenta
volte l’uomo. E vivono a lungo, tanto a lungo. Sono lì quando nasci
e tuo nonno ti parla di loro, e te ne vai anziano raccontando di
loro ai tuoi nipoti. E questa catena procede quasi all’infinito facenIL

CONCILIO NAMNETENSE 25
do perdere le tracce della loro età e facendoli sentire, rispetto a te,
immortali. Un albero che può vivere duemila anni è, rispetto agli
altri esseri, letteralmente immortale. Tutto ciò al Grande Parassita
non piace e non piaceva, in tutto il suo percorso il bosco è stato
sempre temuto e respinto.
Temuto e respinto, fino a un giorno nel quale decise di dichiarargli
apertamente guerra con un atto ignobile che va considerato a tutti
gli effetti uno dei gesti più squallidi, vili e dannosi compiuti a discapito
della vita stessa. Nell’anno 890 d.C., attraverso il concilio
Namnetense, la Chiesa cattolica prende una posizione ufficiale e
condanna a morte tutti gli alberi secolari presenti sul suo territorio,
nonché tutti i boschi ritenuti sacri dalle popolazioni che ancora non
si erano genuflesse alla croce. Le piante andavano eradicate, arse e al
loro posto in molti casi veniva eretta una chiesa. Quest’ultimo passaggio
denota benissimo l’identità del Parassita: “Non ‘spegniamo’
un luogo reso energeticamente forte da millenni di pratiche psichiche
e di atti biologici, ma ne diventiamo noi i proprietari”.
“Arbores daemonibus consecratae”, alberi consacrati ai demoni.
Riporto un passaggio del testo prodotto:
«Summo decertare debent studio Episcopi, et eorum ministri, ut arbores daemonibus
consecratae, qua vulnus colit, et in tanta venerazione habet ut nec
ramum nec surculum inde audeat amputare, radicitus excidantur, atque
comburantur. Lapides quoque in ruinosis locis et silvestribus, daemonum
ludificationibus decepti venerantur, ubi et vota vovent et deferunt, funditus
effodiantur, atque in tali loci proiciantur, ubi numquam a cultoribus suis
inveniri possint»2.
2 I. Buttitta, Verità e menzogna dei simboli, Meltemi Editore, 2008 Sesto San Giovanni
(mi), p. 41.

26 LA MESSA È FINITA
Ovvero:
«I vescovi e i loro ministri devono con estrema dedizione combattere perché
siano estirpati dalle radici e bruciati gli alberi consacrati ai demoni che
il popolo venera e considera talmente degni di venerazione e di rispetto da
non osare amputarne né un ramo né un germoglio. Tratti in inganno dalle
falsità dei demoni, venerano anche pietre in luoghi scoscesi e boscosi,
dove promettono e concedono voti. Che siano distrutte dalle fondamenta
e che siano gettate in luoghi dove non potranno mai più essere ritrovate!».
In pochi decenni gli effetti furono devastanti e l’azione si protrasse
nei secoli successivi. Ancora oggi non mi risulta esserci stata una
presa di posizione ufficiale e contraria della stessa portata e con la
stessa forza. Non vedo Vescovi impegnati all’altare nel profondere
positive considerazioni sugli alberi e sulla loro importanza nel
percorso evolutivo delle persone. Non ne vedo nemmeno a prendere
posizioni in merito a questioni relative al degrado ambientale,
all’inquinamento o alle politiche per le economie ecosostenibili,
se non con atti decisamente ipocriti. Li vedo impegnati su altro,
ben altro! Per dirla tutta, non mi risulta nemmeno ci sia stato un
mea culpa ufficiale per tutti i danni che questa azione ha causato e
causa. Evidentemente per loro va ancora bene così.
Da educatore ambientale che sono stato e da Alchimista che sono,
reputo gli effetti degli atti del concilio Namnetense
la più grande catastrofe naturale causata
dall’uomo ai danni della Natura selvatica.
Niente può essere paragonato a essa,
né in termini ecologici, culturale o economici,
né soprattutto evolutivi.

IL CONCILIO NAMNETENSE 27
Abbattere un albero secolare significa togliere a tutta la comunità
biologica del bosco un punto di riferimento che negli anni ha orchestrato
gli atteggiamenti volti alla riproduzione, alla protezione
e alla predazione. Un albero secolare è l’unico che può ospitare la
nidificazione di alcune specie di grandi uccelli e offrire il rifugio a
quei mammiferi predatori che occupano posizioni alte della catena
alimentare. La sua assenza stronca di netto tutta una serie di relazioni
dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto.
Un albero secolare intreccia le sue radici con una quantità inimmaginabile
di alberi ed essendo “vecchio” conserva un’esperienza ampia,
ha una memoria ampia! È una sorta di grande saggio per tutte
le forme vegetali del bosco, ma anche per quelle animali. Ogni volta
che ha la possibilità di codificare uno stimolo ricevuto, lo elabora
facendovi fronte con la sua antica conoscenza ed emette dei segnali
destinati a tutti gli esemplari che sono in contatto con le sue radici
per adottare atteggiamenti ottimali e condivisi. I segnali di carattere
elettromagnetico vengono fatti passare da albero ad albero e coprono
velocemente l’intero bosco. Un vero e proprio Wi-Fi vivente.
Un albero secolare è quindi un guardiano ecologico
preziosissimo che mette a disposizione
la sapienza conservata per il mantenimento
della vita dell’intero bosco.
Un albero di mille anni ha mille inverni nel legno e mille estati.
Ha conosciuto la siccità e la tempesta,
ha appreso la danza morbida del cosmo
e spontaneamente la condivide.
Tagliare un albero secolare significa togliere la possibilità all’uomo
di confrontarsi con se stesso, di conoscersi e di comprendere meglio

28 LA MESSA È FINITA
la propria portata. Fermarsi di fronte a un essere immensamente più
grande di te, più resistente e più longevo ti dona il premio dell’umiltà.
Sprofondare nel reticolo armonico dei suoi rami, nel suo propagare
e nelle curve dense del suo tronco, ti nutre di una sostanza sottile
che attiva delle memorie lontanissime dandoti consapevolezza. I
suoi codici esistenziali sono gli stessi dell’osservatore, ma molto più
antichi e questa azione vivifica e spinge oltre. Un uomo cresciuto a
ridosso di un albero secolare sa qualcosa di più di chi non ne ha mai
visto uno. È innegabile, il primo contatto visivo con un patriarca
verde è sempre un impatto violento, qualcosa che segna un termine
e un inizio. Averli eradicati tutti, aver rimosso per intero aree che
per millenni sono state il luogo di contatto con la Natura selvatica
ha letteralmente ucciso una componente intima dell’umanità intera,
ci ha reso tutti più poveri e limitati, ci ha segnati tutti irrevocabilmente.
Un albero secolare o lo erediti o non lo conoscerai mai. E
puoi solo, nel secondo caso, assistere e accompagnare con rispetto
l’evoluzione di un bosco per consegnare a generazioni future e inconcepibili
qualcosa che tu ora puoi solo immaginare.
Senza alberi adulti siamo tutti più deboli.
Era questo l’obiettivo ed è stato raggiunto!
In parallelo alla distruzione dei boschi antichi, venne portata avanti
già dal 1184, con il Concilio di Verona, la spietata caccia a tutte
quelle persone che conservavano e vivevano la Conoscenza ricevuta
attraverso l’interazione con le energie selvatiche. Migliaia di
roghi e torture, rivolte soprattutto al popolo femminile, allontanarono
quasi definitivamente l’uomo dal suo intimo alleato, nonché

IL CONCILIO NAMNETENSE 29
genitore superiore. Solo poche anime, nel segreto più assoluto e
nell’obbligo di vivere una vita disumana e lontana dalle più comuni
forme sociali, ha continuato a parlare con le foglie, con il
buio, con il silenzio dei tronchi e a raccogliere nei propri geni gli
insegnamenti provenienti dalle antichità del mondo. Solo poche
anime hanno mantenuto accesa la fiamma e se la sono passata. A
loro dobbiamo la grande pulsione umanistica del Rinascimento,
pochi secoli più tardi. A loro dobbiamo la conservazione dell’Arte
alchemica, a loro l’impulso che mi fa scrivere queste pagine oggi.
Tutto attorno, in quella che viene descritta con il termine “normalità”,
il vuoto.
Se provate a digitare sul più potente motore di ricerca il nome del
vostro vicino di casa vi usciranno migliaia di risultati. Se digitate
“Concilio Namnetense Arbores daemonibus consecratae”, ovvero
l’atto che ha segnato l’umanità in maniera indelebile, ne riceverete
soltanto otto (anno 2017).
Al Grande Parassita la Natura selvatica non è mai piaciuta tanto
e, se ha arruolato nelle proprie fila un mistico amante del bosco
attorno al XIII secolo come Francesco d’Assisi, lo ha fatto soltanto
per infiltrarsi fra quelle popolazioni più resistenti al verbo cattolico
e indebolirle da dentro. L’arte di infiltrarsi è anch’essa specifica
del Parassita. Chi s’infiltra non è notato e una volta raggiunta la
preda la “gestisce” di nascosto da dentro. Il Parassita non combatte
l’avversario per distruggerlo, ma per impadronirsi della sua
volontà. Non estingue il bisogno di dialogare con l’albero, che è
aperto a tutti, ma lo sostituisce con qualcosa che è di sua proprietà.
Partendo dal punto più alto possibile, s’inventa un Dio privato e
sostituisce l’albero con qualcosa di molto simile, casualmente fatta
dello stesso materiale: la croce.

30 LA MESSA È FINITA
La croce è l’albero cattolico.
È di fronte a Lei che ti devi fermare, a Lei devi chiedere
e da Lei farti ispirare.
È Lei che si ergerà sulla cima di ogni montagna.
È Lei che verrà frapposta fra l’uomo e il suo nuovo Dio. Diabolico!
Gran parte degli esemplari secolari che hanno raggiunto i nostri
tempi sono sopravvissuti e sono stati “graziati” solo perché
strumentalizzati dal clero: il grande cipresso secolare di San
Francesco a Villa Verucchio, il bagolaro di San Francesco a San
Leo, il leccio di San Francesco sul Monte Amiata in Toscana, il
faggio di San Francesco a Rieti, il castagno di San Francesco a
Narni in Umbria. Qui la strategia è ancora più sottile: il potere
dell’albero secolare è assorbito dal nome di un uomo e la parola
“Santo” lo riversa nello stomaco della Chiesa cattolica. L’essenza
selvatica viene così vestita forzatamente con la casacca del suo
carnefice!
Concludiamo.
L’errore più grave che si possa commettere è ritenere l’avversione
del clero ai danni degli alberi come storicamente superata.
Nulla di più sbagliato!
Il contatto empatico con una creatura vegetale e la sua contemplazione
possono procurare nell’essere umano una conoscenza
incommensurabile.
Lo è sempre stato e lo sarà per sempre. Nulla di più pericoloso
per chi possiede un impero fondato sull’ignoranza dei propri serIL

CONCILIO NAMNETENSE 31
vi! Ciò che è in atto è una gestione abilissima e impercettibile.
Non più editti e aperte dichiarazioni di guerra, ma velatissime
ingerenze con strumenti subliminali. Il Parassita si fa sempre più
invisibile, sempre più spesso veste gli abiti del protettore dell’esistenza,
mentre ne profana l’intimo richiamando a una condotta
contro natura. L’ovvietà dei messaggi papali è un suolo di gomma
morbida che rende impossibile ogni scatto dell’Eros creativo.
Come cresce la possibilità di informarsi, così aumenta la scaltrezza
di intorbidire le acque. E tutto volge ancora ad accreditare
santi e misteri della fede, per non ammettere che senza alberi
non si respira, senza Donne non c’è vita, e senza Sole tutto si
spegne.
Mi prendo infine il piacere di ricordare come il dominio sulla creatura
vegetale venga celebrato in occasione di ogni Santo Natale.
Tenete sempre ferma nella vostra mente questa premessa: la Chiesa
cattolica non fa mai nulla a caso. Nulla! Nella piazza più potente
a disposizione, piazza San Pietro, viene immolato alle alte volontà
un esemplare di sempreverde dall’immane statura, proveniente
dalle zone alpine. Tutto simbolico: un’autentica messa in scena con
alta facoltà di condizionamento inconscio.
Le Alpi: un luogo lontano e fortemente selvatico, il simbolo del
regno autoctono e originale, pilastro della Natura insuperabile e
ingestibile. Con un’azione altamente spettacolare, l’albero viene
scelto tra i più belli, tagliato, legato e trasportato da un elicottero
come un prigioniero fino al centro della piazza dove viene infine
ancorato al suolo. L’albero è morto ma deve apparire vivo, anzi viene
addobbato quasi a dare l’idea che sia felice di strare lì, che abbia
accettato di farlo e si sia arreso serenamente. È solo, accerchiato,
impotente. E lentamente si asciuga e si spegne.

32 LA MESSA È FINITA
Mi ricordano tanto, questi alberi, gli eretici arsi nelle piazze, strappati
al loro vivere, privati della facoltà di esprimere se stessi, legati
e messi in mostra alle masse, affinché la loro drammatica posizione
apparisse come esclusiva debolezza di fronte alla potenza del dominatore.
Abbassare l’avversario per figurare più alti. I corpi arsi
cadevano a pezzi e si facevano cenere. Terminata la festa, all’albero
spetta lo stesso destino.
3
L’Istituto della Famiglia
La gabbia chiamata Amore
La famiglia è proposta dal clero come unico e sano aggregato
sociale. Chi non si sposa è percepito come incompiuto e incompleto.
Solo da poco, l’eleganza del termine “single” ha preso il
posto dei dispregiativi “scapolone” e “zitella”. La famiglia è un
punto di arrivo imprescindibile, nella vita non puoi non sposarti
e devi farlo in chiesa. Se poi divorzi, commetti un “peccato
mortale”.
Non è una cosa buona restare da soli. L’individualità non è vista
quasi mai come positiva, il suo valore vien fatto virare spesso in
solitudine o estrema diversità.
Moralmente parlando, l’essere umano deve desiderare il gruppo e
rifuggire il percorso solitario, qualunque esso sia. La realtà quotidiana
ci parla di mode e tendenze omologanti.
Partiamo subito diretti: perché mai per la Chiesa cattolica l’istituto
della famiglia è così intoccabile, tanto da difenderlo in ogni sede
con ogni forza possibile e dedicargli sfilze di simposi in ogni dove?
Ecco subito una prima risposta! Premesso che il rispetto per la
propria individualità è un atteggiamento puramente eretico, ovvero
connota la necessità di prendersi cura di sé senza uniformarsi
agli altri, ed è quindi tipico di quelle persone che intendono con34

LA MESSA È FINITA
quistare a tutti i costi le verità più profonde, possiamo facilmente
comprendere che
chi sceglie di sua spontanea volontà di condurre
un’esistenza solitaria e al di fuori del contesto condizionante
famigliare, sia più predisposto a sviluppare pensieri e atteggiamenti
potenzialmente dannosi per la Chiesa cattolica.
Dogma e fede non vanno affatto d’accordo con scienza e ragionamento.
È quindi ovvio che se nessuna pecora intralcia le volontà
del pastore, l’opera si fa decisamente più fluida. Ma questa è
soltanto una piccola colonna che sostiene l’istituto della famiglia.
Affinando l’analisi e tenendo ben presente con chi si ha a che fare,
si raggiungono elementi molto più profondi e a dir poco inquietanti:
se da un lato si tocca con mano l’intelligenza e la conoscenza
sopraffina del protagonista, dall’altro si constata la sua indole insensibile
e spietata di Parassita. Al termine del percorso di indagine
sarà facile comprendere che ciò che viene proposto come normale
e buono altro non è che il terreno ideale dove indebolire, controllare
e togliere energia vitale all’essere umano.
Procediamo per ordine. In primo luogo, l’asse famigliare cementa
il rapporto di forza che lega il genitore al figlio, permettendogli di
influenzarne lo sviluppo. Il figlio è di proprietà del genitore, che può
disporne liberamente e a pieno diritto. Infondo, come ci fa notare
attentamente lo psicologo Sergio Martella in una sua riflessione, il
Dio cattolico ha creato un figlio per poi ucciderlo in croce3. Su questo
canale così strutturato, che unisce come una catena il figlio al ge-
3 S. Martella, Pedoclastia, https://www.youtube.com/watch?v=wY4zlUi4Fx8

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 35
nitore, la Chiesa può innescarsi e far scorrere con gran facilità le proprie
disposizioni, come un fluido che si diffonde per caduta. Tutta
l’azione educativa indirizzata ai genitori ricade automaticamente sul
figlio, che la riceve come un contenitore passivo e innocente.
Il figlio non può che accettare senza mettere nulla in discussione,
a buona ragione non mette in discussione tutto il nutrimento
che gli è giunto dal cordone ombelicale in fase fetale. Dall’alto
della sua purezza, avverte la distorsione della linea educativa che
interessa le questioni religiose, ma la accoglie con naturale fiducia.
Anch’io ricordo di non avvertire così legittima la figura di una
Santa Maria vivente tra le nuvole, che si sarebbe arrabbiata per
certi miei comportamenti.
Ma come puoi non fidarti di una madre che ti nutre,
ti veste e ti protegge da sempre?!
In tenera età, un figlio non mette mai in discussione
l’azione di chi gli permette di sopravvivere.
Quindi, quale momento migliore per inoculare un virus morale?!
La madre, per un figlio, è l’unica radice per esistere, talmente essenziale
da essere scontata. Un figlio non lo pensa che sta vivendo
grazie alle azioni di una madre. Il figlio non pensa nemmeno che
sta vivendo. Vive e basta. Ecco quindi, che per il principio dei vasi
comunicanti, il verbo si diffonde con semplicità e s’infiltra nella
massima profondità. Capite ora perché la santa dottrina impone di
giungere vergini all’altare?! Altro che questioni legate alla purezza!
I figli devono nascere in un contesto che predisponga alla massima
ingerenza e un matrimonio celebrato in Chiesa impianta nella psiche
dei genitori strumenti di controllo fortissimi.

36 LA MESSA È FINITA
Quasi nessuno conosce cosa producano, a livello sottile,
certe ritualità così condotte.
Sono tecnologie superiori, invisibili,
spesso inimmaginabili per le masse.
Per il Pastore che pascola il suo gregge, la dinamica che congiunge
il genitore al figlio consente anche notevoli benefici a livello gestionale.
Se un popolo è “sciolto” e ogni individuo dispone della
propria autonomia, per gestirlo occorre investire energie in tanti
interventi individuali. A ognuno degli individui va rivolta un’attenzione
personale e un intervento personalizzato. Un impegno
davvero notevole e sicuramente non sempre efficace! Se invece il
popolo è raggruppato in famiglie, al pastore è sufficiente colpire
il capofamiglia. Sarà poi il capofamiglia a trasferire l’azione di
controllo sui propri figli, ignaro di diffondere semplicemente la
propria condizione di schiavitù. In fondo, come ben recitava una
vignetta che incontrai sul web, solo uno schiavo accetterebbe che i
propri figli chiamino “padre” un altro uomo.
Un altro terribile aspetto che i figli sono condannati ad affrontare,
essendo inseriti nella dinamica famigliare, è la difficoltà di
sviluppare un proprio senso critico, una sana personalità e un’autentica
sicurezza operativa. Se il genitore non ha raggiunto una
notevole maturità interiore, e questo succede raramente, la struttura
famigliare genera situazioni che lo vedranno conduttore di un
programma educativo non finalizzato allo sviluppo e alla emancipazione
del figlio, ma a un suo controllo. Disponendo di un potere
smisurato, egli verrà indotto inconsciamente a replicare sul figlio
le stesse dinamiche vissute in età infantile. Se era stato punito dai
propri genitori, svilupperà la tendenza a punire il proprio figlio.

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 37
Se era stato ignorato, ignorerà. Se era stato dominato, vivrà la sua
rivalsa dominando.
Quello a cui si assiste è una insana evoluzione dei ruoli che
disallinea lo sviluppo psichico del figlio con le proprie fasi biologiche.
Si rallenta quindi lo sviluppo della personalità e si tende
a rimanere subordinati alla famiglia d’origine più a lungo.
Nell’intimo, molto spesso i figli rimangono tali fino a età avanzata
e non accedono alla posizione interiore di uomo o donna.
Rimangono figli e come tali subordinati alla volontà del genitore.
Non sono e non si sentono liberi nelle loro scelte, temono il giudizio
del genitore o evitano comportamenti che implicano una presa
di responsabilità. Tutto ciò produce una collettività più debole,
più lenta nell’evolvere e più facilmente indottrinabile. Non è un
caso che i Paesi meno influenzati dal clero sono quelli nei quali i
giovani si emancipano prima.
Per alcune donne è proprio il matrimonio l’unica via di fuga dalla
famiglia. Un uomo che si sostituisce al padre e le allontana fisicamente
dal nucleo originario. Ma, se la creazione di una famiglia
propria avviene senza che siano stati prima sciolti i legami inconsci
con i genitori, i figli sono condannati a ricreare polarmente la stessa
famiglia che hanno “lasciato”, sostituendosi al ruolo dalla madre
e attribuendo al marito gli stessi ruoli che aveva il padre. Identiche
dinamiche nel caso fosse un uomo a scegliere il matrimonio come
via di fuga dalla famiglia originaria. Tutti gli studi condotti nel
campo della meta-genealogia hanno confermato questa dinamica.
È interessantissimo notare che è proprio l’atto del matrimonio a
fare scattare questa dinamica. Ho personalmente notato, e riten38

LA MESSA È FINITA
go di non essere il solo, che molte coppie stabili e di lunga data
modificano in peggio i propri rapporti non appena decidono di
celebrare la loro unione con un atto ufficiale.
Il passaggio di ruolo da uomo a marito, o da donna a moglie,
scatena memorie genetiche fortissime e attiva quello che
potremmo definire un campo morfico malsano.
Diventando coniuge, la persona si aggancia
a una griglia comportamentale super partes
che ne condiziona quasi totalmente la relazione.
Da quel momento, entrambi i partner non sono più soltanto due
persone che vivono un percorso insieme, ma entrano a fare parte
della grande creatura psichica collettiva che è il matrimonio. Una
vera e propria eggregora4!
Nessun comportamento rimane indenne, soprattutto se il matrimonio
è di matrice cattolica: il marito inizia a diventare una cosa,
la moglie un’altra.
Emergono caratteri riconducibili a parenti, si strutturano nuove
personalità. Lentamente e inesorabilmente, le persone vengono riposizionate
a un livello funzionale alla conservazione del carattere
dei reciproci clan di appartenenza famigliari, rallentando fino a
compromettere la spinta evolutiva di entrambi.
In definitiva, se è vissuto prima di una profonda maturazione interiore,
il matrimonio è un’autentica tomba per chi ambisce all’autotrascendenza!
E non a caso il clero lo sponsorizza tanto, subordinandone
anche la sessualità. Che ignobile ricatto!
4 Entità incorporea generata dalla convergenza psicologica di un gruppo di persone, in
grado di condizionare il comportamento del gruppo stesso che l’ha generata.

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 39
Torniamo al legame genitori-figlio. La forza della catena che unisce
le generazioni è talmente forte a livello inconscio che quando un
figlio decide a tutti i costi di reciderla, raramente questo avviene
per via pacifica. Quasi sempre è richiesto giungere ad uno scontro
frontale, a uno strappo, ed è indispensabile un Fuoco interiore
davvero straordinario. Il genitore non è quasi mai disposto a cedere
di sua spontanea volontà.
Inconsciamente, il figlio gli appartiene;
ha proiettato su di lui le sue volontà,
ne ha fatto un suo prolungamento virtuale,
un luogo di riscatto e di rivalsa
per le condizioni subite a sua volta dal proprio genitore.
Staccarsi significa perdere potere e sicurezza.
Significa “tornare uomo” o ancor più diventarlo per la prima volta.
E questo comporta fare i conti con la libertà, che come sappiamo
spaventa tanto chi non la conosce.
L’opera di distacco del figlio dal genitore, l’atto che spezza questo
campo di forza malsano, è un gesto fondamentale e di profonda
bellezza. Ricalca il processo naturale della vita, ne è un passo della
stessa danza. Una volta compiuto, e una volta spenta la tensione
del conflitto, ne beneficiano sempre entrambi.
Nelle società tribali, il figlio che ha raggiunto la maturità sessuale,
viene accompagnato nella foresta e lì lasciato a sopravvivere da solo
per alcuni giorni. Trascorso il tempo stabilito, il figlio può fare
ritorno alla tribù ed è dichiaratamente diventato uomo e quindi
libero di esprimere apertamente le proprie volontà. Il figlio non
rischia nulla nella foresta, sa bene come muoversi in quella che da

40 LA MESSA È FINITA
sempre gli è stata presentata come una madre e un padre superiori.
Il gesto è quindi puramente simbolico e iniziatico.
Questa esperienza, se da un lato ci dimostra l’apertura mentale
di chi si è potuto tenere alla larga dal germe cattolico,
dall’altra ci insegna in che modo un essere umano
sviluppa le sue potenzialità più profonde e si rende autonomo,
ovvero esplorando uno spazio esistenziale in solitudine
e approcciando il mondo come un collaboratore.
Nella società di stampo cattolica, invece, il figlio rimane all’interno
del nucleo famigliare guidato dal padre o dalla madre fino a quando
non decide di formarsi lui stesso una sua famiglia e, per tutto il
tempo di permanenza, viene sottoposto a una serie di iniziazioni e
pratiche ben cadenzate nel tempo, nei confronti delle quali non è
mai chiamato a esprimere il suo parere, né tantomeno è necessario
il suo consenso.
Gli ordini partono dalla parrocchia, raggiungono il capofamiglia e
ricadono infine sul figlio che li subisce e, per amore del genitore, li
accetta. Neanche il genitore, a sua volta, è mai chiamato a esprimersi
nei confronti della parrocchia in merito alle attività proposte. I “sacramenti”
arrivano direttamente da Dio e quindi non si rifiutano né
si discutono, né direttamente con Lui né con i suoi rappresentanti in
Terra. Il genitore obbedisce come il figlio. Non si chiede se è giusto o
che senso abbiano. Non sa neanche di che cosa si tratti realmente. Al
massimo ne ha una vaga idea simile a quella che sia a riguardo degli
ingredienti di un prodotto industriale alimentare.
Va fatto! Insomma: lo fanno tutti e quindi è giusto farlo! Non sa
che nel suo dna c’è scritto che chi non lo fa finisce nel fuoco con

L’ISTITUTO DELLA FAMIGLIA 41
le ossa spezzate, ma in un certo modo lo sente. Un sentore strano
accompagna l’idea di un ipotetico rifiuto. Meglio non rischiare.
Pochi genitori si chiedono quindi cosa sia il battesimo, e il figlio è
costretto a battezzarsi. Poi arriva “la confessione” dove, a un tale, il
figlio avrà l’obbligo di raccontare cose intime e segrete che spesso
neanche al genitore racconterebbe. È un tale speciale e alla fine lo
punirà obbligandolo a pronunciare frasi degne del peggior sadomasochismo.
L’Atto di dolore recita testualmente: «Perché peccando
ho meritato i tuoi castighi».
Sempre quel famoso tale, anche se è perfettamente sconosciuto e
nascosto, diviene per magia un profondissimo e obbligatorio confidente,
e al pari un castigatore. Non è forse la stessa malsana dinamica
educativa ed esistenziale riscontrata nel rapporto genitorefiglio?!
Ma notate bene: il figlio potrebbe anche non sapere chi è,
visto che il prete è sempre nascosto dietro la grata e al buio. Il prete
invece vede sempre molto bene con chi sta parlando.
Dopo la confessione seguono la comunione e la cresima. Sì, la
cresima! E in quella occasione un essere con un lungo cappello in
testa, che sembra un alieno, darà un buffetto in faccia al figlio.
Certo è un gesto simbolico, ma pensateci bene:
un genitore che permette a uno sconosciuto
di mettere, se pur simbolicamente, le mani addosso al proprio figlio.
Vi sembra una cosa normale?! Certo, normalissima.
In fondo quell’essere non è solo apparentemente superiore
e porta con sé il bastone del comando,
ma è anche un vescovo, ovvero un alto ufficiale della Chiesa.
Non ci si può opporre a qualcosa che è quasi prossima a Dio,
se tu sei prossimo al gregge.

42 LA MESSA È FINITA
L’apice sarcastico lo trovo però nell’intendere la cresima come
“l’atto di conferma”. Della serie: io ti confermo che sono a tua
disposizione, qualunque cosa mi imporrai io non reagirò e accetterò
felice. Aspetti decisamente patologici! Inoltre, se l’atto fosse
sorretto dalla buona fede, la conferma non verrebbe chiesta a un
ragazzino adolescente che ha ancora una visione molto ristretta
della vita e soprattutto del clero. La conferma andrebbe chiesta
a un essere adulto che ha avuto modo di conoscere, informarsi e
apprendere anche con l’esperienza diretta qualcosa in più dell’esistenza.
Ma se così fosse, di conferme ne riceverebbero decisamente
poche! La Chiesa cattolica sa bene che l’età nella quale
viene imposta la cresima corrisponde alla maturità sessuale dei
ragazzi. E la Chiesa sa bene che la pulsione erotica porta a un
innato istinto alla conoscenza, al guardarsi intorno, al porsi delle
domande, all’assaporare di persona e al prendere anche delle
posizioni divergenti dalla norma. Il risveglio delle energie sessuali
porta ai primi passi verso l’emancipazione in tutti i campi,
e l’emancipazione dell’imposizione religiosa è una tra quelli più
appetibili.
Il giovane adolescente avverte bene che in quel campo
c’è qualcosa che “non quadra”,
e allora occorre incidere subito la sua struttura psichica
con uno shock importante.
Viene inviato un ufficiale di grado maggiore, non un semplice prete.
Vengono pronunciate parole importanti, s’introducono aspetti
del mondo degli adulti, si porta luce sulla nuova forza che emerge
dai giovani presenti e si ribadisce, infine, per l’ennesima volta, a
chi va portata obbedienza. Anche questa funzione, in termini so
stanziali, può quindi essere intesa come una violenza da parte di
un adulto forte su un giovane debole.
Infine c’è il matrimonio. E nel mezzo, a scandire il ciclo annuale
del Sole, autentica energia cristica, una serie frastagliata di processioni,
atti e rievocazioni varie.
Nemmeno nel giorno della dipartita l’essere umano viene lasciato
solo. È bene che veda il prete e la Chiesa anche negli ultimi istanti.
Che rimanga ben impressa, nella superficie animica della persona,
l’immagine della croce. Sarà più semplice riprendere e continuare
il lavoro di controllo, una volta ritornata sulla Terra!
L’istituto della famiglia è un cardine portante
dell’egemonia clericale.
Se resti dentro alla trappola della famiglia,
sei e rimani come i tuoi genitori, quindi non ti evolvi.
E un essere che non evolve è facilmente gestibile e dominabile.
Fateci caso: persino al personaggio Gesù, presentato come esponente
divino tra gli uomini, è stata costruita una famiglia in terra.
In questo caso però è servita davvero tanta fantasia per conciliare
annunciazioni, un padre adottivo e uno invisibile, una vergine e
un po’ di Spirito Santo! Davvero buffo è infine notare che lo stesso
Gesù prende posizioni a dir poco imbarazzanti in merito al legame
genitore-figlio. Direttamente dal Vangelo di Luca 12:51-53:
«Pensate voi ch’io sia venuto a mettere pace in Terra? No, vi dico; ma
piuttosto divisione. Perché, d’ora in avanti, cinque persone in una casa
saranno divise, tre contro due e due contro tre. Il padre sarà diviso contro
il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia e la figlia contro
la madre; la suocera contro la sua nuora e la nuora contro la sua suocera».

44 LA MESSA È FINITA
Buffo e contrastante, ma questa è la Chiesa cattolica e parole come
“coerenza”, “rispetto” e “lealtà” sono semplici accessori.
In Natura non esiste la famiglia, al massimo esiste la tribù. I figli
non appartengono ai genitori, sono figli della tribù. Vi immaginate,
a livello educativo e di crescita di una civiltà, cosa significherebbe
che “i figli sono della tribù”?! Sarebbe il presupposto fondamentale
per lo sviluppo del buon senso e del senso civico. Tutti
si sentirebbero davvero parte dell’unica famiglia possibile e sana:
l’umanità. Tante famiglie significa invece tanti conflitti e tanti
blocchi. Significa creare divisioni e soprattutto selezioni: famiglie
che conservano il potere e famiglie che conservano l’ignoranza.
«Dividi et impera» dicevano gli antichi Romani, dai quali il clero
ha raccolto buona parte dell’eredità nell’arte del dominio. Loro
che ci dicono come dobbiamo relazionarci con i nostri figli nelle
nostre famiglie. Loro che non fanno né l’uno né l’altro!

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