martedì 22 giugno 2021
Chi è davvero il neo Premier, Mario Draghi?
Chi è davvero il neo Premier, Mario Draghi?
Francesco Piras 14 Febbraio 2021
Ieri mattina Giuseppe Conte ha “liberato” il tavolo di Palazzo Chigi lasciando il posto al nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. Con il giuramento al Quirinale della squadra di Governo ha preso il via il nuovo “esecutivo” che nelle intenzioni dovrebbe far riemergere l’Italia dalla crisi dopo l’emergenza pandemica.
Ma chi è davvero Mario Draghi? Qual è il suo passato? Quale è stata la sua carriera istituzionale e non? Queste sono domande che ci si deve necessariamente porre, se si vuole comprendere a pieno la sua figura, gli ambienti a cui è legato, la sua visione economica e politica.
Dopo essersi laureato in economia nel 1970 presso la Sapienza di Roma, e dopo aver conseguito nel 1977 il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology, Mario Draghi è stato Direttore esecutivo della Banca Mondiale fino al 1990, per poi diventare Direttore Generale del Tesoro italiano durante il decennio 1991-2001. L’economista italiano è stato poi nominato Governatore della BCE nel 2011, lasciando il posto a Christine Lagarde nel novembre 2019. Ripercorriamo gli eventi principali della carriera politica di Mario Draghi, i suoi incarichi istituzionali e non, il collegamento con il mondo bancario, della finanza e con le principali lobbies ed organizzazioni internazionali.
Quella strana riunione sul Britannia, ed il nefasto processo delle privatizzazioni
Mario Draghi ha ricoperto, dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001, la carica di Direttore Generale del Tesoro italiano. Durante il suo mandato, egli ha inaugurato un evento che si è rivelato fondamentale, ed allo stesso tempo catastrofico, per la situazione economica del nostro Paese: stiamo parlando della riunione sul Panfilo Britannia, svoltasi al largo delle coste di Civitavecchia il 2 giugno 1992, a pochissimi giorni dalla drammatica strage di Capaci. Mentre l’Italia si indignava per l’ennesimo colpo inflitto ai propri giusti, i dirigenti delle più grandi banche, delle maggiori società finanziarie anglo-americane ed i manager delle principali aziende di Stato davano il via al periodo delle privatizzazioni dei gioielli del Bel Paese. Quel giorno, Draghi, da Direttore Generale del Tesoro, avrebbe detto agli ospiti d’onore: “Stiamo per passare dalle parole ai fatti”, per poi lasciare il Panfilo prima che questo salpasse per la riunione. Non a caso, dal 1993 al 2001, egli è stato Presidente del Comitato per le privatizzazioni italiano.
Più specificatamente, quel giorno, a bordo dello yacht di proprietà della corona inglese, figuravano rappresentanti della Barclays de Zoete Wedd, l’ex ditta di brokeraggio della principale banca britannica; esponenti della Barings Bank, società finanziaria poi fallita ed acquistata dall’olandese AIG nel 1995, a seguito degli investimenti avventati e delle falsificazioni contabili ad opera dello speculatore Nicholas Leeson; dirigenti della S.G. Warburg, ex banca di investimento inglese, poi acquisita dalla svizzera UBS; dirigenti dell’ENI, dell’Agip, Riccardo Galli dell’IRI, Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti dirigenti della Banca Commerciale Italiana, poi confluita nel gruppo Intesa per dare vita, nel 2001, a Banca Intesa. Le finanziarie di Wall Street che hanno svolto un ruolo preminente nel processo delle privatizzazioni in Italia sono state quelle impiegate come “consulenti” del Governo Amato: Goldman Sachs, Salomon Brothers e Merrill Lynch. La stessa Merrill Lynch che si presume svolse un ruolo sensazionale in operazioni di riciclaggio di denaro sporco che viaggiava tra la costa Orientale degli Stati Uniti, Lugano e l’Italia; situazione, questa, emersa durante l’inchiesta “Pizza Connection”, portata avanti dall’FBI in collaborazione con Giovanni Falcone e Gioacchino Natoli.
Il processo delle privatizzazioni italiane venne enormemente facilitato, ed il costo delle aziende di Stato drasticamente abbassato, a causa della speculazione a ribasso contro la Lira, portata avanti da George Soros nel settembre 1992. L’imprenditore-speculatore-filantropo ungherese, proprietario del gruppo di fondi di investimento Quantum, con sedi a Londra, New York, Curaçao (Antille Olandesi), e nelle Isole Cayman, speculò a ribasso sulla Lira nei confronti del Dollaro. La conseguenza fu che, dopo quell’operazione, la Lira perse il 7% del suo valore rispetto al dollaro: dunque, gli acquirenti americani poterono acquistare i principali gioielli italiani a prezzo di saldo.
Il Fatto Quotidiano ha pubblicato, in data 22 gennaio 2020, il discorso integrale che Draghi tenne agli ospiti d’onore presenti sul Panfilo della Corona inglese: egli era assolutamente consapevole dei “possibili effetti delle privatizzazioni sulla disoccupazione”, la quale “potrebbe aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza”, e del fatto che era proprio la “privatizzazione ad essere percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche”; l’allora Direttore Generale del Tesoro non si dimenticò di ricordare che i mercati vedevano “le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi”.
Le parole pronunciate in quel contesto da Mario Draghi non lasciano alcun dubbio: bisognava mettere da parte il benessere del popolo e la democrazia, per accomodare le pretese delle maggiori istituzioni finanziarie anglo-americane; in un periodo, tra l’altro, in cui il nostro Paese si trovava in ginocchio a causa di una situazione di lutto gravissima, conseguente alla strage del 23 maggio 1992, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, ed i tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Le scelte politiche ed economiche portate avanti in quel periodo hanno permesso a Draghi di spiccare il volo nel mondo bancario e della finanza. Benito Li Vigni, stretto collaboratore ed assistente personale di Enrico Mattei, ebbe a dire a tal riguardo che Draghi "deve la sua carriera alle grandi banche d'affari, alla Goldman Sachs".
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La sede della Goldman Sachs in New Jersey, © Nesster
Il passato in Goldman Sachs e il Golpe bianco del 2011
La Goldman Sachs è probabilmente la più grande banca d’affari americana. Operante nel settore degli investimenti finanziari e nel commercio del greggio, la società speculativa è stata, come accennato precedentemente e come riportato anche sul suo sito ufficiale, “fra le principali istituzioni finanziarie che hanno preso parte al primo programma di privatizzazioni del Paese (Italia, ndr)”. La banca d’affari ha anche avuto un ruolo determinante nello scoppio della crisi dei mutui subprime del 2008.
Una metodologia che sembra funzionare bene per la Goldman Sachs è quella delle “revolving doors”, descritta egregiamente da Noam Chomsky ne “Le dieci leggi del potere. Requiem per il sogno americano”. Sostanzialmente, si tratta di un vero e proprio sistema mediante il quale importanti personaggi politici, dopo essersi mostrati accondiscendenti a logiche favorevoli alle grandi banche ed alle più importanti società finanziarie, finiscono per continuare la loro carriera proprio nelle stesse banche e società finanziarie che hanno favorito. Il processo funziona anche al contrario. Esempi eclatanti sono stati, negli USA, quello di Robert Rubin che, dopo essere stato direttore generale della Goldman Sachs, divenne sottosegretario al Tesoro sotto l’Amministrazione Clinton; Henry Paulson, AD di Goldman Sachs quando, nella prima metà del 2006, la banca vendette 3,1 miliardi di dollari di CDO, e che venne poi nominato segretario del Tesoro il 30 maggio dello stesso anno; William Dudley, presidente della Federal Reserve Bank di New York dal 2009 al 2018, era stato capo economista della Goldman Sachs. E, in Europa, la storia è la stessa: José Manuel Barroso, Presidente della Commissione europea dal 2004 al 2014, è stato nominato l’8 luglio 2016 Presidente non Esecutivo e Advisor della banca d’affari; Romano Prodi, già due volte Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, oltre ad essere stato Advisor di Goldman Sachs, è stato nominato Presidente dell’International Advisory Board di UniCredit il 21 febbraio 2014.
La Goldman Sachs si è resa protagonista nel 1999, quando è riuscita a truccare i conti della Grecia per farla entrare nell’Euro. Il Paese ellenico, infatti, si trovava lontana anni luce dai criteri rigorosissimi enunciati nel Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992. Gabriele Crescente, editor italiano di Presseurop, nel 2011 ha scritto: “…Goldman Sachs International, la filiale britannica della banca d'affari americana, vende al governo socialista di Costas Simitis uno "swap" in valuta che permette alla Grecia di proteggersi dagli effetti di cambio, trasformando in euro il debito inizialmente emesso in dollari. Lo stratagemma consente ad Atene di iscrivere il ‘nuovo’ debito in euro ed escluderlo dal bilancio facendolo momentaneamente sparire. E così Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano”.
Ma torniamo a Mario Draghi. L’ex numero uno della BCE è stato, dal 2002 al 2005, Vice Presidente e Managing Director di Goldman Sachs, con il compito di guidare le strategie europee dell’istituto dalla sede di Londra. Anche Mario Monti ha lavorato per la Goldman Sachs: l’ex Presidente del Consiglio italiano è stato, infatti, International Advisor della Goldman Sachs dal 2005 al 2011. La stessa Goldman Sachs che ha avuto un ruolo determinante nella vendita massiccia dei Titoli di Stato italiani nella prima metà del 2011, assieme alla Deutsche Bank; quest’ultima, infatti, in quel periodo ha venduto circa l’88% dei Titoli italiani che aveva in pancia. Per legge di domanda ed offerta, il prezzo dei titoli è crollato, mentre gli interessi sono schizzati alle stelle. Questa situazione ha provocato un drastico aumento dello spread, il panico sui mercati finanziari, fomentato dai principali mezzi di informazione nostrani, come il Sole24Ore, che il 10 Novembre 2011 titolava in prima pagina “Fate Presto”, invocando l’arrivo di Mario Monti al Governo. In quel contesto, Mario Draghi ha avuto un ruolo determinante. Il 5 agosto 2011, infatti, faceva pervenire al Governo Berlusconi una lettera, firmata anche da Jean-Claude Trichet, l’allora Vice Presidente della BCE, di cui Draghi era Governatore. In questa lettera troviamo scritti, sotto forma di consigli, dei veri e propri indirizzi di politica economica: “Il Consiglio direttivo (della BCE, ndr) ritiene che sia necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori”; in aggiunta, veniva chiesto al governo italiano, di rispettare gli impegni per ottenere “condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali”, di realizzare una “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali… attraverso privatizzazioni su larga scala”, oltre a “riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende”. “Il Governo - continua la lettera - ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche”, il che si traduce nel raggiungimento dell’obiettivo “un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa”. E ancora: “E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità… così ottenendo dei risparmi già nel 2012… e, se necessario, riducendo gli stipendi”; “Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit, che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali”; “Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio”.
Insomma, in questa lettera si incitava il Governo di allora ad applicare tutte quelle riforme e politiche neoliberiste a cui gli ultimi trent’anni ci hanno abituati: tagli alla spesa pubblica, peggioramento delle condizioni di lavoro e delle condizioni salariali per “aumentare la competitività”, privatizzazioni, innalzamento dell’età pensionabile, libertà garantite solo alle imprese multinazionali ed alle grandi banche, leggi ad hoc a favore della finanza speculativa, ma mortifere per l’economia reale. Politiche economico-sociali che, puntualmente, saranno applicate senza remore dal Governo Monti. Nella lettera, ad esempio, si chiedeva l’introduzione di “una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio”: la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, ad opera del Governo Monti, introdurrà proprio il pareggio di bilancio, rivelatosi nefasto per l’economia italiana, il quale è stato seguito dal Patto di Stabilità Interno prima, e dal Pareggio di Bilancio per regioni ed enti locali poi: in ottemperanza al nuovo Articolo 81, regioni ed enti locali sono tenuti ad assicurare “l’equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali”, ed il “concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico”. In caso di inadempienza, enti locali e regioni vanno incontro a sanzioni non poco pesanti, come “il divieto di ricorrere all’indebitamento per gli investimenti”, o “il divieto di procedere nell'anno successivo all'inadempienza ad assunzioni di personale”, come si può leggere sul sito della Camera. Tutto questo si traduce nella mancanza di pagamenti da parte delle Amministrazioni Pubbliche che, spesso e volentieri, vedono bloccarsi i propri conti; nella mancanza di investimenti; nello stimolo di privatizzare i servizi pubblici essenziali per il benessere della collettività.
Il legame con le principali lobbies della finanza internazionale: G30, Bilderberg, Trilateral
Mario Draghi è Senior Member del Group of Thirty, del G30, lobby operante nel settore finanziario e bancario. Il Gruppo, come si legge sul sito ufficiale, finanzia regolarmente “gruppi di studio per analizzare temi di particolare importanza per le banche centrali, per i supervisori, per le società finanziarie, e per tutti i protagonisti dei mercati finanziari globali”. Fanno parte del Gruppo dei Trenta tutti i principali esponenti del sistema bancario, finanziario e speculativo globale: vi troviamo Jean-Claude Trichet, già citato in precedenza per la lettera trasmessa assieme a Draghi al Governo italiano nell’agosto 2011; William Dudley, ex Goldman Sachs e Federal Reserve; Timothy Geithner, già Senior Fellow del dipartimento di Economia Internazionale del Council on Foreign Relations (CFR) e sottosegretario del Tesoro americano per gli affari internazionali dal 1998 al 2001, sotto i Segretari del Tesoro Robert Rubin, ex Goldman Sachs, e Lawrence Summers, facente anch’egli parte del Gruppo dei Trenta; Mervyn King, ex Governatore della Bank of England. Un altro membro di spicco del Gruppo dei Trenta è stato Tommaso Padoa Schioppa, ex Ministro dell’economia e delle finanze sotto Romano Prodi dal 2006 al 2008, Presidente della CONSOB tra il 1997 ed il 1998, e Vicedirettore generale della Banca d’Italia dal 1984 al 1997. Deceduto nel 2010 per arresto cardiaco, Padoa Schioppa ebbe un ruolo decisivo per la creazione della Moneta Unica Europea. Nel 1999, in un articolo sulla rivista francese “Commentaire”, scriveva che l’ordine e la pace tra diversi Paesi “non possono essere instaurati se non da un potere superiore agli stessi paesi, il quale sia in grado di prendere decisioni a maggioranza e di poterle imporre, se necessario, attraverso la forza”; oppure, che “l’Europa si è fatta seguendo un metodo che si potrebbe definire col termine dispotismo illuminato, procedura perfettamente legittima, ma ancorata al metodo democratico solo per l’esistenza della democrazia all’interno degli Stati, non da un processo democratico europeo. Si può dunque parlare di democrazia limitata”. E ancora: “I progressi dell’Europa sono stati favoriti da questo dispotismo illuminato e questa democrazia limitata”, e sono state alleggerite e sfrondate le legislazioni e le istituzioni economiche degli Stati membri “per adattarli al mercato e alla concorrenza”. In questo articolo, l’ex dirigente del Fondo Monetario Internazionale parla anche di moneta, scrivendo che “accettare da uno sconosciuto un pezzo di carta privo di valore intriseco in cambio di beni e servizi che sono i frutti del suo lavoro, è una delle manifestazioni più spettacolari della fiducia delle persone rispetto alla società alla quale appartengono”.
Il G30 ha rilasciato, nel luglio 1993, un working paper dal titolo “Derivatives: Practices and Principles”. In questo documento, viene esplicitamente dichiarato che “Bisognerebbe modificare le regolamentazioni fiscali che svantaggiano l’utilizzo dei derivati”; in sostanza, “I legislatori e le autorità fiscali sono incoraggiati a rivedere e, se fosse il caso, a modificare le leggi fiscali ed i regolamenti che penalizzano l’uso dei derivati nelle strategie di gestione del rischio”. La regola d’oro, dunque, rimane sempre la stessa: massima libertà di movimento dei capitali, abbassamento della tassazione sui guadagni finanziari; insomma, “più mercato”, il loro mercato, quello della finanza speculativa. Questo rapporto è stato sicuramente utilizzato da speculatori, legislatori e controllori, nazionali e non, per favorire l’adempimento di quanto scritto. Il risultato è che i derivati sono, oggi, un enorme problema per l’economia finanziaria mondiale. Un articolo del Sole24Ore, datato 6 dicembre 2018, scriveva che “il valore nozionale dei derivati in circolazione a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabiliante cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale…”. Si tratta dunque di una bolla finanziaria gigantesca, dove lo speculum la fa da padrone. Com’è possibile che Mario Draghi faccia parte di un gruppo che non solo non ha impedito, ma addirittura ha rafforzato la presenza e la portata di strumenti speculativi catastrofici come i derivati? Questa situazione risulta ancora più strana nel momento in cui ci rendiamo conto che, al timone della BCE, egli aveva proprio il compito di preservare la stabilità finanziaria all’interno dell’UE. Obiettivo, questo, che sicuramente la liberalizzazione del mercato dei derivati non ha aiutato a raggiungere, anzi.
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Foto © Imagoeconomica
Come fa notare il giornalista d’inchiesta Paolo Barnard, in un suo articolo dal titolo “Concentrato di golpe: the Group of 30”, il G30 è composto da “uomini che hanno lavorato con la mano destra nella speculazione finanziaria, e con la sinistra nella regolamentazione statale della stessa, o viceversa”. E’ questo il motivo per cui Mario Draghi è finito sotto i riflettori della Corporate Europe Observatory, un’organizzzione non governativa che monitora l’influenza delle lobbies e dei poteri forti sul processo legislativo europeo. La CEO, nel 2012, anno successivo alla nomina di Draghi in BCE, ha presentato una denuncia al Mediatore europeo, per l’evidente conflitto di interessi derivante dall’appartenenza di Draghi al Gruppo dei Trenta. Infatti, secondo l’ex articolo 107 del Trattato di Maastricht, oggi il 130 del TFUE, “nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dal presente statuto, né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo”. Il difensore civico dell’UE ha bocciato il ricorso della Corporate Europe Observatory, dichiarando che “l’appartenenza di Mario Draghi al Gruppo dei Trenta non minaccia l’indipendenza della BCE”, e suggerendo alla BCE di “includere nel proprio sito internet le informazioni che il suo presidente è un membro del Gruppo dei Trenta”.
Ma non è finita qui. Mario Draghi ha partecipato al Bilderberg Meeting per l’ultima volta nel 2009, per poi essere scelto, due anni dopo, come Governatore della Banca Centrale Europea. Il giornalista d’inchiesta Francesco Amodeo, ne “La Matrix Europea”, scrive che il Gruppo Bilderberg “fu ideato dal sacerdote gesuita Joseph Retinger”, anche fondatore del Movimento Europeo, ai cui vertici ritroviamo tutti I padri fondatori dell’Unione Europea, “con la collaborazione del Principe olandese Bernardo de Lippe-Biesterfel che, come provato da un articolo del Newsweek del 5 aprile 1976, aveva svolto in passato attività di spionaggio per le SS naziste nella multinazionale dove lavorava, ossia la tedesca IG Farben, che operava ad Auschwitz come la più grande industria chimica del mondo utilizzando proprio la manodopera del vicino campo di concentramento dove, tra l’altro, i nazisti usavano il gas nervino prodotto da quella industria stessa”. Tanti i nomi di spicco della finanza internazionale, delle maggiori multinazionali, delle principali istituzioni e dei principali mezzi di comunicazione, che sono passata o passano ogni anno dal Bilderberg: Giovanni Agnelli e David Rockefeller, facenti parte, in passato, dell’Advisory Committee, un organo importantissimo per il Gruppo; Bill Clinton, che ha partecipato al meeting del 1991, per poi diventare Presidente degli Stati Uniti nel 1992; Tony Blair, che ha partecipato al meeting del 1993, ed è stato eletto primo ministro nel Maggio del 1997; Angela Merkel, presente alla riunione Bilderberg del Maggio 2005, per poi diventare Cancelliera tedesca a settembre dello stesso anno; Herman van Rompuy, il quale fu invitato il 12 novembre 2009 dal Visconte Etienne Davignon, ex membro dello Steering Committee del Bilderberg ed ex Commissario europeo, ad una cena a porte chiuse organizzata dal Gruppo presso il Castello di Val-Duchesse, la stessa location dove fu negoziato il Trattato di Roma e dove si tenne la prima riunione della Commissione europea, per poi diventare una settimana dopo presidente permanente del Consiglio europeo, istituzione determinante nelle decisioni concernenti l’indirizzo politico dell’UE; Christine Lagarde, la quale ha partecipato al Bilderberg Meeting del 2009, per poi diventare Direttrice del FMI nel 2011; nel 2011, con lei, c’era proprio Mario Draghi che, come accennato precedentemente, sempre nel 2011 è diventato Governatore della BCE; Romano Prodi, ex membro dello Steering Committee del Gruppo ed ex Presidente della Commissione europea; George Robertson, partecipante al meeting nel 1998, e nominato Segretario Generale della NATO nell’agosto del 1999.
Tutte queste personalità hanno in comune l’appartenenza ad un’altra importante organizzazione internazionale: la Commissione Trilaterale. Fondata il 23 giugno 1973 da Henry Kissinger, David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski, la Commissione Trilaterale riunisce uomini politici, uomini d’affari, banchieri, proprietari di multinazionali di ogni settore, giornalisti, e tutti gli uomini più importanti nel processo di decision-making globale. L’organizzazione ha tre regioni di competenza ed influenza: Europa, regione dell’Asia Pacifica, e Nord America. Una delle più importanti pubblicazioni firmata Commissione trilaterale è stata “La Crisi della democrazia”, ad opera degli autori Crozier, Huntington e Watanuki, ed edita in Italia con prefazione di Gianni Agnelli. Qui, vengono riportate dichiarazioni scioccanti: “La democrazia non è che un modo di costituzione dell’autorità, e non è detto che possa essere applicato universalmente”; “taluni dei problemi di governo degli Stati Uniti scaturiscono oggi da un eccesso di democrazia”; “un eccesso di democrazia significa una carenza di governabilità; una facile governabilità lascia intendere una democrazia difettosa”; “il funzionamento efficace di un sistema politico democratico richiede, in genere, una certa dose di apatia e disimpegno da parte di certi individui e gruppi. In passato, ogni società democratica ha avuto una popolazione marginale, di dimensioni più o meno grandi, che non ha partecipato attivamente alla politica. In sé, questa marginalità da parte di alcuni gruppi è intrinsecamente antidemocratica, ma ha anche costituito uno dei fattori che hanno consentito alla democrazia di funzionare efficacemente”.
La visione economica neoliberista
Nonostante Mario Draghi provenga dalla scuola di Federico Caffè, economista di stampo keynesiano scomparso senza lasciare traccia il 15 aprile 1987, le politiche e le decisioni da lui messe in atto rispecchiano quella visione neoliberista del mondo che vorrebbe ridurre la realtà, gli ecosistemi, e gli uomini stessi, a semplici componenti di equazioni matematiche riportabili nei manuali universitari di economia. Ciò che conta è il Dio mercato, non è l’uomo. Con il neoliberismo viene, de facto, abbandonata quella visione antroposofica della realtà, che mette l’uomo al centro, affinché questo possa essere sostituito dal mercato, dove per “mercato” si intende quello finanziario, quello che consente all’1% della popolazione mondiale di detenere più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone.
Ecco quindi che, in base ai principi di suddetta teoria, si privatizzano aziende di Stato e servizi pubblici “per risanare i conti pubblici”, si permette ai capitali di muoversi dove conviene loro di più, si taglia la Spesa Pubblica perché “uno Stato è come un padre di famiglia, e quindi deve avere i conti in ordine”, si distrugge “la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale”, al fine di “aumentare la competitività”, come ebbe a dire Mario Monti in un’intervista rilasciata alla CNN nel maggio 2012. Del resto, per questi personaggi “la democrazia non è sempre applicabile”, almeno non per come la conosciamo, forse perché l’unica democrazia applicabile è quella dei mercati, delle banche, delle multinazionali che stanno distruggendo il mondo. Le conseguenze di tali politiche sono ben note ai più: disoccupazione, servizi pubblici distrutti, istruzione sempre più scadente, fallimento di migliaia di imprese, e dunque prosperità per le organizzazioni criminali, suicidi continui di imprenditori e di padri di famiglia, povertà dilagante, ed arricchimento illimitato per quei pochi che queste politiche le impongono.
I principi, i presupposti, e le pratiche neoliberiste sono totalmente in contrasto con la nostra Costituzione; quest’ultima, infatti, presuppone un modello economico, politico e sociale basato sulla cooperazione, sull’armonia, sulla pace e la giustizia tra gli uomini e le nazioni, non sulla competizione, sulla disoccupazione, o sulla tutela del profitto. Il modello economico previsto dalla nostra Costituzione è quello keynesiano, il quale prevede Spesa Pubblica a favore della collettività, per creare condizioni per le quali benessere, cultura, arte e felicità dell’uomo costituiscano i punti cardine della realtà.
La scomparsa dell’economista keynesiano Federico Caffè, secondo le dichiarazioni di Gioele Magaldi, ex Maestro Venerabile della Loggia “Monte Sion di Roma” (GOI), è strettamente collegato all’omicidio di Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso. Quest’ultimo nutriva l’ambizioso progetto di portare il suo Paese, e l’Africa intera, fuori dalla schiavitù del debito derivante dalla natura stessa del Franco CFA. Caffé e Sankara avevano in comune l’idea di un modello economico-sociale a favore del popolo, a favore degli ultimi; un modello economico e sociale che favorisse giustizia, armonia ed equilibrio tra gli individui. Il contrario di quello che vediamo oggi.
E’ da sottolineare il fatto che il neoliberismo non descrive la realtà così com’è, ma ne crea una tutta nuova, vera per principio preso. La realtà, dunque, passa in secondo piano. Ecco quindi che da più di trent’anni la nostra realtà è imperniata del neoliberismo più sfrenato, vengono prese decisioni sulla vita di miliardi di persone basandosi su principi totalmente contrari a quelli della collettività; di conseguenza, noi stiamo sempre peggio, dato che tale modello è stato costruito su misura per l’ascesa dei pochi, non sicuramente per il benessere dei molti. E, nonostante questo, non si cambia. L’idea della realtà è diventata soverchiante rispetto alla realtà stessa.
Domina il mercato
Perché continuiamo a consentire che sia il mondo della finanza a dettare legge? Perché continuiamo ad accettare che siano potenti interessi economici a governare la nostra Cosa Pubblica? Non possiamo più delegare ad altri la gestione delle nostre vite. Specialmente se gli “altri” sono banchieri ed economisti a stretto contatto con organizzazioni basate sui principi di quella “democrazia non sempre applicabile”, della “apatia per individui e gruppi”, del benessere dei pochi a discapito dei molti. A dominare, ancora una volta, è il mercato. Quel mercato che, oggi, è diventato più importante di miliardi di vite umane, della sussistenza degli ecosistemi, più importante della vita stessa. Non è più il mercato ad essere a servizio dell’uomo, ma è l’uomo che, consapevole o meno, ha sacrificato l’etica, la morale ed i propri valori per potere, ricchezza e successo. Mario Draghi è espressione vivente del mondo del denaro, e questo non lo possiamo accettare. Non possiamo più accettare che sia una creazione umana, il denaro, a dettare legge sull’uomo: ciò costituirebbe una sconfitta epocale per la nostra società. Il problema è che non abbiamo più tempo. Dobbiamo necessariamente riprendere in mano la conduzione delle nostre vite, e farlo con passione, con l’obiettivo di costruire una società più giusta, più dignitosa, basata su principi morali sani e sull’etica, una società che sia all’altezza dei nostri sogni.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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