Africa: le multinazionali sfruttano questi Paesi, la gente scappa per non morire e noi discutiamo se accoglierli o no...
Mentre le potenti Multinazionali si arricchiscono impoverendo il mondo, i governi Italiani e la chiesa dicono che è nostro dovere aiutare tutti i poveri del mondo, poveri creati da questi ticchi, dicono che è nostro dovere, perchè è nostro dovere, l'Italia praticamente non esiste come potenza, l'Italia, il popolo Italiano non ha alcun dovere verso nessuno, e mentre gli Italiani vengono impoveriti sempre di più, Vaticano, Multinazionali, e rinnegati politici si arricchiscono sempre di più. Guardate la cartina, dove sono i possedimenti Italiani ?
– Uno nostro amico imprenditore, reduce da un viaggio nel continente africano, ci racconta le sue impressioni. Ha visto la fame, lo sfruttamento e la miseria. Ora, da liberale, 'rischia' di diventare marxista. . .zialità sono impressionanti. Ci siamo informati. Io e altri miei amici, tutti imprenditori come me, avremmo voluto investire. Ci hanno fermato. Ci hanno spiegato che le materia prime, tutto, sono monopolizzate dalle multinazionali. Al massimo, ci hanno spiegato, e non in tutti i Paesi, si può fare qualcosa con la pesca e con l'agricoltura. Le materia prime per le attività industriali, ci hanno detto, ve le potete dimenticare".
Il mio amico non è, come dire?, un rivoluzionario di sinistra. E' un ingegnere. Fa l'imprenditore e ha una formazione liberale.
Ci ha detto: "Sapete, questi quindici giorni in Africa mi hanno fatto capire tante cose. Ho visto Paesi ricchissimi con popolazioni poverissime. Le multinazionali, lì, controllano tutto. In alcuni casi, anche l'agricoltura. Producono a prezzi stracciati, con un costo del lavoro bassissimo, prodotti che poi finiscono per fare la concorrenza alla nostra agricoltura".
"Ma quello che è veramente impressionante - ha aggiunto - è il controllo, totale, che queste multinazionali esercitano sulle materie prime. I Governi di questi Paesi non possono fare molto. E se si oppongono, li eliminano e li sostituiscono con regimi retti da fantocci. In queste condizioni è logico che la gente decida di andare via. Anche rischiando la vita. Perché lì muoiono di fame. E se non muoiono di fame ci sono strane guerre fomentate non si capisce bene da chi. Insomma, da lì si fugge dalla fame e dalla morte".
Ha detto cose che, bene o male, conosciamo, il mio amico. Le ha raccontato da imprenditore che avrebbe voluto investire e che ha capito che non avrebbe avuto spazio.
"Ogni tanto, quando penso a queste cose - mi dice - mi ricordo le lezioni di filosofia al Liceo. Marx, Engels e cose che non mi convincevano. Vi potrà sembrare strano - ha aggiunto - ma lì, in Africa, le cose che trentacinque anni fa non mi convincevano oggi le sto rielaborando. Sto diventando marxista a cinquanta e passa anni? Il dubbio, ve lo giuro, comincio ad averlo".
"Che ti devo dire? - ci ha raccontato - quando sono avvenuti i fatti di Lampedusa ero in Africa. Le notizie erano frammentarie. Poi, con il passare dei giorni, sempre più precise. Mi sembra tutta una follia. Questa povera gente scappa dai propri Paesi perché oppressa dalle multinazionali e da guerre senza fine. Paga un sacco di soldi per trovare un posto su queste carrette del mare e...".
"... e arrivano nel nostro Paese - aggiunge - e ci sono quelli che fanno 'filosofia' inutile e vacua sull'accoglienza e sulla non accoglienza. Questi poveri infelici trovano la legge Bossi-Fini che, se applicata, dovrebbe respingerli: o per morire in mare, o per tornare, sempre a morire, nei Paesi dai quali hanno cercato di scappare. Ma che mondo è mai questo? Siamo tutti impazziti? Dov'è finita la solidarietà?".
"Sapete qual è il bello? - ci ha raccontato -. Mi hanno spiegato che ci sono multinazionali americane, ma anche europee. Gli americani, da quelle parti, non si fanno mancare niente. Anzi, dal 2011 sono lì con le armi. Tunisia, Libia, Egitto. Non va meglio con l'Europa. L'Europa che vuole i 'respingimenti', alla fine, almeno in parte, è la stessa che, sfruttando questi Paesi, determina il mancato sviluppo economico di questi luoghi e la fuga di questa gente. Li costringono a fuggire e poi non li vogliono accogliere. Una follia criminale. O forse criminalità e basta".
- meridionews
Africa, chi crea la povertà: evasione fiscale, corruzione, regole del commercio e clima
Ecco il nuovo rapporto Honest Accounts, pubblicato oggi da Global Justice Now e da un gruppo di ONG europee e africane. Si analizzano i flussi economici e finanziari di 47 Stati, per capirne i limiti e il potenziale di crescita. I Paesi africani sono in una posizione di credito nei confronti del resto del mondo, con un saldo attivo di 41,3 miliardi di dollari
La sottrazione sistematica della ricchezza. L'economia del continente dovrebbe crescere con tassi annuali a due cifre, anziché con il 5 per cento attuale, eppure la maggior parte degli abitanti vive ancora in piena povertà. Questa contraddizione dice chiaramente che l'Africa è impoverita, che c'è stata una sottrazione sistematica di ricchezza da parte dei Paesi industrializzati, per lo più ex imperi coloniali, a cui si aggiungono un'evasione fiscale dilagante, politiche commerciali penalizzanti, corruzione e costi ambientali di un modello sviluppo a cui l'Africa non ha mai partecipato.
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Un credito verso il mondo di 41,3 miliardi di $. A denunciare questa situazione è il nuovo rapporto Honest Accounts, pubblicato oggi da Global Justice Now e da un gruppo di ONG europee e africane. Il rapporto analizza i flussi economici e finanziari di 47 Stati, per capirne i limiti e il potenziale di crescita. “Il punto – dicono gli autori del rapporto - è che i Paesi africani sono in una posizione di credito nei confronti del resto del mondo, con un saldo netto di circa 41,3 miliardi di dollari nel 2015”.
Il costo dell'evasione. Nel 2015, il continente ha ricevuto complessivamente 161,6 miliardi di dollari come prestiti, rimesse dei migranti e aiuti. Quello che l'Africa ha perso, però, ammonta a circa 203 miliardi, sia direttamente – nel caso delle multinazionali che ne sfruttano le risorse ma poi mandano i profitti verso i paradisi fiscali – sia indirettamente, in forma di costi imposti da altri, come per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Se si guarda in dettaglio a queste cifre, si vede che ai Paesi africani sono arrivati circa 19 miliardi in aiuti e fondi vari, ma oltre tre volte tanto, 68 miliardi, sono usciti con le tasse evase dalle multinazionali, pari al 6 per cento del Prodotto interno lordo dell'intero continente.
Il ruolo della corruzione. Ovviamente la corruzione diffusa ha un ruolo determinante nel facilitare l'evasione, impedendo ai governi e alle autorità fiscali di intervenire in modo veramente efficace. La corruzione alimenta la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi. C'è un gruppo di circa 165mila super ricchi con un patrimonio complessivo di 860 miliardi di dollari, ovviamente offshore o in grandi banche inglesi o svizzere. Le stime parlano di circa 500 miliardi nei paradisi fiscali, cioè il 30 per cento di tutta la ricchezza finanziaria africana, un patrimonio sottratto ai servizi pubblici più importanti per lo sviluppo, come scuola e sanità. Non meraviglia che i controlli e il rigore fiscale siano scoraggiati, in una politica che tende a offrire anche generosi incentivi alle imprese straniere per attrarre investimenti, specialmente nei settori minerario, del petrolio e del gas.
Penalizzati da commercio. Quanto alle rimesse dall'estero, nel 2015 ammontavano a 31 miliardi, non pochi ma compensati dai 32 miliardi di profitti esportati dalle grandi imprese straniere. I governi hanno ricevuto 32,8 miliardi di finanziamenti ma ne hanno pagati 18 tra gli interessi e un debito sempre più alto. Senza contare i 29 miliardi che ogni anno spariscono con il commercio illegale di beni naturali vari, come il pesce, gli animali e la vegetazione. Le politiche commerciali internazionali hanno creato un sistema che prende dall'Africa le materie prime per lavorarle altrove, facendo perdere il margine di guadagno maggiore, nel settore petrolifero come in quello agricolo.
Gli effetti climatici. Infine, ci sono i danni del riscaldamento globale, provocato altrove, com'è noto. Il costo di adattamento, per prevenire l'impatto sull'economia e sulla vita quotidiana delle persone, è stimato in 10,6 miliardi all'anno. I costi della mitigazione, invece, ammontano a circa 26 miliardi e comprendono la conversione nelle fonti rinnovabili, trasformazione molto più onerosa dove mancano le infrastrutture e la tecnologia che abbiamo in Europa. La perdita di giovani che migrano a causa dei dissesti naturali e dei conflitti, portando via forza lavoro e competenze - il cosiddetto brain drain – è stimata in circa 6 miliardi di dollari.
Che cosa fare. I ricercatori di Honest accounts non fanno solo accuse, ma avanzano una serie di proposte per soluzioni concrete. In generale, ci vorrebbe un maggiore coinvolgimento della società civile africana affinché i tanti squilibri, la corruzione, e certi privilegi siano denunciati ed eliminati. Anche la società civile degli altri Paesi dovrebbe mobilitarsi però, soprattutto quelli che beneficiano della ricchezza dell'Africa. “Le élites globali non hanno alcun interesse a cambiare un sistema da cui traggono solo vantaggi, quindi sta alle organizzazioni e ai movimenti creare coalizioni transnazionali per fermare le varie forme di evasione fiscale e sottrazione di ulteriori risorse”, spiegano gli autori del rapporto, indicando con precisione alcune politiche da seguire.
Un'economia locale smantellata da ricostruire. Ad esempio, sostenere l'economia locale con maggiori investimenti pubblici. Per decenni le istituzioni internazionali hanno promosso privatizzazioni e aperture dei mercati alle imprese straniere e al commercio internazionale, smantellando i pochi servizi pubblici esistenti senza avviare un'economia di mercato forte. Come già accaduto nell'Asia orientale, dove i tassi di povertà si sono ridotti drasticamente negli ultimi decenni, un maggiore intervento dello Stato faciliterebbe la creazione e lo sviluppo di industrie locali, magari rafforzando il mercato interno con misure temporaneamente protezionistiche. Il rapporto suggerisce ai governi africani di differenziare gli investimenti per la crescita non basandola solo sulla ricchezza mineraria, sulle fonti fossili e le altre risorse non rinnovabili – tra l'altro, causa di conflitti e di corruzione. Dovrebbero incoraggiare invece quei settori che permettono una crescita sostenibile e inclusiva, che ha maggiori prospettive in rapporto all'evoluzione tecnologia e alla trasformazione delle competenze, come raccomandato anche dalla Banca Mondiale.
Ripensare aiuti, tasse e prestiti. Riguardo agli aiuti dai Paesi industrializzati, questi andrebbero ripensati come forma di risarcimento per i danni subiti, anziché come donazioni volontarie. Un simile processo comporta un'analisi approfondita dei rapporti con ogni altra economia, calcolando quante risorse escono dal continente ogni anno e stimando anche i danni che altri hanno causato, come nel caso del riscaldamento globale. Dal punto di vista finanziario, ci vorrebbe un impegno deciso per fermare l'evasione fiscale delle multinazionali che fanno profitti in Africa. Secondo i ricercatori anche le istituzioni finanziarie nazionali - come le borse valori - dovrebbero impedire a certe società di essere quotate se usano i paradisi fiscali e contribuiscono a impoverire Paesi in fanno profitti.
Un programma serio di controlli. Inoltre, lo studio suggerisce un programma serio di controllo dei prestiti concessi attraverso Fondo Monetario, Banca Mondiale e altre istituzioni internazionali o governi, affinché ci sia maggiore trasparenza nell'utilizzo e affinché gli interessi diventino sostenibili nel medio e lungo termine. Si tratta, in sostanza, delle misure necessarie a limitare i danni dei cosiddetti “fondi avvoltoio” che strangolano l'economia dei Paesi in
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