Tanzania, milletrecento famiglie espropriate della loro terra
L'accaparramento delle terre coltivate dalle comunità locali dei paesi poveri: la nuova frontiera del neocolonialismo. La società svedese EcoEnergy ha affittato per 99 anni dal governo tanzaniano più di 20 mila ettari di territorio nel distretto nord orientale del Paese. Così - denuncia ActionAid - i contadini di Bagamoyo, produttori di mais, riso, frutti, e cassava, e piccoli allevatori, perderanno tutto e altre 300 famiglie anche la casa. L'area era dell'azienda di Stato, Razaba Farm, chiusa dal 1993
di STEFANIA MARTANI
ROMA - E lo chiamano sviluppo: 1300 contadini espropriati della loro terra in Tanzania. E questo in nome della 'sicurezza alimentare'. Estorsione, furto, esproprio, ma in inglese traducono con land-grabbing, ossia accaparramento delle terre coltivate dalle comunità locali dei paesi poveri; la nuova frontiera del neocolonialismo, ancora più odiosa - e ipocrita - perché travestita da azione volta alla crescita e al benessere dei "dannati della terra", attuata da compagnie transnazionali, e soggetti privati. Mwesigire, avvocato e scrittore ugandese, afferma senza ombra di dubbio che è in atto una "silenziosa ricolonizzazione su vasta scala", travestita da sviluppo economico e da lotta alla povertà, ma la cui finalità è unicamente la soddisfazione degli interessi delle multinazionali.
E gli svedesi "noleggiano" la terra. Stavolta ad entrare in questa corsa alla terra - un fenomeno incrementatosi con la crisi finanziaria del 2008 e la ricerca di nuovi settori di investimento - è l'azienda svedese EcoEnergy, che ha affittato per 99 anni dal governo tanzaniano più di 20 mila ettari di territorio nel distretto nordorientale del Paese. In questo modo - denuncia ActionAid - 1300 contadini di Bagamoyo, produttori di mais, riso, frutti, e cassava, e piccoli allevatori - perderanno la loro terra, e altre 300 famiglie anche l'abitazione. L'area in questione apparteneva in precedenza a una azienda agricola di Stato, Razaba Farm, chiusa dal 1993. Da allora su questi terreni le comunità locali hanno esercitato un diritto di uso che adesso viene negato. 185 famiglie (350-500 persone), hanno aperto una causa legale con l'azienda, che, tra l'altro, ha insediato alcuni pastori indigeni Barabaig, in un'area di circa 2.400 ettari fuori dalla zona del progetto, senza alcun contratto che ne garantisca l'uso permanente. La Tanzania è diventata una delle mete preferite da imprese multinazionali e fondi di investimento: dal 2006 al 2012, circa 40 compagnie straniere hanno affittato o comprato grandi proprietà terriere, dai 2.500 ettari in su. Sulle quali hanno impiantato produzioni di jatropha e canna da zucchero da trasformare in componenti per biodiesel.
Chi prende, chi perde. Secondo Grain.org, sempre dal 2006 al 2012, sono stati 416 gli investimenti di "grabbing" nel mondo e hanno interessato quasi 35 milioni di ettari di terreno in 66 paesi. Il primato delle acquisizioni, secondo i dati di Land Matrix, è tenuto dagli Stati Uniti (oltre 7 milioni di ettari), la Malesia (3 milioni), gli Emirati Arabi Uniti (2,8 milioni) e il Regno Unito (2,2 milioni). A spese di chi? La nazione che ha perso più terra è la Papua Nuova Guinea (quasi 4 milioni di ettari), segue l'Indonesia (3,5 milioni), il Sud Sudan (3,4), la Repubblica Democratica del Congo (2,7 milioni). Italiani, brava gente- Anche il Bel Paese non è immune da responsabilità, con acquisizioni in Etiopia, Liberia, Mozambico e Senegal dove, dal 2005, più di 80mila ettari di terra sono passati in mani italiane.
Il caso EcoEnergy. L'obiettivo, negli intendimenti di Ecoenergy, è creare monocolture di canna da zucchero, uno dei prodotti dell'agricoltura di mercato. Il meccanismo è quello solito della locazione dai Governi locali: in tal maniera le terre non risultano nel patrimonio aziendale e pertanto non sono "tassabili". Inoltre questi contratti solitamente lasciano piena licenza per l'utilizzo di tutte le risorse sottostanti e sovrastanti la terra-anche delle risorse idriche- e per la scelta della 'colture'. Secondo ActionAid i contadini sono stati posti di fronte all'alternativa se ricevere un indennizzo in denaro o insediarsi altrove ( terre di qualità inferiore a quelle perdute e senza impegni ufficiali e vincolanti da parte della società). E, nonostante EcoEnergy affermi di aver condotto consultazioni con gli interessati, molti intervistati lamentano di non aver avuto chiare delucidazioni sugli effetti irreversibili che il progetto potrebbe avere sulla loro vita e sul loro diritto al cibo e alla terra.
Nessuna alternativa: bisogna andarsene. Sefu Mkomeni è un contadino di Matipwili, un villaggio nella zona di Biga West, ha affermato che "Non c'era la possibilità di scegliere se restare o andarsene, ma solo di andarsene. Non ci è stata data nessuna opzione su come usare la terra. Ho già investito in quella zona e ora me ne devo andare". Tutto ciò violerebbe le TGs (Direttive volontarie sulla governance responsabile dei regimi fondiari) adottate dalla comunità internazionale nel 2012, che stabiliscono il diritto delle persone a un consenso previo libero e informato sulle attività e le scelte che riguardano il loro territorio, e la possibilità di opporsi. Inoltre il governo tanzanese scavalcherebbe i diritti di uso della terra delle comunità locali, sempre in violazione delle TGs, dove vengono riconosciuti. Del resto solo il 10% dei contadini può vantare titoli ufficiali di proprietà nella zona, basando le loro pratiche su antichissimi diritti consuetudinari.
Privato e pubblico a braccetto per la sicurezza alimentare. Ma di chi? L'azione di EcoEnergy rientra nei piani della Nuova Alleanza per la sicurezza alimentare e la nutrizione, l'iniziativa del G8 per far uscire dalla povertà 50 milioni di africani, che coinvolge assieme a soggetti pubblici, 45 multinazionali dell'agroalimentare (tra cui Cargill, Monsanto Syngenta e Yara). L'ideologia portante è che introdurre l'agricoltura industriale sia un aiuto ai paesi poveri. Ma gli esperti, a cominciare da quelli della Fao, vanno affermando che allevamenti intensivi, supersfruttamento del suolo, pesticidi e fertilizzanti chimici, ogm non sono la soluzione del fabbisogno alimentare, anzi. Un recente studio econometrico mostra che se, in Tanzania, la terra fosse stata data (e irrigata) ai piccoli contadini, tre milioni di persone in più troverebbero da mangiare. Tuttavia questa 'Alleanzà potrebbe essere il cavallo di troia per grandi imprese e fondi finanziari per accaparrare territori, tagliando fuori i produttori su piccola scala, che coltivano per la loro famiglia e per il loro villaggio, e che nutrono fino all'80% della popolazione (il Burkina Faso e il Niger grazie a loro sarebbero a un passo dall'autosufficienza alimentare), mentre le multinazionali produrrebbero essenzialmente per l'export e l'industria, imponendo monocolture, ogm e privatizzazioni di terre comunitarie, esigendo da Governi incentivi, defiscalizzazioni e accesso a sementi, terreni, acqua, manodopera e mercati.
La petizione internazionale. Secondo ActionAid, che ha lanciato una petizione internazionale rivolta al presidente della Tanzania per chiedere di sospendere il progetto e di avviare un nuovo processo di consultazioni con la comunità, i Governi finanziatori "devono pretendere e assicurare maggiore trasparenza sul progetto, interrompere ogni partecipazione e supporto alla Nuova Alleanza, sostituendola con iniziative reali di sostegno ai produttori di cibo su piccola scala e promuovere l'agricoltura sostenibile". In Tanzania, alla Nuova Alleanza partecipano infatti l'Unione europea e i governi di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Giappone e Russia. Il progetto di EcoEnergy riceve inoltre il sostegno diretto della Banca africana di sviluppo, del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo e dall'Agenzia svedese per lo sviluppo internazionale. Anche il governo tanzaniano ha degli interessi diretti nell'investimento possedendo il 5% della AgroEcoEnergy Tanzania attraverso la sua controllata Tanzanian Petroleum Development Company (TPDC).
Agricoltura contrattuale rischiosa (per i contadini). EcoEnergy si propone di coltivare direttamente canna da zucchero su 7.800 ettari, impiegando circa 2 mila lavoratori diretti. Altri tremila ettari sarebbero organizzati in 25-35 aziende agricole, ognuna di circa 50 produttori su un'area che oscilla tra i 75 e i 150 ettari. Tuttavia la creazione di queste piccole aziende comporterebbe un investimento, da parte di 1500 famiglie, di circa 800mila dollari, 16mila a persona. Il reddito minimo annuo in Tanzania è di 528 dollari, trenta volte meno il livello di indebitamento individuale necessario per partecipare al progetto della EcoEnergy. Chi non riuscisse a pagare perderebbe la terra. Inoltre, fino a che il prestito non verrà restituito, l'unica fonte di guadagno per i produttori sarà data dal salario che percepiranno all'interno di ogni singola impresa, che rischia di essere al di sotto del minimo mensile stabilito nel settore agricolo, di 44 dollari. La EcoEnergy in regime di monopsonio, ovvero unico acquirente del prodotto, avrebbe una forza contrattuale sui prezzi di acquisto molto maggiore di quella dei produttori. E come verrebbe prodotto il resto dell'alimentazione? "Ma noi generiamo del reddito, e attraverso quel reddito avviene poi l'acquisto del cibo" risponde l'azienda. La EcoEnergy sta cercando anche di acquisire terra nell'area di Biga West (sul cui status legale della terra si è originato una controversia tra due villaggi che ne rivendicano il controllo: Fukayosi e Matipwili).
Vantaggi economici poco chiari. Secondo EcoEnergy, l'operazione è passibile di generare dai 45 ai 50 milioni di dollari all'anno di introito per l'economia locale; ma secondo ActionAid si tratta di cifre sovrastimate: i guadagni si aggirerebbero tra 8,55 milioni e 11,5 milioni di dollari l'anno, derivanti principalmente dalla creazione di lavori diretti e indiretti e dai salari derivati dal modello delle aziende agricole satelliti. In aggiunta l'azienda ha affermato, durante le presentazioni, che il Governo avrà una quota partecipativa del 25% nel progetto. In realtà, questa ammonterà al 10% nei primi 18 anni, per arrivare al 25% solo nel diciannovesimo anno. Altre informazioni da parte della società dichiarano che EcoEnergy pagherà il 30% di imposta sul reddito d'impresa, mentre la ricerca di ActionAid ha rilevato che la compagnia ha ottenuto una moratoria fiscale di 10 anni. Il contratto di rendimento del progetto non è mai stato reso pubblico. Inoltre, il materiale disponibile non specifica quali salvaguardie o obblighi contrattuali e legali l'azienda abbia nei confronti della comunità locale.
E gli svedesi "noleggiano" la terra. Stavolta ad entrare in questa corsa alla terra - un fenomeno incrementatosi con la crisi finanziaria del 2008 e la ricerca di nuovi settori di investimento - è l'azienda svedese EcoEnergy, che ha affittato per 99 anni dal governo tanzaniano più di 20 mila ettari di territorio nel distretto nordorientale del Paese. In questo modo - denuncia ActionAid - 1300 contadini di Bagamoyo, produttori di mais, riso, frutti, e cassava, e piccoli allevatori - perderanno la loro terra, e altre 300 famiglie anche l'abitazione. L'area in questione apparteneva in precedenza a una azienda agricola di Stato, Razaba Farm, chiusa dal 1993. Da allora su questi terreni le comunità locali hanno esercitato un diritto di uso che adesso viene negato. 185 famiglie (350-500 persone), hanno aperto una causa legale con l'azienda, che, tra l'altro, ha insediato alcuni pastori indigeni Barabaig, in un'area di circa 2.400 ettari fuori dalla zona del progetto, senza alcun contratto che ne garantisca l'uso permanente. La Tanzania è diventata una delle mete preferite da imprese multinazionali e fondi di investimento: dal 2006 al 2012, circa 40 compagnie straniere hanno affittato o comprato grandi proprietà terriere, dai 2.500 ettari in su. Sulle quali hanno impiantato produzioni di jatropha e canna da zucchero da trasformare in componenti per biodiesel.
Chi prende, chi perde. Secondo Grain.org, sempre dal 2006 al 2012, sono stati 416 gli investimenti di "grabbing" nel mondo e hanno interessato quasi 35 milioni di ettari di terreno in 66 paesi. Il primato delle acquisizioni, secondo i dati di Land Matrix, è tenuto dagli Stati Uniti (oltre 7 milioni di ettari), la Malesia (3 milioni), gli Emirati Arabi Uniti (2,8 milioni) e il Regno Unito (2,2 milioni). A spese di chi? La nazione che ha perso più terra è la Papua Nuova Guinea (quasi 4 milioni di ettari), segue l'Indonesia (3,5 milioni), il Sud Sudan (3,4), la Repubblica Democratica del Congo (2,7 milioni). Italiani, brava gente- Anche il Bel Paese non è immune da responsabilità, con acquisizioni in Etiopia, Liberia, Mozambico e Senegal dove, dal 2005, più di 80mila ettari di terra sono passati in mani italiane.
Il caso EcoEnergy. L'obiettivo, negli intendimenti di Ecoenergy, è creare monocolture di canna da zucchero, uno dei prodotti dell'agricoltura di mercato. Il meccanismo è quello solito della locazione dai Governi locali: in tal maniera le terre non risultano nel patrimonio aziendale e pertanto non sono "tassabili". Inoltre questi contratti solitamente lasciano piena licenza per l'utilizzo di tutte le risorse sottostanti e sovrastanti la terra-anche delle risorse idriche- e per la scelta della 'colture'. Secondo ActionAid i contadini sono stati posti di fronte all'alternativa se ricevere un indennizzo in denaro o insediarsi altrove ( terre di qualità inferiore a quelle perdute e senza impegni ufficiali e vincolanti da parte della società). E, nonostante EcoEnergy affermi di aver condotto consultazioni con gli interessati, molti intervistati lamentano di non aver avuto chiare delucidazioni sugli effetti irreversibili che il progetto potrebbe avere sulla loro vita e sul loro diritto al cibo e alla terra.
Nessuna alternativa: bisogna andarsene. Sefu Mkomeni è un contadino di Matipwili, un villaggio nella zona di Biga West, ha affermato che "Non c'era la possibilità di scegliere se restare o andarsene, ma solo di andarsene. Non ci è stata data nessuna opzione su come usare la terra. Ho già investito in quella zona e ora me ne devo andare". Tutto ciò violerebbe le TGs (Direttive volontarie sulla governance responsabile dei regimi fondiari) adottate dalla comunità internazionale nel 2012, che stabiliscono il diritto delle persone a un consenso previo libero e informato sulle attività e le scelte che riguardano il loro territorio, e la possibilità di opporsi. Inoltre il governo tanzanese scavalcherebbe i diritti di uso della terra delle comunità locali, sempre in violazione delle TGs, dove vengono riconosciuti. Del resto solo il 10% dei contadini può vantare titoli ufficiali di proprietà nella zona, basando le loro pratiche su antichissimi diritti consuetudinari.
Privato e pubblico a braccetto per la sicurezza alimentare. Ma di chi? L'azione di EcoEnergy rientra nei piani della Nuova Alleanza per la sicurezza alimentare e la nutrizione, l'iniziativa del G8 per far uscire dalla povertà 50 milioni di africani, che coinvolge assieme a soggetti pubblici, 45 multinazionali dell'agroalimentare (tra cui Cargill, Monsanto Syngenta e Yara). L'ideologia portante è che introdurre l'agricoltura industriale sia un aiuto ai paesi poveri. Ma gli esperti, a cominciare da quelli della Fao, vanno affermando che allevamenti intensivi, supersfruttamento del suolo, pesticidi e fertilizzanti chimici, ogm non sono la soluzione del fabbisogno alimentare, anzi. Un recente studio econometrico mostra che se, in Tanzania, la terra fosse stata data (e irrigata) ai piccoli contadini, tre milioni di persone in più troverebbero da mangiare. Tuttavia questa 'Alleanzà potrebbe essere il cavallo di troia per grandi imprese e fondi finanziari per accaparrare territori, tagliando fuori i produttori su piccola scala, che coltivano per la loro famiglia e per il loro villaggio, e che nutrono fino all'80% della popolazione (il Burkina Faso e il Niger grazie a loro sarebbero a un passo dall'autosufficienza alimentare), mentre le multinazionali produrrebbero essenzialmente per l'export e l'industria, imponendo monocolture, ogm e privatizzazioni di terre comunitarie, esigendo da Governi incentivi, defiscalizzazioni e accesso a sementi, terreni, acqua, manodopera e mercati.
La petizione internazionale. Secondo ActionAid, che ha lanciato una petizione internazionale rivolta al presidente della Tanzania per chiedere di sospendere il progetto e di avviare un nuovo processo di consultazioni con la comunità, i Governi finanziatori "devono pretendere e assicurare maggiore trasparenza sul progetto, interrompere ogni partecipazione e supporto alla Nuova Alleanza, sostituendola con iniziative reali di sostegno ai produttori di cibo su piccola scala e promuovere l'agricoltura sostenibile". In Tanzania, alla Nuova Alleanza partecipano infatti l'Unione europea e i governi di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Giappone e Russia. Il progetto di EcoEnergy riceve inoltre il sostegno diretto della Banca africana di sviluppo, del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo e dall'Agenzia svedese per lo sviluppo internazionale. Anche il governo tanzaniano ha degli interessi diretti nell'investimento possedendo il 5% della AgroEcoEnergy Tanzania attraverso la sua controllata Tanzanian Petroleum Development Company (TPDC).
Agricoltura contrattuale rischiosa (per i contadini). EcoEnergy si propone di coltivare direttamente canna da zucchero su 7.800 ettari, impiegando circa 2 mila lavoratori diretti. Altri tremila ettari sarebbero organizzati in 25-35 aziende agricole, ognuna di circa 50 produttori su un'area che oscilla tra i 75 e i 150 ettari. Tuttavia la creazione di queste piccole aziende comporterebbe un investimento, da parte di 1500 famiglie, di circa 800mila dollari, 16mila a persona. Il reddito minimo annuo in Tanzania è di 528 dollari, trenta volte meno il livello di indebitamento individuale necessario per partecipare al progetto della EcoEnergy. Chi non riuscisse a pagare perderebbe la terra. Inoltre, fino a che il prestito non verrà restituito, l'unica fonte di guadagno per i produttori sarà data dal salario che percepiranno all'interno di ogni singola impresa, che rischia di essere al di sotto del minimo mensile stabilito nel settore agricolo, di 44 dollari. La EcoEnergy in regime di monopsonio, ovvero unico acquirente del prodotto, avrebbe una forza contrattuale sui prezzi di acquisto molto maggiore di quella dei produttori. E come verrebbe prodotto il resto dell'alimentazione? "Ma noi generiamo del reddito, e attraverso quel reddito avviene poi l'acquisto del cibo" risponde l'azienda. La EcoEnergy sta cercando anche di acquisire terra nell'area di Biga West (sul cui status legale della terra si è originato una controversia tra due villaggi che ne rivendicano il controllo: Fukayosi e Matipwili).
Vantaggi economici poco chiari. Secondo EcoEnergy, l'operazione è passibile di generare dai 45 ai 50 milioni di dollari all'anno di introito per l'economia locale; ma secondo ActionAid si tratta di cifre sovrastimate: i guadagni si aggirerebbero tra 8,55 milioni e 11,5 milioni di dollari l'anno, derivanti principalmente dalla creazione di lavori diretti e indiretti e dai salari derivati dal modello delle aziende agricole satelliti. In aggiunta l'azienda ha affermato, durante le presentazioni, che il Governo avrà una quota partecipativa del 25% nel progetto. In realtà, questa ammonterà al 10% nei primi 18 anni, per arrivare al 25% solo nel diciannovesimo anno. Altre informazioni da parte della società dichiarano che EcoEnergy pagherà il 30% di imposta sul reddito d'impresa, mentre la ricerca di ActionAid ha rilevato che la compagnia ha ottenuto una moratoria fiscale di 10 anni. Il contratto di rendimento del progetto non è mai stato reso pubblico. Inoltre, il materiale disponibile non specifica quali salvaguardie o obblighi contrattuali e legali l'azienda abbia nei confronti della comunità locale.
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