«È l'Islam che lo dice. Il Corano lo ordina»
L'imam: «Giusto picchiare le donne»
Verona, dopo la predica Amal massacrata dal marito. Lo ha denunciato: ora vive barricata in casa con i figli
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ROMA — «Sentito che ci ha detto l'imam? Che dobbiamo
picchiare la moglie! Perché le donne sono stupide, sono come le pecore
che devono essere governate da un pastore. Voi uomini avete ragione di
picchiarle, perché è l'Islam che lo dice. Il Corano lo ordina». Era il
26 agosto 2005, al termine della preghiera del tramonto, il predicatore
d'odio islamico Wagdy Ghoneim parlò con i fedeli raccolti nella moschea
di Verona in via Biondani, uno stabile dell'Ucoii (Unione delle comunità
e organizzazioni islamiche in Italia). Leader dei Fratelli Musulmani,
incarcerato in Egitto, espulso dagli Stati Uniti e dal Canada per
apologia di terrorismo, Ghoneim riuscì ad ottenere un visto d'ingresso
in Italia, su invito dell' Ucoii, tenendo quattro incontri a Bologna,
Verona, Padova e Sesto San Giovanni.
Tra gli intervenuti ad ascoltarlo nel capoluogo scaligero c'era il marocchino Moustapha Ben Har, 46 anni, un uomo violento, che aveva costretto la moglie a suon di botte ad abortire due volte e l'aveva spedita tre volte al pronto soccorso con la faccia rotta; che era stato denunciato per l'accoltellamento di un connazionale che risiede nello stesso stabile; che infine si è ritrovato disoccupato per i continui litigi sul posto di lavoro. Una volta rientrato a casa, Moustapha, forte di una legittimazione islamica al comportamento brutale, rivolse minacce pesanti ad Amal El Bourfai, 33 anni, conosciuta e sposata a Casablanca: «L'imam ci ha detto che le donne sono senza anima. Sono create solo per fare bambini, sbrigare le faccende domestiche e soddisfare i piaceri del marito. Le mogli non possono alzare la voce. Chi comanda è solo il marito. Se la moglie sbaglia, è normale punirla. Questo è l'insegnamento del profeta ».
Quella sera Amal ebbe veramente paura. Strinse a sé i due figlioletti, Aiman, oggi di 4 anni, ed Elias, che a maggio ne compierà 3. Ripensò ai primi giorni di matrimonio, quando Moustapha si rivolgeva a lei con dolcezza. E come all'improvviso, due mesi dopo il suo arrivo in Italia nel 2000, lui cominciò a picchiarla perché lei non era ancora rimasta incinta: «Sei come una terra secca, non dai il frutto!». Amal si sentiva in colpa e sopportava le botte. Fino a quando dalle analisi non emerse che il problema era del marito. Lui si sottopose a una terapia ormonale che ebbe successo. Ma in realtà lui non amava i figli. Per ben due volte la sua furia criminale costrinse la moglie ad abortire per le percosse al ventre. Anche dopo la nascita di Aiman, lui l'aggredì stendendola a terra e saltandole sul ventre. Era incinta di quattro mesi, sanguinava, andò in ospedale e riuscì a portare avanti la gravidanza fino alla nascita di Elias. Poi Amal è stata costretta ad abortire per la terza volta in ospedale, perché lui non voleva più figli: «Non ho i soldi per mantenerli».
Di fatto è solo lei a lavorare, come operaia in un'azienda ortofrutticola, con un compenso tra i 600 e i 700 euro. Ben poco per quattro persone. E, come se non bastasse, regolarmente lui le sequestrava i soldi per andare con prostitute. Si è ripetuto lo scorso 19 gennaio, il giorno dopo aver ritirato la busta paga. Quando lei si è ribellata, lui l'ha riempita di botte, le ha spaccato due denti e fatto l'occhio nero, costringendola a tornare al pronto soccorso. Perfino quando decideva di fare l'amore con lei, prima la picchiava per costringerla a seguirlo a letto. Per tre volte lei ha sporto denuncia e poi l'ha ritirata: «Se non lo fai, appena torni a casa non troverai più i bambini», la minacciava ripetutamente.
Amal si sente impotente perché Moustapha le ha sottratto tutti i documenti: il passaporto, il permesso di soggiorno, la tessera sanitaria e il codice fiscale. Lei dipende da lui in tutto, perché formalmente risiede in Italia per ricongiungimento familiare. La svolta è avvenuta con la denuncia dopo il più recente ricovero al pronto soccorso, denuncia che Amal non intende più ritirare. Lui, per vendetta, ha deciso di scappare in Marocco portandosi via i figlioletti. Ha già spedito ai familiari a Casablanca, su un pullman che parte da Verona, i suoi bagagli. Da allora Amal si è barricata in casa con i figli. Ha chiesto aiuto al centro di assistenza sociale di San Giovanni Lupatoto, il comune di residenza in provincia di Verona, sentendosi rispondere che se avesse voluto usufruire di una struttura di accoglienza, avrebbe dovuto versare 95 euro al giorno. Ieri è tornata in tribunale chiedendo, tramite il suo avvocato, Rosanna Credendino, un provvedimento urgente di allontanamento di Moustapha dall'abitazione. Lunedì andrà in questura per chiedere il divieto di allontanamento dal territorio nazionale del marito e dei figli.
Questa è la drammatica storia di una «madre coraggio», che lotta con tutte le sue forze per rimanere in Italia con i due figlioletti, e di un marito violento che ha già presentato richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, essendo residente dal 1989. Che immagina di comportarsi in modo islamicamente corretto in virtù dell'aberrante predicazione d'odio dei Fratelli Musulmani a cui si rifanno gli aderenti all' Ucoii. Basta leggere il commento di Hamza Roberto Piccardo nel Corano a cura dell' Ucoii, il più diffuso nelle moschee d'Italia, del versetto IV, 34: «Si può ben capire perché il Corano fornisca al marito gli strumenti per fronteggiare l'insubordinazione della moglie prima di arrivare all'estremo rimedio del divorzio: rimprovero, esclusione dall'affettività e dal rapporto coniugale, punizione fisica. In proposito di quest'ultima si noti che la Sunna dell'Inviato l'ha sconsigliata con fermezza e, in caso estremo, l'ha permessa a condizione di risparmiare il volto e che i colpi vengano inferti con un fazzoletto o con il siwak (il bastoncino che si usa per la pulizia dei denti)». Questo dettaglio tecnico, sul modo islamicamente corretto di picchiare le mogli, deve essere sfuggito a Moustapha. E a migliaia di mariti violenti che in Italia invocano il Corano per brutalizzare le loro donne. Questo è l'appello di Amal: «Aiutatemi a restare a casa mia con i miei due bambini, aiutatemi ad allontanare il marito violento! Voglio vivere in Italia da donna libera e voglio che i miei figli vi crescano da persone libere!».
Tra gli intervenuti ad ascoltarlo nel capoluogo scaligero c'era il marocchino Moustapha Ben Har, 46 anni, un uomo violento, che aveva costretto la moglie a suon di botte ad abortire due volte e l'aveva spedita tre volte al pronto soccorso con la faccia rotta; che era stato denunciato per l'accoltellamento di un connazionale che risiede nello stesso stabile; che infine si è ritrovato disoccupato per i continui litigi sul posto di lavoro. Una volta rientrato a casa, Moustapha, forte di una legittimazione islamica al comportamento brutale, rivolse minacce pesanti ad Amal El Bourfai, 33 anni, conosciuta e sposata a Casablanca: «L'imam ci ha detto che le donne sono senza anima. Sono create solo per fare bambini, sbrigare le faccende domestiche e soddisfare i piaceri del marito. Le mogli non possono alzare la voce. Chi comanda è solo il marito. Se la moglie sbaglia, è normale punirla. Questo è l'insegnamento del profeta ».
Quella sera Amal ebbe veramente paura. Strinse a sé i due figlioletti, Aiman, oggi di 4 anni, ed Elias, che a maggio ne compierà 3. Ripensò ai primi giorni di matrimonio, quando Moustapha si rivolgeva a lei con dolcezza. E come all'improvviso, due mesi dopo il suo arrivo in Italia nel 2000, lui cominciò a picchiarla perché lei non era ancora rimasta incinta: «Sei come una terra secca, non dai il frutto!». Amal si sentiva in colpa e sopportava le botte. Fino a quando dalle analisi non emerse che il problema era del marito. Lui si sottopose a una terapia ormonale che ebbe successo. Ma in realtà lui non amava i figli. Per ben due volte la sua furia criminale costrinse la moglie ad abortire per le percosse al ventre. Anche dopo la nascita di Aiman, lui l'aggredì stendendola a terra e saltandole sul ventre. Era incinta di quattro mesi, sanguinava, andò in ospedale e riuscì a portare avanti la gravidanza fino alla nascita di Elias. Poi Amal è stata costretta ad abortire per la terza volta in ospedale, perché lui non voleva più figli: «Non ho i soldi per mantenerli».
Di fatto è solo lei a lavorare, come operaia in un'azienda ortofrutticola, con un compenso tra i 600 e i 700 euro. Ben poco per quattro persone. E, come se non bastasse, regolarmente lui le sequestrava i soldi per andare con prostitute. Si è ripetuto lo scorso 19 gennaio, il giorno dopo aver ritirato la busta paga. Quando lei si è ribellata, lui l'ha riempita di botte, le ha spaccato due denti e fatto l'occhio nero, costringendola a tornare al pronto soccorso. Perfino quando decideva di fare l'amore con lei, prima la picchiava per costringerla a seguirlo a letto. Per tre volte lei ha sporto denuncia e poi l'ha ritirata: «Se non lo fai, appena torni a casa non troverai più i bambini», la minacciava ripetutamente.
Amal si sente impotente perché Moustapha le ha sottratto tutti i documenti: il passaporto, il permesso di soggiorno, la tessera sanitaria e il codice fiscale. Lei dipende da lui in tutto, perché formalmente risiede in Italia per ricongiungimento familiare. La svolta è avvenuta con la denuncia dopo il più recente ricovero al pronto soccorso, denuncia che Amal non intende più ritirare. Lui, per vendetta, ha deciso di scappare in Marocco portandosi via i figlioletti. Ha già spedito ai familiari a Casablanca, su un pullman che parte da Verona, i suoi bagagli. Da allora Amal si è barricata in casa con i figli. Ha chiesto aiuto al centro di assistenza sociale di San Giovanni Lupatoto, il comune di residenza in provincia di Verona, sentendosi rispondere che se avesse voluto usufruire di una struttura di accoglienza, avrebbe dovuto versare 95 euro al giorno. Ieri è tornata in tribunale chiedendo, tramite il suo avvocato, Rosanna Credendino, un provvedimento urgente di allontanamento di Moustapha dall'abitazione. Lunedì andrà in questura per chiedere il divieto di allontanamento dal territorio nazionale del marito e dei figli.
Questa è la drammatica storia di una «madre coraggio», che lotta con tutte le sue forze per rimanere in Italia con i due figlioletti, e di un marito violento che ha già presentato richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, essendo residente dal 1989. Che immagina di comportarsi in modo islamicamente corretto in virtù dell'aberrante predicazione d'odio dei Fratelli Musulmani a cui si rifanno gli aderenti all' Ucoii. Basta leggere il commento di Hamza Roberto Piccardo nel Corano a cura dell' Ucoii, il più diffuso nelle moschee d'Italia, del versetto IV, 34: «Si può ben capire perché il Corano fornisca al marito gli strumenti per fronteggiare l'insubordinazione della moglie prima di arrivare all'estremo rimedio del divorzio: rimprovero, esclusione dall'affettività e dal rapporto coniugale, punizione fisica. In proposito di quest'ultima si noti che la Sunna dell'Inviato l'ha sconsigliata con fermezza e, in caso estremo, l'ha permessa a condizione di risparmiare il volto e che i colpi vengano inferti con un fazzoletto o con il siwak (il bastoncino che si usa per la pulizia dei denti)». Questo dettaglio tecnico, sul modo islamicamente corretto di picchiare le mogli, deve essere sfuggito a Moustapha. E a migliaia di mariti violenti che in Italia invocano il Corano per brutalizzare le loro donne. Questo è l'appello di Amal: «Aiutatemi a restare a casa mia con i miei due bambini, aiutatemi ad allontanare il marito violento! Voglio vivere in Italia da donna libera e voglio che i miei figli vi crescano da persone libere!».
Magdi Allam
27 gennaio 2007
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