Comunicato di adesione del Coordinamento nazionale No Triv alla manifestazione del 7 Maggio 2016 a Roma per fermare il TTIP Quanto valgono la Salute, la Natura, la Democrazia? Le conseguenze del meccani/cinismo ideologico neoliberista dominante, dopo l’imposizione generalizzata della valutazione di performance funzionale del “capitale umano” conia ex novo la valutazione monetaria attribuibile per anno all’ambiente naturale. Ad Edimburgo, durante il forum mondiale sul “capitale naturale” tenutosi a Novembre 2013, il governo scozzese lancia l’esperimento, volto a calcolare i vantaggi economici che la Scozia potrebbe ricavare dalle decisioni sulla pianificazione del proprio territorio. Una vera opera di apertura alla totale privatizzazione della natura, concepita all’interno della categoria di “externalities”, intesa come valutazione di contesto da tempo utilizzata dagli economisti liberisti per monetizzare i fattori ambientali sempre più determinanti nella definizione dei valori di mercato. Il governo scozzese sostiene che, poiché la maggior parte delle decisioni di “sviluppo” si basano su considerazioni strettamente economiche tra costi diretti e benefici, un’attribuzione di significato finanziario alle risorse naturali ne determinerebbe una valorizzazione, a garanzia del fatto che la loro importanza non venga trascurata. Grande minaccia per i bilanci delle economie nazionali è rappresentata dalla clausola ISDS, che consente alle potentissime multinazionali straniere di chiamare in giudizio in tribunali internazionali “privati” e a porte chiuse gli enti pubblici che attuino provvedimenti da esse ritenuti lesivi dei loro investimenti. Col rischio che in caso di vittoria “legale” debbano essere le casse pubbliche a compensare le corporations. Questa clausola esiste nel Trattato di libero scambio NAFTA (North American Free Trade Agreement, ovvero Accordo nordamericano per il libero scambio) approvato nel 1994 tra Stati Uniti, Canada e Messico. In molti trattati di libero scambio che sta firmando l'Unione Europea si prevede l’istituzione di questo tipo di tribunali, ma il rischio è che ci si possa trovare di fronte a situazioni paradossali come quella della Germania, dove una grande impresa di produzione energetica come la Vattenfall ha citato in giudizio il governo Merkel per aver deciso la chiusura graduale delle centrali nucleari. Dal luglio 2013 a Washington si sono ufficialmente aperte le trattative (ora in dirittura di arrivo) sulla TransatlanticTrade and Investiment Partnership(TTIP), ipotesi di accordo economico globale tra Usa e UE, che potrebbe stabilire i principi della riorganizzazione economica dell'Occidente nel pieno di una crisi che sempre più dimostra di essere strutturale e non congiunturale ("A transatlantic corporate bill of rights", Corporate Europe Observatory and TransnationalInstitute, 19 luglio 2013.http://www.opendemocracy.net/ournhs/corporate-europe-observatorytransnational-institute/transatlantic-corporate-bill-of-rights). Se nella piccola Basilicata, e nelle Regioni soggette al diktat della folle e contraddittoria Strategia Enegetica Nazionale assistiamo da tempo a rapidi processi di riduzione ed espropriazione dei poteri costituzionali concorrenti in materia ambientale ed energetica, che le trasformano di fatto in clusters ed hub energetici, a livello planetario le multinazionali, che spesso fanno profitti più elevati dei PIL di interi Paesi sommati tra loro, pretendono di avere carta bianca per sé. In tale contesto assistiamo sgomenti al prevalere (per via “legale” o vieppiù truffaldina) alla diffusione degli Ogm in spregio anche alla volontà degli stessi governi, oltre che degli stessi contadini. In generale l’industria chimica ed energetica hanno fatto ulteriori passi da gigante nell’imposizione di pratiche inquinanti legate al controllo monopolistico delle sementi ed al consumo di territorio (insieme alle pratiche di cementificazione, tra i principali fattori la coltivazione di specie vegetali finalizzate alla produzione dei cosiddetti biocarburanti), a detrimento della biodiversità e della destinazione ad uso alimentare. La resistenza da anni in atto sui territori e sulle sponde dei nostri mari cui contribuisce il Coordinamento No Triv ha prodotto significativi risultati, in particolare grazie alla recente campagna referendaria contro le più odiose norme del famigerato “Sblocca Italia”, costola diretta del TTIP. La resistenza che lega i territori è diventata man mano la piattaforma condivisa per il lancio di una campagna di conquista di favorevoli rapporti di forza per disegnare il necessario passaggio all’utilizzo di fonti rinnovabili pulite. Lunga e difficile si presenta questa battaglia, ma la pratica dell’unità nel perseguire l’obiettivo ci consegnerà quanto prima il territorio della polarizzazione del perseguimento del valore d’uso, del decentramento solidale, di una nuova forma di democrazia dal basso, quale viatico per la vittoria dei beni comuni. E’ per questo che la tappa della manifestazione del 7 Maggio a Roma e la campagna contro gli accordi TTIP sono parti integranti della nostra lotta comune che, ne siamo convinti, proseguirà in forme diverse, ma sempre più convergenti. 3 Maggio 2016
L'allarme del politologo Colin Crouch autore del libro "Postdemocrazia" in cui teorizza il futuro delle democrazie avanzate: governi svuotati di potere e significato. Per evitare che la globalizzazione sia guidata da un'oligarchia delle multinazionali "serve più Europa e meno nazionalismo"
MILANO - Governi svuotati di potere e significato. La democrazia che cede il passo all'oligarchia delle multinazionali. Addio alle politiche social-democratiche che hanno fatto la storia dell'Europa per lasciar spazio al neo liberismo. E' l'epilogo temuto da Colin Crouch sociologo e politologo britannico celebre per aver coniato il termine "postdemocrazia" nell'omonimo libro in cui teorizza il futuro delle democrazie avanzate. In Italia per partecipare al Festival "Fare la pace" di Bergamo fino a 15 maggio, Crouch punta il dito con il Ttip, il trattato transatlantico di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, che "servirebbe ad aumentare le tutele di consumatori, ma invece viene usato solo per ridurle". E critica l'Unione europea perché "ha dimenticato l'eredità delle Commissioni Delors e Prodi fondate sul compromesso tra liberismo e socialdemocrazia per interessarsi solo al liberismo. Siamo caduti in una trappola da cui non riusciamo a uscire".
Più che vittima di una trappola, il Vecchio continente sembra stretto tra due idee antitetiche di Europa. Non crede?
No, siamo davvero in trappola. Da un lato siamo consapevoli dei cambiamenti che porta la globalizzazione e delle necessità di avere un'Unione europea capace di affermarsi ai massimi livelli dove vengono prese le principali decisioni economiche; dall'altro abbiamo bisogno di una politica più vicina alla vita quotidiana. Bruxelles dovrebbe convivere con istituzioni vicine alle persone: le decisioni devono essere prese a livelli diversi a seconda degli argomenti. Il rischio che corriamo è quello di pensare che il nazionalismo rafforzi la democrazia.
Il referendum su Brexit, il prossimo 23 giugno, metterà alla prova le due idee di Europa.
L'appartenenza alla nazione rimane tra le poche identità, che legano la gente al mondo politico. E in un mondo pieno di rischi internazionali - dalla globalizzazione economica, che sembra minacciare il lavoro, all'immigrazione fino al terrorismo islamico - c'è la forte tentazione di vedere la nazione come una fortezza. Il referendum britannico darà ai cittadini la possibilità di concentrare tutte queste ansie su un bersaglio singolo: l'Unione europea. Una tentazione che si scontra con la paura di un futuro totalmente incerto, dicendo addio a tutti i nostri rapporti economici degli ultimi 40 anni. Sarà una battaglia tra due paure: quella di un mondo incontrollabile contro quella di un isolamento totale.
Come si sconfigge la paura?
Con un'Europa più intensa. Delors e Prodi lo avevano capito: bisogna legare in maniera indissolubile i livelli più alti a quelli più bassi. Bisogna riscoprire le politiche regionali, aumentando il loro peso. La Scozia è un caso emblematico: vogliono più autonomia a livello locale, ma sono molto legati all'Unione europea per mantenere un ruolo di peso a livello globale. L'Europa non è una tecnocrazia apolitica, ma rischia di diventarlo se ripensiamo rapidamente il ruolo delle istituzioni.
Gli anni dell'austerity hanno contribuito ad allontanare Bruxelles dai cittadini.
Sì, perché sono stati anni persi a consumare tutta l'energia nel tagliare la spesa e a fare attenzione ai bilanci. Invece, sarebbero serviti a fare altre cose.
Per esempio il Ttip?
Anche. Il Trattato transatlantico di libero scambio serve davvero, ma solo se ci permette di aumentare gli standard di sicurezza. Per il momento, invece, le discussioni vertono solo sul come ridurre gli standard: anche perché un mondo con standard di sicurezza più alti ad ogni livello sarebbe un mondo più caro. E gli americani non possono accettarlo. Però gli europei sbagliano a pensare di essere gli unici a garantire la piena tutela dei consumatori e dei cittadini. In alcuni campi è certamente vero, ma sul fronte bancario la realtà è diametralmente opposta: siamo noi che dovremmo imitare i loro standard. E comunque anche negli Stati Uniti crescono le resistenze con la diffidenza ad aprire il loro mercato agli europei.
A preoccupare i cittadini sono soprattutto le clausole Isds che permettono alle aziende di citare per danni gli Stati che con le loro norme mettano a repentaglio i loro profitti.
E' vero, sono la cosa più pericolosa del trattato. La clausola più antidemocratica. Certo oggi già esistono, ma gli Stati sono liberi di scegliere se riconoscere il diritto alle aziende o meno, con il Ttip diventerebbe invece una regola vincolante per tutti. Il meccanismo di citare in giudizio gli Stati che promulgassero leggi contrarie agli interessi delle aziende era nato per attirare risorse finanziarie nei paesi in via di sviluppo: le multinazionali chiedevano garanzie prima di investire negli Stati a rischio temendo che un cambio di repentino di governo le avrebbe danneggiate. Insomma, il principio era in qualche modo positivo, era un incentivo alla stabilità, ma lentamente il sistema di è esteso fino all'Europa. Basti pensare alla svedese Vattenfall che ha chiesto miliardi di danni alla Germania dopo la decisione - in seguito alla tragedia di Fukushima - chi chiudere le centrali nucleari. Il Ttip in questo senso sarebbe un disastro, il mercato entrerebbe direttamente nelle politiche sociali dei governi che non potrebbe più tornare indietro.
In questo modo il potere sarebbe trasferito alla multinazionali?
Sì, sarebbe il punto finale della post democrazia. Un mondo nel quale le istituzioni tradizionali continuano a esistere, ma si svuotano di significato e la politica non è più in grado di incidere. Per fortuna non siamo ancora a questo punto, ma la strada che abbiamo imboccato è proprio quella. E il Ttip darebbe un'accelerata in questa direzione.
Anche per questo le trattative per il Ttip stanno sollevando proteste in tutta Europa.
E' vero, le resistenze sono molte: i cittadini stanno prendendo coscienza di questa rischio, ma l'atteggiamento dei manifestanti è ambiguo, si uniscono le proteste di sinistre a quelle della destra nazionalista. Bisogna fare attenzione, perché la difesa delle democrazione non passa per più sovranità. I movimenti nazionalisti cavalcano solo i diasgi della popolazione, dalla paura dell'immigrazione alle paure per l'occupazione.
Come si fa?
I governi devono uscire dalla trappola dei debiti, insomma credo che serva una certa austerità, ma diversa da quella applicata in Europa. Serve un cambiamento di direzione delle politiche sociali che oggi hanno strutture non sono adatte: le pensioni sono troppo generose, mentre mancano le risorse per la formazione e l'istruzione. Abbiamo bisogno di un grande compromesso a livello europeo per incentivare i paesi a usare i soldi in modo migliore. Il caso della Grecia è emblematico: riceve critiche per come usa le sue finanze, ma non è chiaro quali siano le cose giuste da fare. Un tempo l'Europa mediava tra liberismo e democrazia sociale, ora la palla è in mano solo ai primi, senza alcun compromesso.
Renzi si scontra spesso con le politiche europee. Come lo giudica?
Ho casa in Umbria, ma non conosco abbastanza bene la sua politica, di certo vuole essere
il Tony Blair d'Italia solo che il suo governo arriva in un momento in cui non c'è molto spazio di manovra proprio per colpa dell'austerity. Per fare riforme profonde bisogna sempre poter offrire qualcosa di nuovo e allettante, non vedo cosa si possa fare in questo momento.
Più che vittima di una trappola, il Vecchio continente sembra stretto tra due idee antitetiche di Europa. Non crede?
No, siamo davvero in trappola. Da un lato siamo consapevoli dei cambiamenti che porta la globalizzazione e delle necessità di avere un'Unione europea capace di affermarsi ai massimi livelli dove vengono prese le principali decisioni economiche; dall'altro abbiamo bisogno di una politica più vicina alla vita quotidiana. Bruxelles dovrebbe convivere con istituzioni vicine alle persone: le decisioni devono essere prese a livelli diversi a seconda degli argomenti. Il rischio che corriamo è quello di pensare che il nazionalismo rafforzi la democrazia.
Il referendum su Brexit, il prossimo 23 giugno, metterà alla prova le due idee di Europa.
L'appartenenza alla nazione rimane tra le poche identità, che legano la gente al mondo politico. E in un mondo pieno di rischi internazionali - dalla globalizzazione economica, che sembra minacciare il lavoro, all'immigrazione fino al terrorismo islamico - c'è la forte tentazione di vedere la nazione come una fortezza. Il referendum britannico darà ai cittadini la possibilità di concentrare tutte queste ansie su un bersaglio singolo: l'Unione europea. Una tentazione che si scontra con la paura di un futuro totalmente incerto, dicendo addio a tutti i nostri rapporti economici degli ultimi 40 anni. Sarà una battaglia tra due paure: quella di un mondo incontrollabile contro quella di un isolamento totale.
Come si sconfigge la paura?
Con un'Europa più intensa. Delors e Prodi lo avevano capito: bisogna legare in maniera indissolubile i livelli più alti a quelli più bassi. Bisogna riscoprire le politiche regionali, aumentando il loro peso. La Scozia è un caso emblematico: vogliono più autonomia a livello locale, ma sono molto legati all'Unione europea per mantenere un ruolo di peso a livello globale. L'Europa non è una tecnocrazia apolitica, ma rischia di diventarlo se ripensiamo rapidamente il ruolo delle istituzioni.
Gli anni dell'austerity hanno contribuito ad allontanare Bruxelles dai cittadini.
Sì, perché sono stati anni persi a consumare tutta l'energia nel tagliare la spesa e a fare attenzione ai bilanci. Invece, sarebbero serviti a fare altre cose.
Per esempio il Ttip?
Anche. Il Trattato transatlantico di libero scambio serve davvero, ma solo se ci permette di aumentare gli standard di sicurezza. Per il momento, invece, le discussioni vertono solo sul come ridurre gli standard: anche perché un mondo con standard di sicurezza più alti ad ogni livello sarebbe un mondo più caro. E gli americani non possono accettarlo. Però gli europei sbagliano a pensare di essere gli unici a garantire la piena tutela dei consumatori e dei cittadini. In alcuni campi è certamente vero, ma sul fronte bancario la realtà è diametralmente opposta: siamo noi che dovremmo imitare i loro standard. E comunque anche negli Stati Uniti crescono le resistenze con la diffidenza ad aprire il loro mercato agli europei.
A preoccupare i cittadini sono soprattutto le clausole Isds che permettono alle aziende di citare per danni gli Stati che con le loro norme mettano a repentaglio i loro profitti.
E' vero, sono la cosa più pericolosa del trattato. La clausola più antidemocratica. Certo oggi già esistono, ma gli Stati sono liberi di scegliere se riconoscere il diritto alle aziende o meno, con il Ttip diventerebbe invece una regola vincolante per tutti. Il meccanismo di citare in giudizio gli Stati che promulgassero leggi contrarie agli interessi delle aziende era nato per attirare risorse finanziarie nei paesi in via di sviluppo: le multinazionali chiedevano garanzie prima di investire negli Stati a rischio temendo che un cambio di repentino di governo le avrebbe danneggiate. Insomma, il principio era in qualche modo positivo, era un incentivo alla stabilità, ma lentamente il sistema di è esteso fino all'Europa. Basti pensare alla svedese Vattenfall che ha chiesto miliardi di danni alla Germania dopo la decisione - in seguito alla tragedia di Fukushima - chi chiudere le centrali nucleari. Il Ttip in questo senso sarebbe un disastro, il mercato entrerebbe direttamente nelle politiche sociali dei governi che non potrebbe più tornare indietro.
In questo modo il potere sarebbe trasferito alla multinazionali?
Sì, sarebbe il punto finale della post democrazia. Un mondo nel quale le istituzioni tradizionali continuano a esistere, ma si svuotano di significato e la politica non è più in grado di incidere. Per fortuna non siamo ancora a questo punto, ma la strada che abbiamo imboccato è proprio quella. E il Ttip darebbe un'accelerata in questa direzione.
Anche per questo le trattative per il Ttip stanno sollevando proteste in tutta Europa.
E' vero, le resistenze sono molte: i cittadini stanno prendendo coscienza di questa rischio, ma l'atteggiamento dei manifestanti è ambiguo, si uniscono le proteste di sinistre a quelle della destra nazionalista. Bisogna fare attenzione, perché la difesa delle democrazione non passa per più sovranità. I movimenti nazionalisti cavalcano solo i diasgi della popolazione, dalla paura dell'immigrazione alle paure per l'occupazione.
Come si fa?
I governi devono uscire dalla trappola dei debiti, insomma credo che serva una certa austerità, ma diversa da quella applicata in Europa. Serve un cambiamento di direzione delle politiche sociali che oggi hanno strutture non sono adatte: le pensioni sono troppo generose, mentre mancano le risorse per la formazione e l'istruzione. Abbiamo bisogno di un grande compromesso a livello europeo per incentivare i paesi a usare i soldi in modo migliore. Il caso della Grecia è emblematico: riceve critiche per come usa le sue finanze, ma non è chiaro quali siano le cose giuste da fare. Un tempo l'Europa mediava tra liberismo e democrazia sociale, ora la palla è in mano solo ai primi, senza alcun compromesso.
Renzi si scontra spesso con le politiche europee. Come lo giudica?
Ho casa in Umbria, ma non conosco abbastanza bene la sua politica, di certo vuole essere
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