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20.000 Stupri e Violenze nell’Italia “Liberata”
Le Marocchinate: 20.000 Stupri e Violenze nell’Italia “Liberata”
by GIOVANNA POTENZA
La disperazione impotente di Cesira e della figlia Rosetta, violentate in chiesa, è la scena più drammatica de “La Ciociara”, il film diretto da Vittorio De Sica, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, magistralmente interpretato da un’intensa Sophia Loren, che per l’interpretazione vinse l’Oscar nel 1962.
La finzione cinematografica racconta uno degli episodi più atroci commessi ai danni delle popolazioni civili inermi in Italia nel corso della Seconda guerra mondiale, quello delle cosiddette “marocchinate”, vale a dire delle violenze sessuali, furti, omicidi e altri innumerevoli forme di violenza ai danni di svariate migliaia di persone di ambo i sessi e di tutte le età, perpetrati dai goumier (soldati delle colonie dell’esercito francese) nel 1944, ma non solo, anche dai soldati francesi stessi, soltanto in misura minore.
Sotto, militari marocchini dell’esercito francese accampati a Monte Cassino:
Il contesto storico è quello dell’ultimo atto della battaglia di Montecassino, nei primi mesi del ‘44 quando la Valle del Liri era lo scenario di scontri furibondi tra l’esercito anglo-americano e quello tedesco. Nel febbraio del 1944 si era consumata la distruzione dell’Abbazia di Montecassino, roccaforte tedesca nel frusinate, da parte dei bombardieri alleati, che aveva provocato la morte di centinaia di civili. Il 15 marzo venne rasa al suolo anche la città di Cassino, e le bombe caddero dai monti delle Mainarde sino a Minturno, provocando 10.000 vittime civili e circa 50.000 militari. Ogni tentativo di vincere la resistenza tedesca sembrava tuttavia essere vano.
Gli alleati, infatti, non riuscivano ancora a sfondare la “linea Gustav”, ovvero i 230 chilometri di barriera difensiva dal Tirreno all’Adriatico, che Hitler aveva voluto per fermare l’avanzata avversaria. Gli angloamericani decisero pertanto di cambiare tattica, inviando al fronte delle truppe adatte a una guerriglia di montagna, un contingente di circa 12.000 uomini di nazionalità prevalentemente marocchina, ma anche algerina e senegalese, i goumier, inquadrati nel Corpo di spedizione francese in Italia, al comando del generale Alphonse Juin.
Sotto, Alphonse Juin prima della battaglia:
Addestrati sulle montagne dell’Atlante in Marocco, i goumier, abituati a combattere in territori aspri, il 14 maggio superarono i monti Aurunci, ed aggirarono le linee difensive tedesche presso la Valle del Liri, consentendo al XIII Corpo britannico di sfondare la linea Gustav.
La popolazione locale, rifugiatasi sui monti, era allo stremo. Il cibo scarseggiava. L’avanzata alleata veniva quindi attesa con speranza, ma il peggio purtroppo doveva ancora arrivare.
Sotto, truppe di goumiers:
Dopo l’abbattimento della linea Gustav, infatti, le truppe magrebine si avventarono per prima cosa sul paesino di Esperia, sede del quartier generale della 71° divisione tedesca. Un rapporto inglese parla di donne e ragazze, adolescenti e fanciulli stuprati per strada, di prigionieri sodomizzati, di ufficiali evirati. I nord-africani irrompevano nelle abitazioni prelevando le donne, ricorrendo ad esecuzioni sommarie di padri, fratelli e di chiunque tentasse una qualche resistenza. Emblematico fu il martirio del parroco don Alberto Terrilli, della chiesa di Santa Maria di Esperia, colpevole di aver tentato di nascondere tre donne nella sagrestia.
Il coraggioso sacerdote, sodomizzato tutta la notte, morì in seguito alle sevizie subite
Uno dei sopravvissuti, riferendosi a quella notte fatale, ricorderà:
Non dimenticherò mai le grida che ho udito quella notte: un inferno dantesco. Sembravano delle belve
L’allora sindaco Giovanni Moretti, nel corso di un intervento ad un convegno del 12 novembre del 1946, dichiarerà che 700 donne, la quasi totalità della popolazione femminile, erano state vittime di stupri nel ’44 a Esperia, delle quali moltissime erano ammalate o moribonde nel 1946. Dopo Esperia fu la volta di tutta la vasta area di Frosinone e di Latina, ove i goumier (ma con molti francesi nascosti fra loro) si riversarono devastando, razziando, uccidendo e violentando con furia bestiale.
Alcuni soldati letteralmente con “il coltello fra i denti”:
Una violenza cieca testimoniata dalle lunghe relazioni dei carabinieri dell’epoca e da una nota della Direzione generale della Sanità al Ministero dell’Interno, che riferiva: “Penosa è la situazione di circa 1.100 donne della provincia di Frosinone e 2.000 della provincia di Littoria (attuale Latina) che a seguito delle violenze dei marocchini sono state contagiate da infezioni veneree. Molte sono in stato interessante“.
Al convegno “Eroi e vittime del ’44: una memoria rimossa”, che ebbe luogo a Castro dei Volsci il 15 ottobre 2011, il Presidente dell’Associazione Nazionale Vittime delle “Marocchinate”, Emiliano Ciotti, fece una stima dei numeri delle violenze commesse dall’esercito alleato:
“Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono un minimo di 20.000 casi accertati di violenze, numero che comunque non rispecchia la verità; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, sia per vergogna sia pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal “Corpo di Spedizione Francese”, che iniziò le proprie attività in Sicilia e le terminò alle porte di Firenze, possiamo affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, e ben 180.000 violenze carnali. I soldati magrebini mediamente stupravano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300 magrebini”.
La scia di orrori e di sangue che i goumier si lasciarono alle spalle e che era iniziata sin dal loro disgraziato sbarco in Sicilia durò sino a fine maggio e travolse le popolazioni del Basso Lazio, del Molise, del Viterbese, della Maremma, della Val d’Orcia, arrestandosi solo alle porte di Firenze, il 27 maggio, quando il contingente magrebino venne trasferito in Provenza.
Referti medici dell’epoca testimoniarono ovunque la brutalità delle violenze, riportando di lacerazioni anali e di corde vocali, di denti estratti per evitare i morsi delle vittime, di carni straziate per i supplizi inferti. Barbare torture furono riservate agli uomini che tentarono di difendere i loro cari, come impalamenti, evirazioni, mutilazioni ed eviscerazioni, spesso mentre le vittime erano ancora in vita.
Scorrere i resoconti dell’epoca significa confrontarsi con un orrore senza fine
Unica voce che si levò a favore delle popolazioni martoriate fu quella di Papa Pio XII, che chiese ufficialmente alle autorità alleate che le truppe franco-magrebine non entrassero nella Città eterna.
Le stime ufficiali delle vittime delle violenze variano, ma anche l’ordine di grandezza delle stime più prudenti lascia sconvolti. Alle migliaia di casi furono da poi aggiungersi le conseguenze in termini di malattie veneree, di nascite indesiderate, di suicidi e di vite spezzate, perché le donne furono spesso esposte a una sorta di ingiusta condanna morale post-bellica. I territori dove più furiosa si abbatté la furia belluina delle truppe magrebine avrebbero impiegato anni per risollevarsi e molte delle ferite inferte non si sarebbero mai più rimarginate.
Ma com’è possibile che gli ufficiali francesi, che non potevano non essere a conoscenza dello scempio perpetrato dalle loro truppe, non agirono per impedire le violenze?
Nonostante l’originale non sia mai stato trovato, moltissime testimonianze raccolte riferiscono dell’esistenza di un misterioso volantino in francese e arabo che sarebbe circolato tra i goumier, che avrebbe assicurato loro diritto assoluto sul territorio conquistato per 50 lunghe ore.
Probabilmente il volantino non è mai esistito: è inverosimile infatti che i comandi francesi si fossero lasciati alle spalle un documento scritto tanto compromettente. Più credibile è, invece, che le truppe ottennero dai comandi l’assicurazione verbale di potersi procurare un bottino di guerra, se avessero vinto la resistenza tedesca, una sorta di carta bianca per 50 ore nei territori conquistati.
Ma perché la storia ufficiale tace generalmente questi orrori? Forse perché non bisognava incrinare il mito dell’alleato amico e liberatore?
Le autorità francesi sostennero all’epoca di aver aperto 350 provvedimenti contro gli autori degli stupri e liquidarono quegli eventi come incidenti di percorso, come effetti collaterali della guerra. Forse non fu estraneo, a tale colpevole negligenza dei comandi francesi, anche il risentimento contro gli italiani ritenuti traditori per “la pugnalata alle spalle” del 1940 ai danni della Francia.
Agli stupri, è bene precisarlo e lo ribadisco per non incorrere in fraintendimenti, parteciparono soldati delle colonie francesi d’Africa ma anche francesi europei. A Pico, ad esempio, furono violentate 51 donne da 181 africani e da 45 francesi europei.
Oltre agli stupri bisogna non dimenticare i furti, gli omicidi, la distruzione e molti altri atti di guerriglia che fecero etichettare gli alleati non certo come “liberatori” ma piuttosto come invasori e razziatori.
Quelli che furono sbrigativamente liquidati come “effetti collaterali della guerra” furono in realtà dei crimini contro l’umanità che ci inducono ancora oggi ad interrogarci su quale sia il confine, in guerra, tra ciò che sia “accettabile” e ciò che sia condannabile e perseguibile penalmente.
Gli stupri delle donne sono un triste effetto di molte guerre e quelli compiuti durante le guerre in ex-Jugoslavia o in Ruanda (per citare solo due esempi) ne sono una drammatica testimonianza recente. Difficile pensare a un episodio come quello che colpì l’Italia di così ampie dimensioni in un periodo di tempo tanto breve, anche se poco dopo avvennero gli stupri delle truppe russe e anglo-americane in Germania e poco prima in Unione Sovietica la popolazione civile aveva subito lo stesso destino da parte dei tedeschi.
Un orrore che, sebbene trascurato dai testi di storia nel dopoguerra, fu raccolto e trasformato in arte da Alberto Moravia nel suo “La Ciociara”, il romanzo che diede voce alle grida di dolore di quei giorni terribili, perse tra le pieghe della storia.
Sotto, un breve commento del film e, in copertina, immagine dal film:
GI
Ecco gli americani in "Stupri di guerra"
Ecco gli americani in "Stupri di guerra"
[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]
Le violenze commesse dai soldati americani in Gran Bretagna, Francia e Germania – 1942/45 – Perché non si parla degli stupri in Italia.
Libro da leggere con attenzione estrema pagina dopo pagina, questo di J. Robert Lilly; e di cui diciamo qui con la dovuta ampiezza, pubblicando per intero la presentazione del volume.
*****
Precisiamo meglio l’argomento. «Come altri soldati di altri eserciti, anche gli americani si sono resi responsabili di stupri durante la Seconda guerra mondiale. Le donne inglesi e francesi erano alleate, quelle tedesche nemiche, ma tutte sono rimaste vittime, a migliaia, di quella esasperata violenza sessuale che è lo stupro.»
Il volto oscuro e sconosciuto dei «liberatori» rivelato da documenti e testimonianze drammatiche conservati negli archivi dei tribunali militari americani. Tra il 1942 e il 1945 circa 17.000 donne di tutte le età, inglesi, francesi e tedesche, furono stuprate da soldati americani. Cause, modalità e conseguenze di questo agghiacciante fenomeno sono analizzate con rigore storico e descritte con un linguaggio contenuto e privo di sensazionalismi.
La rilettura attenta degli atti dei .processi e la voce dei testimoni permettono di ricostruire la verità storica dello «stupro di guerra», vietato dalla Convenzione di Ginevra nel 1949 e riconosciuto come crimine di guerra solo nel 1996.
Ed ecco l’autore: J. Robert Lilly è professore di sociologia e di criminologia alla Northern Kentucky University negli Stati Uniti e professore associato di sociologia e politica sociale all’Università di Durham in Gran Bretagna.
“Le pagine che seguono sono la “presentazione”del volume di Massimo Zamorani:
La motivazione di base ha indotto Robert Lilly, docente universitario di criminologia, a impegnarsi nelle ricerche dalle quali è nato questo libro è determinata dal razionale scetticismo di fronte alla venerata icona del soldato USA, quale angelico rappresentante di ogni virtù umana. Valga, a titolo di esempio dell’agio grafia convenzionale, la prosa di Stephen Ambrose, considerato da molti il più popolare storico americano della Seconda guerra mondiale e autore, fra 1’altro, del famoso Citizen Soldiers pubblicato nel 1997 e che ha avuto grande diffusione non solo negli Stati Uniti.
«Immaginate un po’ questo. Nella primavera del 1945, in tutto il mondo, la vista di una squadra di una dozzina di adolescenti armati e in uniforme infondeva un sacro terrore nell’animo della gente. Che si trattasse di una squadra dell’Armata Rossa a Berlino, Lipsia o Varsavia o di una squadra tedesca in Olanda o di una giapponese a Manila, Seul o Pechino, bè, quella squadra significava stupri, saccheggi, ruberie, distruzioni a casaccio, uccisioni insensate. Ma c’era un’ eccezione: una squadra di GI, una vista che induceva ai più ampi sorrisi mai visti sui visi della gente e che riscaldava il cuore. E questo valeva in tutto il mondo, persino in Germania, persino in Giappone dopo il settembre 1945. Questo perché i GI significavano dolciumi, sigarette, razioni “C” e libertà. L’America aveva mandato la crema della sua gioventù in tutto il mondo, non a conquistare ma a liberare, non a terrorizzare ma ad aiutare. E stato un grande momento della nostra storia.» Questo è uno stralcio del libro di Ambrose, pagina 530 dell’edizione italiana pubblicata nel 1999 da Longanesi con il titolo Cittadini in uniforme.
Grazie alla martellante e danarosa propaganda americana, che ha bombardato il mondo per sessant’anni, l’opinione pubblica mondiale ha, in linea di massima, recepito e fatta propria, come verità di fede, questa oleografia storico-militare, tanto che nessuno ha mai pensato di sottoporre a verifica il comportamento reale degli arcangeli della libertà e della democrazia.
L’idea è venuta, come l’autore indica nell’introduzione a uno studioso, a un professionista, insospettito dal fatto che il comportamento dei soldati americani in Vietnam aveva rivelato un rovescio della medaglia ampiamente denunciato dai mezzi d’informazione. Era verosimile che i padri dei militari combattenti in Indocina, cioè i GI della Seconda guerra mondiale, non avessero avuto una faccia nascosta e fossero stati sempre, tutti e comunque, dei baiardi senza macchia? Ciò quando le atrocità di cui si erano resi responsabili militari di tutti gli eserciti erano state documentate in modo ampio e dettagliato? Una verifica si imponeva per stabilire la verità sul piano della storia; della sociologia, della criminologia. Le ricerche, i fatti, i documenti, le testimonianze raccolti hanno dimostrato che in realtà vi era una faccia nascosta, accuratamente e gelosamente celata per malintesa carità di patria e da questa ricerca è nato il presente lavoro.
Lavoro che non rivela la minima pretesa di adempiere a una funzione di denuncia, oppure la compiacenza di far sensazione svelando fatti scabrosi tenuti nascosti. Al contrario, il tono generale della prosa è contenuto, quasi dimesso, strettamente cronistico, nessuna ricerca di effetto. Il linguaggio è preciso, puntuale, tecnico, ma non intende fare grazia di eufemismi o attenuazioni, come è logico attendersi da un rapporto, da un verbale, da un resoconto. Viene riferito quello che serve per sapere, per comprendere, per interpretare i legami tra cause ed effetti, talvolta sottili e non facilmente individuabili.
Il procedimento è quello tipico dello studioso di fronte a un fenomeno: descrizione precisa nei dettagli e nelle circostanze, osservazione dei precedenti, analisi dei comportamenti e della dinamica degli eventi, individuazione delle relazioni fra cause ed effetti, interpretazione dei significati.
E quello che il lettore troverà nel testo di Lilly.
E da osservare che, nonostante l’approccio scientifico, le motivazioni rigorosamente storiche ed etiche, l’ineccepibile tecnica di attuazione, l’autore avverte il disagio, l’imbarazzo di trattare una materia che è sostanzialmente tanto anticonformista e iconoclasta da poter suscitare una reazione scandalizzata nell’opinione pubblica del suo Paese, al punto da esporlo al pericolo di subire un’ accusa di antipatriottismo che lui, da buon americano, faticherebbe a sopportare. Soprattutto dopo l’atroce 1l settembre 2001, in un momento di psicosi antiamericanista diffusa nel mondo. Proprio per dimostrare che la ricerca della verità non è affatto antipatriottica, l’autore ha voluto dedicare il suo lavoro ai suoi congiunti, padre e zii, che hanno combattuto con onore nella Seconda guerra mondiale. E’ per questi scrupoli – come egli stesso spiega – che non ha voluto far uscire il libro in coincidenza con le operazioni militari condotte dalle forze armate del suo Paese in Afghanistan e in Iraq. Di conseguenza l’edizione in lingua francese, e la presente in italiano, hanno anticipato la pubblicazione del volume nella versione originale inglese.
Il lettore italiano non può non chiedersi perché il lavoro di Lilly trascuri l’Italia: forse i GI si sono comportati in altro modo nel corso della dura campagna che ha insanguinato il territorio italiano dal giugno del 1943 all’aprile del 1945?
Interpellato, è lo stesso autore a chiarirci il dubbio. «Ho avuto qualche informazione, a questo proposito, ma non le ho approfondite, perché la Campagna d’Italia era considerata nel teatro operativo del Mediterraneo e Medio Oriente (MTO), mentre Inghilterra, Francia e Germania facevano per convenzione parte del teatro operativo europeo (ETO). Ciò comportava che ciascuno di questi scacchieri avesse la propria struttura giudiziaria militare (JAG Branch)
con giurisdizione sui reati commessi dai soldati in quell’ambito. Comunque sono a conoscenza di stupri perpetrati da militari americani su donne italiane, ma non ho studiato ancora questa casistica. So anche che ci sono stati militari americani condannati per violenze commesse in Italia. Vorrei essere più preciso: lo JAG/ETO a guerra finita compilò una relazione di sintesi sull’ attività svolta, mentre lo JAG/MTO e lo JAG/NATO (North African Theater of Operations) non lo fecero. Questa è la ragione per la quale non ho potuto ancora studiare i casi italiani, ma mi propongo di farlo.»
È di pubblico dominio lo scempio attuato in Italia dalle truppe coloniali francesi e in minor misura si è parlato degli stupri commessi dai militari indiani della 8^ armata britannica, mai si è accennato ai crimini di matrice americana: è Robert Lilly ad affrontare l’argomento per la prima volta. Proprio in tempi molto recenti (ci riferiamo al luglio del 2004), la Procura militare di Padova ha avviato un’inchiesta sugli eccidi di militari italiani e tedeschi, prigionieri disarmati, compiuti da soldati americani in Sicilia nel luglio del 1943, nei giorni immediatamente successivi allo sbarco. Anche questo è un tragico episodio, ma è giusto considerare che mentre in Italia era passato sotto silenzio, negli Stati Uniti aveva suscitato una vivace reazione e anche un seguito giudiziario, tanto che uno dei responsabili del massacro era stato condannato ai lavori forzati a vita. È anche giusto riconoscere che la giustizia americana, e soprattutto l’opinione pubblica, sono sempre pronte a indagare, punire e deprecare eccessi e crimini commessi dai connazionali, cosa che non sempre accade in altri Paesi.
C’è ancora un aspetto dell’opera di Lilly che va considerato. È una sintesi storica dello stupro inteso come crimine contro l’umanità, concetto che sovrasta la stessa configurazione di reato militare, ma solamente – e incredibilmente in tempi molto recenti è stato recepito dall’ opinione pubblica mondiale. I movimenti femministi hanno l’indiscutibile merito di aver imposto questo principio all’ attenzione di tutti e di aver sensibilizzato le masse nei riguardi di quello che di certo è uno dei crimini più odiosi e più vili. Lo stupro di guerra, da sempre accettato in. modo tacito quasi come inevitabile conseguenza di un conflitto armato, viene oggi pressoché universalmente considerato un’ atrocità che in nessun caso ammette attenuanti.
In quest’ottica, al libro di Robert Lilly va riconosciuto il merito di contributo sostanziale non soltanto alla verità storica, ma anche all’ aver imposto all’attenzione generale – in termini rigorosamente oggettivi – un crimine orribile, sulla cui condanna tutti gli uomini potrebbero e dovrebbero essere d’accordo, senza eccezioni, senza riserve e senza concedere attenuanti di nazionalità, di religione, di condizioni ambientali o emotive.”.
Massimo Zamorani “Stupri di guerra” – J. Robert Lilly – pgg. 366, euro 16,00 – edizioni Murscia – Via Gioia, 45 – 2014 – Milano Telefono 02-67378500 – Fax 02-67378601.
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